Amigdala, ultima raccolta di Riccardo Frolloni, esce nel maggio 2024 per Nino Aragno Editore, a tre anni di distanza da Corpo striato (Industria & Letteratura). Già allora fu fatto notare come la costruzione fosse centrale in questo secondo libro[1] e, in effetti, che i testi siano stati pensati e accostati in maniera più concertata rispetto a Corpo striato, il lettore non impiegherà molto a verificarlo, senza che questo sia necessariamente un pregio o un difetto. Ciò su cui sarà utile invece soffermarsi è la conseguente maggiore narratività di Amigdala. Quelle che seguono sono alcune considerazioni sulle linee narrative, ma anche tematiche e simboliche, che si intrecciano nelle due raccolte, al di là del più evidente richiamo a componenti del sistema nervoso (lo striato ha un ruolo nella gestione dei movimenti e nelle funzioni esecutive, l’amigdala si occupa invece di gestire le emozioni).
Dopo un primo testo-prologo, si passa subito in Amidgala a parlare del terremoto che ha aperto quella «faglia» da cui poi, sembra dirci l’autore, sono nate e scaturite tutte le altre: per i genitori, la fuga all’estero a cercar fortuna nella Romania del dopo Ceaușescu; per il protagonista, la poesia: «Non c’è alcun dubbio che la scossa sia stata provocata o almeno influenzata dalla litania sibillina» (Amigdala, p. 12). È interessante notare che quasi la stessa immagine usata qui, la crepa nel muro, si trovava anche nel testo di chiusura di Corpo striato, Memoria 0: «il terremoto del ’97 e mia madre che mi | trascina | per le scale e la crepa sul muro» (p. 61). Memoria 0 sembra infatti essere il punto di partenza, o quantomeno un’anticipazione, dei nuclei di Amigdala, oltre a condensare alcuni elementi disseminati in quella prima raccolta (la «quercia carbonizzata […] nell’ambra della memoria» di Sogno V diventava in Memoria 0 «una mano | nera, aperta, carbonizzata | nell’ambra della memoria»; Corpo striato, rispettivamente p. 43 e p. 65). La raccolta si apre quindi con una memoria; un ricordo significativo perché particolarmente denso a livello emozionale. È qui che l’amigdala si attiva e inizia il suo viaggio, e lo scenario iniziale è quello di un territorio su cui incombe una minaccia, un pericolo.
Tema centrale in Amigdala è infatti la paura, che viene raccontata a volte in versi, a volte con inserti e aneddoti tecnico-scientifici, come se la si volesse spiegare prima di tutto a sé stessi; come se, e forse è vero, sviscerare qualcosa, scomporlo, potesse svelare il mistero, uccidere l’idolo e l’enigma (parola che foneticamente ricorda amigdala e, dopotutto, questo libro forse non è altro che il tentativo di spiegare l’enigma della storia familiare). Che poi anche questi inserti più tecnici, apparentemente in prosa, così come le fotografie che accompagnano i testi, siano in realtà tutti versi, sarà sicuramente vero, quasi scontato[2]. L’autore sembra andare in cerca dei casi ed episodi più bizzarri, relativi soprattutto al comportamento animale, utilizzandoli per spiegare un momento della storia europea e la storia della sua famiglia dentro quegli anni.
Onnipresente è quindi il tema dei soldi; della provincia ingenuamente avida di soldi e immobili, di milioni di lire e di affari e che pensa di poterli trovare con relativa facilità. E tra desiderare i soldi, convincersi di averne diritto e rubare, è un niente; quasi la stessa cosa. «Per entrare in società ogni membro avrebbe dovuto versare duecento milioni, | chi versava meno prendeva meno» (p. 32).
Quando il tema della manipolazione da parte di una psicosetta entra nella narrazione, alcune pratiche quasi magico-religiose, d’altri tempi (parte forse di quella provincia che si vuole raccontare), vengono invocate per scongiurare l’assoggettamento alla setta. Come sostiene Laura Pugno nella quarta di copertina, il motivo della manipolazione psicologica «si impone a questa generazione» anche nelle forme affini della disinformazione e delle fake news. Tuttavia, forse il vero assoggettamento è al capitale, al denaro. «Discutere sull’assurdità, quando tutto è normale», appunto (p. 34).
Uno degli obiettivi del libro è raccontare un’assurdità che è sembrata normale e forse in parte, per qualcuno, lo è ancora; una storia singolare che tuttavia si è fatta condivisa e, quindi, condivisibile, termine che si ripresenta più volte e che mi pare fondamentale. Ciò vuol dire due cose: uno, che la storia della famiglia di Amigdala potrebbe essere la storia di molte famiglie in quegli anni[3]; due, che quella storia è stata in parte giustificata dai singoli fino a renderla raccontabile e condivisibile. Ma qui torna la «faglia» (e l’architettura del libro): «una faglia aperta mette radici e può essere tappata solo in superficie» (p. 75). La normalizzazione e giustificazione di quell’avventura nella Bucarest degli anni successivi alla dittatura non è totale, ne rimangono dei segni nella psiche delle persone che l’hanno vissuta.
Allo stesso modo, la normalizzazione degli anni Ottanta e Novanta, con la vittoria del Neoliberismo e l’affermarsi di un modello di vita basato sul consumismo, non ha saputo evitare di lasciarsi dietro delle crepe e faglie, nelle quali bisogna insinuarsi come per guardare la realtà da un altro punto di vista e scoprire che certe assurdità sono evidenti anche ad altri. E, infatti, le «radici» insinuatesi nella faglia riemergono, affiorano («se risparmia le radici, | entro un anno dovrà tagliarle di nuovo», p. 81).
Eppure, allo stesso tempo, è anche grazie alla sua normalizzazione se questa storia è stata condivisa prima con l’autore bambino e successivamente con noi. Scrivere è poi è un tentativo di controllare qualcosa su cui non si ha il controllo, perché condividere non è controllare.
Guardando ancora in prospettiva le due raccolte, c’era già in Corpo striato – e qui continua – l’impressione di assistere a un’epopea familiare. Nel primo libro si ha l’inizio di una saga, di un epos. Nelle intenzioni dell’autore pare infatti di percepire una volontà e un bisogno di mito. E come all’inizio di ogni mito, si partiva dalla terra, dalla provincia («la terra infine la nostra e così comincia una stirpe», Corpo striato, p. 21). In Amigdala fa ora irruzione la Storia con le sue menzogne, ma allora c’erano solo terra e sogni e morte. Altra linea tematica che accomuna le due raccolte è difatti quella del sogno e della visione onirica. In Corpo striato erano moniti, ammonizioni, segni; in Amigdala il sogno va forse inteso soprattutto come abbaglio, persuasione, illusione in qualcosa di terribile.
Amigdala, si configura allora come un tentativo di indagine interessante perché necessario: la vicenda particolare viene inserita nella riflessione, già storica, sui miti che hanno plasmato gli ultimi decenni del XX secolo e che sono già molto spesso dei rimossi. Tale riflessione è allora necessaria perché, sebbene non tutti attraversino Bucarest con un furgone pieno di rotoli di banconote, forse «l’ingenua fragilità di chi sogna sfuggire alla terra» (Amigdala, p. 95) è ancora la stessa per tutti.
[1] Ha sostenuto questa tale posizione Stefano Colangelo, in occasione della presentazione della raccolta a Bologna (24 maggio 2024).
[2] Ibid.
[3] Scontato ma necessario ricordare, come fa l’autore, che la storia di Amigdala non è un’autobiografia né una biografia, ma «un insieme di frammenti di storie, di verità parziali» (p. 95).