Montague Rhodes James (1862–1936), medievalista e accademico inglese tra i più rispettati e influenti della sua generazione, occupa un posto tutto sommato marginale nell’editoria italiana del soprannaturale. Se paragonato ad autori coevi come H.P. Lovecraft o Arthur Machen, tanto per dirne due che in tempi recenti hanno visto le loro opere fare capolino nelle librerie italiane con sempre maggiore frequenza, James sembra quasi appartenere a un’epoca lontana, superata, di fronte alla quale il lettore di oggi si trova un po’ a disagio, quasi spaesato. È per questo che imprese come quella appena realizzata da Racconti Edizioni, che si intitola Monito ai curiosi e che ripubblica, in una nuova traduzione di Sara Bua e Matilde Piccinini, una selezione dei racconti di James, rappresenta un evento da segnalare. Perché leggere James è, ancora oggi, un’esperienza memorabile.

Nel suo famoso The Supernatural Horror in Literature (1927), Lovecraft cerca a lungo di spiegare quello che chiama il «potere quasi diabolico» di James nell’evocare gradualmente un senso di inquietudine partendo dagli aspetti più quotidiani, quasi dimessi, dell’esperienza umana. Nei racconti di James, pubblicati tra il 1895 e il 1933, i fenomeni soprannaturali vengono introdotti molto gradualmente, quasi con cautela, dice Lovecraft, «badando sempre a mitigarli con qualche piccolo dettaglio semplice e banale, e arricchendoli ogni tanto con qualche tocco di erudizione». Il mondo di James non è quello cupo e oscuro della metropoli inglese, bensì quello evocativo della campagna sonnolenta, con le sue cattedrali, i suoi cimiteri abbandonati, le sue dimore remote e i suoi vecchi archivi, dietro i quali, inaspettatamente, si annida un orrore che si pone al di fuori della storia ed è quindi prettamente, squisitamente letterario.

Con James, il racconto di fantasmi raggiunge vette rarefatte e insuperate di eleganza, immaginazione e pulizia formale, anche se al contempo perde parte della sua dimensione politica e del suo potenziale trasgressivo. Nel suo A History of the Modern British Ghost Story (2011), Simon Hay scrive che le storie di fantasmi hanno sempre a che fare con un trauma irrisolto di carattere storico che, nel caso della Gran Bretagna del periodo vittoriano, corrisponde alla transizione dall’aristocrazia rurale alla borghesia metropolitana e all’espansione dell’impero. Questa dimensione della storia, però, con le sue tensioni ed implicazioni, sembra dissolversi nel racconto di fantasmi di James – e più in generale in quello degli autori di epoca edoardiana. Come nota Fabio Camilletti in Italia lunare (2018), i protagonisti delle sue opere, spesso antiquari o accademici, nel loro tentativo di «riportare alla luce frammenti del passato in dimore storiche accuratamente descritte», rappresentano «il desiderio borghese di impossessarsi dell’eredità e degli spazi dell’aristocrazia». Tuttavia, Camilletti conclude, «dato che il passato non si può mai ereditare in modo innocente, la sua carica perturbante dovrà essere disinnescata, abbandonando luoghi e oggetti “infestati” o restituendo i frammenti di passato a quei luoghi – il museo, la pinacoteca, l’archivio – in cui la modernità regola i propri conti con la storia».

A differenza della grande maggioranza di autori del soprannaturale, James offre ciò che Hay definisce «finali narrativamente soddisfacenti»; nonostante le sue storie non forniscano alcuna risoluzione a livello della trama, e le conclusioni siano lontane dall’essere liete o rassicuranti, il lettore percepisce un piacere inconsueto, quasi inspiegabile, una volta arrivato alle righe finali del racconto. Se la risposta a questa stranezza risieda o meno in quello che Hay chiama il ‘naturalismo’ delle storie di James è discutibile, ma è indubbio che leggere questi racconti costituisca un’esperienza intellettualmente e letterariamente molto diversa rispetto a quella fornita da altri esploratori del soprannaturale. Un’esperienza che possiamo paragonare per certi versi a quella che viviamo quando leggiamo un romanzo di John Dickson Carr (non a caso grande ammiratore di James), ugualmente capace di sprigionare quel sottile, perturbante piacere prodotto dal contrasto tra il razionale e il soprannaturale, la regola e l’anomalia, il quotidiano e lo straordinario.

Se leggere James, come Carr, riconcilia con l’idea stessa di letteratura come esperienza intellettuale, poterlo fare in una nuova traduzione italiana rappresenta una piacevolissima sorpresa. In questo caso siamo di fronte ad un’operazione editoriale molto interessante. Chi ha curato questa raccolta (il nome non è specificato) ha compiuto una scelta singolare e contro-intuitiva, selezionando esclusivamente racconti del tardo James, pubblicati dopo il 1913 e contenuti nelle raccolte A Thin Ghost and Others (1919), A Warning to the Curious and Other Ghost Stories (1925) e The Collected Ghost Stories of M.R. James (1931) – ‘The Malice of Inanimate Objects’, fedelmente tradotto come ‘La malvagità degli oggetti inanimati’, è la penultima storia che James ha scritto e l’ultima a essere pubblicata con lui in vita nel 1933. Così facendo, si immettono sul mercato editoriale italiano storie che hanno avuto una circolazione più modesta, permettendo così ai lettori che hanno un po’ di familiarità con l’autore di scoprire qualche avventura inedita, e a quelli che ancora non lo conoscono, invece, di incontrare un James più nascosto, aprendo ulteriori orizzonti di lettura. Eccellente, ad esempio, ‘An Episode of Cathedral History’ (‘Un episodio storico di una cattedrale’, 1914), in cui la demolizione di un vecchio pulpito di una cattedrale porta alla luce un’antica tomba dalla quale una figura soprannaturale (secondo alcuni un demone, per altri un vampiro) fuoriesce per diffondere caos e orrore. Ugualmente notevoli sono ‘The Uncommon Prayer-Book’ (‘L’insolito libro di preghiere’, 1921), che mescola tutti gli elementi classici del racconto di James – un antiquario, un remoto villaggio inglese, una casa in campagna con una bellissima ma inquietante cappella ormai in disuso; ‘A View From a Hill’ (‘Una vista panoramica dalla collina’, 1925), uno dei più cupi e suggestivi della raccolta, che ruota attorno all’esistenza di un binocolo che permette di osservare il passato e vedere oggetti e situazioni che non esistono più, generando così una serie di terribili conseguenze; e ‘The Story of a Disappearance and an Appearance’ (‘Storia di una scomparsa e di una ricomparsa’, 1913), che mescola ghost story e detective fiction, ed è l’unica di James parzialmente ambientata a Natale, dettaglio curioso, vista la nota tradizione che vede l’autore inglese narrare storie di fantasmi a studenti e professori del King’s College di Cambridge la sera della vigilia.

Certo, sorprende non poco che, in questa selezione, non sia contenuto alcuno dei racconti della prima raccolta, Ghost Stories of an Antiquary (1904), che oltre a ‘Count Magnus’ e ‘Number 13’ presenta opere straordinarie come ‘Canon Alberic’s Scrapbook’, ‘The Mezzotint’, ‘Oh, Whistle, and I’ll Come to You, My Lad’ e ‘The Treasure of Abbot Thomas’. Il compiere scelte contro-intuitive non sarebbe di per sé un problema se solo queste fossero giustificate e se dunque esistesse un apparato critico adatto a sostenerle. Purtroppo, invece, al di là delle sporadiche note al testo fornite dalle traduttrici, il volume non introduce per nulla James al lettore italiano (che molto probabilmente lo conosce poco) né contestualizza i singoli racconti, di cui non sappiamo titolo originale e anno di pubblicazione. Questo, che a molti lettori sembrerà un problema marginale, è invece sintomo e conseguenza del difficile rapporto tra ‘critica’ e quella che in Italia è chiamata letteratura d’intrattenimento o popolare – che in buona sostanza è solo la letteratura che, di alta o bassa qualità che sia, vende.

Marco Polillo, scrittore e grande editore (la sua collana ‘I bassotti’, centrata sul giallo anglo-americano del primo Novecento, rimane ad oggi una delle pietre miliari dell’editoria italiana), una volta mi disse che l’apparato critico negli scritti di autori ‘popolari’ era sostanzialmente irrilevante perché, a sua opinione, «agli italiani non piace leggere la critica». Io non so quanto questo sia vero; dopo tutto, occorrerebbe prima provare a fornire qualcosa di maggiormente strutturato e corposo ai lettori prima di etichettarlo come inutile (cosa che Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, tra l’altro, hanno sempre fatto con le collane horror di Newton). Certo è che l’assenza di curatori esperti genera alcune problematicità. È significativo che una casa editrice come Racconti Edizioni sia costretta a presentare James come ‘lo Stephen King vittoriano’. Al di là del fatto che James non è uno scrittore vittoriano, sia per sensibilità che per mere ragioni cronologiche, è difficile trovare un paragone più bizzarro di quello con King. Come scrive Marco Malvestio in un pezzo apparso l’anno scorso, «quello che si può dire di King è che sia troppo». Se James è un autore elegante, evocativo, leggero, King è al contrario eccessivo, debordante, chiassoso. Anche mettere King e James sullo stesso piano in quanto ‘bestselleristi’ è una forzatura eccessiva.

Tutto ciò potrebbe apparire, come detto, un dibattito ozioso. Io credo invece sia una spia di un doppio problema: da una parte l’esiguo numero di accademici italofoni con una reale competenza in materia, nonché capacità di analisi e proprietà comunicative; e dall’altra una certa pigrizia di molti editori italiani che, per motivi diversi, tentano di sondare i terreni della letteratura popolare senza appigli di riferimento. Il problema è che, in buona sostanza, la letteratura popolare è quella che circola di più, quella più influente, quella col vero potere di plasmare nuove e vecchie generazioni di lettori. Trascurarla, o pensare che possa auto-gestirsi, alimenta il vecchio stereotipo che la vede ideologicamente irrilevante o, peggio, letterariamente scadente. E in molti casi non è nessuna delle due. Leggere di James non è certo come leggere James, ma può fornirci una chiave interpretativa del perché lo amiamo così tanto.


M.R. James, Monito ai curiosi: Racconti di fantasmi, traduzione di Sara Bua e Matilde Piccinini, Roma, Racconti Edizioni, 2023, 20€, 350 pp.