A proposito di La magnifica illusione, ultimo fumetto di Alessandro Tota pubblicato da Coconino Press (2024), si può dire che ha molte anime. Si tratta del primo capitolo di un’opera in due volumiche vede protagonista una giovane donna animata dal desiderio di scrivere storie, e più nello specifico di diventare sceneggiatrice di fumetti. A fare da sfondo, una brulicante New York di fine anni Trenta, ostinatamente vitale malgrado sia stretta tra la Grande Depressione e le ombre del secondo conflitto mondiale.
Ma, al di là del racconto, La magnifica illusione è soprattutto un’opera sul fumetto, una dichiarazione d’amore per la nona arte: l’autore dipinge l’affresco di un momento in cui la Storia incontra lo sviluppo del fumetto come industria, quando i primi albi di supereroi fanno capolino sugli espositori delle edicole; niente sarà più come prima e il volume ritrae quel misto di stupore ed entusiasmo che accompagna le prime avventure degli eroi in calzamaglia (ricordiamo che Superman fa la sua comparsa il 18 aprile 1938 sulla rivista Action Comics).
Infine, La magnifica illusione è un testo attuale, in maniera appassionata e dolente: dall’amore per il fumetto, infatti, traspare una conoscenza minuziosa della sua storia e dei suoi linguaggi, che non nasconde anche le sue contraddizioni. Tota si interroga sulla realizzazione delle aspettative e dei timori che hanno accompagnato questo momento rivoluzionario: verrà un giorno in cui il fumetto sarà considerato un’arte? Sarà mai accostato alla letteratura? E, soprattutto, sarà un bene per il settore? Le condizioni di autori e autrici miglioreranno? Quasi un secolo più tardi e dopo l’avvento del graphic novel, ancora non è facile dare una risposta a tali domande.
In questo primo volume seguiamo Roberta Miller mentre lascia le aride pianure del Kansas per raggiungere la metropoli, sicura di essere destinata a qualcosa che può trovare solo tra le ombre lucenti dei suoi grattacieli. Il passato della protagonista è come un bagaglio ingombrante che lei smarrisce appena arrivata a New York. Eppure non si scappa da sé stessi, nemmeno perdendosi in quella festa di suoni, colori e immagini che animano la città, e a guidare Roberta nel ricordo delle ultime convulse settimane sono proprio dei personaggi di fumetti, in una fantasmagoria di immagini sorprendente. Tota gestisce con attenzione i cambi di registro: questi narratori immaginari alternano balloons e didascalie vivaci, irriverenti, in una seconda persona che prende per il bavero il lettore e lo trascina nel racconto.

La magnifica illusione diventa rapidamente un fumetto corale, includendo nella traiettoria di Roberta anche Agnes, una ragazza che la introduce nella redazione del giornale del partito comunista; Fanny, ballerina di un locale che predice a Roberta un futuro di successo; e soprattutto Frank Battarelli, pittore mancato che vive il fumetto come un ripiego. Pieno di sé, approfittatore e individualista, Frank diventa, per necessità e convenienza, la mano che dà vita alle sceneggiature di Roberta. E se al principio i loro caratteri sembrano in aperta opposizione, scopriremo che sono la perfetta controparte l’uno dell’altra, animati da luci e ombre che trovano la loro dimora ideale e impossibile nelle contraddizioni della città.
La magnifica illusione è come un grande giro di giostra, la presa diretta di un’euforia dai suoi picchi più alti fino all’immancabile momento in cui si tocca il fondo, ancora inebriati ma anche stupiti dall’aver creduto, per un momento, che fosse tutto vero. E se le virate narrative passano quasi inosservate, attraverso una gestione del ritmo attenta e testi capaci di stare al passo con personaggi sempre presi dalla frenesia della città, Tota stupisce con i cambi di registro grafico: al disegno piano e dinamico della trama principale alterna uno stile più pesante e fitto di ombre per il passato della protagonista, per poi lanciarsi in tavole che citano esplicitamente i fumetti di quegli anni con colori accesi, saturi, arricchiti da retinature che danno un sapore retrò.
Il vero talento di Tota, però, è quello di saper mescolare la prospettiva dei personaggi con il loro inconscio, la “realtà” con l’immaginario. I sogni e le visioni dei protagonisti confondono lo statuto del reale, ma sono anche un distillato visivo dell’atmosfera di quegli anni: l’arte, la pubblicistica e la cartellonistica, lo spettacolo e, naturalmente, i fumetti, impregnano sia il racconto che la mente di Roberta e Frank. Ne risulta un’atmosfera che, nel suo essere satura di illusioni, è più reale del reale: respiriamo l’aria di quella New York anni Trenta, ogni dettaglio vive della stessa energia di quell’immaginario così ricco di simboli, mode e feticci oggetto di nostalgia. C’era la possibilità di inventarsi un futuro, o di incontrarlo per caso, di parlare con Will Eisner a una festa e farsi invitare nel suo studio, oppure di accompagnare Arthur Felling nei suoi scatti di cronaca nera. E proprio questa permeabilità tra cruda realtà e illusione attraversa il fumetto, sancisce una continuità tra le due, una rappresentazione rafforzata da alcune lezioni imparate da Tota nei precedenti La novella dell’avventuriero (come sceneggiatore, sui disegni di Andrea Settimo) (Coconino Press 2024) e Lo specchio (Canicola 2024), con certe composizioni che non si possono che definire oniriche.

Inoltre, La magnifica illusione crea un dialogo tra due modi di fare e pensare il fumetto: si tratta infatti di un graphic novel che racconta le origini del fumetto supereroistico, di cui accoglie esplicite influenze. L’autore individua un parallelismo significativo tra i due, mostrando come l’entusiasmo per le nuove frontiere espressive aperte dal “romanzo grafico” trovino una corrispondenza nelle fervide aspettative che hanno accompagnato la nascita degli albi di supereroi. Si legge tra le righe una messa in discussione del graphic novel come rivisitazione in veste nobile e letteraria del fumetto, nata dal desiderio di prendere le distanze da una produzione considerata “popolare” o infantile: questa è infatti una retorica che poteva funzionare durante i primi passi di quella nuova forma, che è stata effettivamente rivoluzionaria, ma che oggi si trova al centro di forti contraddizioni davanti alla constatazione che il fumetto è e rimane un’industria («la peggiore del mondo», a detta di uno personaggi di Tota).
In altre parole, il graphic novel ha dato una forma diversa agli stessi problemi che già preoccupavano i fumettisti che disegnavano i supereroi: il medium si sviluppa e apre nuovi spazi di espressione artistica i quali, tuttavia, vengono rapidamente assorbiti dagli investimenti e dalla produzione che ne impongono lo sfruttamento, fino all’esaurimento di quella spinta. Del resto, tornando alle domande poste in apertura, è piuttosto facile notare, oggi, come la complessità e la “letterarietà” che dovrebbero distinguere il graphic novel non siano affatto requisiti imprescindibili per la categoria, in un panorama saturo di pubblicazioni. Per non parlare delle condizioni lavorative precarie e spesso insostenibili di autori e autrici, che sono cambiate di poco rispetto al quadro tratteggiato da Tota.
D’altra parte, rispetto al racconto, La magnifica illusione prende fin da subito il respiro del romanzo: si tratta di una narrazione che chiede di essere sviluppata, con personaggi che, nella loro iniziale durezza, vogliono essere approfonditi attraverso le loro azioni e le loro cadute. Allora è un bene che sia previsto un secondo capitolo, perché si termina questo volume con il desiderio di leggere di più, di perdersi ancora per un po’ dietro a Roberta Miller e ai suoi sogni, dietro a questa maledetta e disperata necessità di raccontare. E c’è un’immagine significativa, anche solo perché si trova in un altro fumetto decisamente romanzesco di recente uscita, che è Bestie in fuga di Daniele Kong (Coconino Press 2024): il personaggio protagonista vaga per la città con una macchina da scrivere non sua, appesantito, ma anche eccitato da questo particolare fardello.
È come se l’atto di raccontare necessiti di essere rimesso al centro, per strada e in mezzo alle persone, di tornare a essere un atto fisico e una pratica, con un che di anacronistico dato dal sapore retrò della macchina da scrivere. La sensazione oggi è che si scriva e si parli molto, si produca altrettanto, ma anche che le ambiguità e la ricchezza di significati di una storia, le pratiche apparentemente banali di una vita, siano sfumature sempre più rare. Anche questa può essere solo nostalgia, ma se ha per oggetto la complessità di pensiero e di creazione, potrebbe essere una nostalgia giustificata. Quello di Roberta Miller (e di Franco, il protagonista di Bestie in fuga) è un atto di resistenza goffa, impacciata, che la costringe a barcollare sotto il peso del proprio strumento, illusa (ed è forse questa la “magnifica illusione”) di poter cambiare il mondo con le parole, o anche solo di riuscire a esprimere ciò che le brucia dentro. Rispetto alla sua riuscita, non è detta l’ultima parola: aspettiamo il secondo volume de La magnifica illusione.

Alessandro Tota, La magnifica illusione, Coconino Press, Roma, formato 17 x 24 cm, 248 pp. (colori), € 22.