«Con tutti gli occhi la creatura vede / l’aperto. Solo i nostri occhi sono / come volti all’indietro e attorno ad essa, / trappole poste tutto intorno / al suo libero uscire» (R. M. Rilke, Ottava Elegia, in Elegie Duinesi, a cura di M. Ranchetti, Feltrinelli, Milano 2006). Che cos’è la creatura una creatura? Res creata, una creatura è stata resa tale (prima non lo era, perché prima, semplicemente, ancora non era o non c’era) da un gesto, appunto, creatore: da un potere sulla vita sovrano, che della vita decide sorti e vicende. Così era nel gesto dell’incipit del mondo nella narrazione cristiano-cattolica, e così forse è ancora, quando parliamo di vite plasmate, nel loro più irruento divenire, farsi e disfarsi, da un potere cosiddetto pastorale: disciplina dei corpi, disciplina delle menti. Una creatura – è M49, decisa, sin dal nome, dal Progetto trentino Life Ursus e dal PACOBACE, ovvero Piano d’Azione dell’Orso Bruno nelle Alpi Centro-Orientali. 18 i gradi di problematicità in cui il Progetto ripartisce gli atteggiamenti dell’orso-creatura nei confronti dell’uomo e dei suoi spazi – è proprio della convivenza uomo-orso che il PACOBACE s’incarica di dare ordinamento – cui rispondono altrettante azioni d’intervento e controllo (trappole, al suo libero uscire). Creatura: non semplicemente essere naturale, né già artificio umano, essa accade in un mondo di mezzo, e ha bisogno dunque d’esserne indirizzata, che sia al di dentro o al di fuori. Il plantigrado che sconfina nel centro urbano, dalla foresta (foris, ovvero ancora il fuori o l’aperto cui sarebbe dovuto appartenere, in cui si sarebbe dovuto mantenere), entra in una zona d’indecisione/intersezione tra selvatico e domestico: che potremmo definire il creaturale. Creatura, come lo è M49: prodotto, creato, dal Progetto Life Ursus non solo nella sua definizione di orso problematico (in tedesco, avviene il conio di un nuovo termine per porre termine allo sconfinamento: Problembär), definizione non semplicemente nominale, ma già giuridica e istitutiva; l’orso adolescente è effettivamente risultato (prima non c’era!) del progetto di ripopolazione che ha visto il suo apice dal 1999 al 2002 – ulteriore concrezione di antropico e ferale. Creatura, participio futuro: ancora da crearsi, ancora da decidersi. Ecco dove situare M49. Un orso in fuga dall’umanità, prezioso testo (quasi canto) che Massimo Filippi (docente di neurologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e già autore della questione animale con Ai confini dell’umano, Nell’albergo di Adamo e Questioni di specie, fra gli altri) compone per Ortica Editrice, e che Andrea Nurcis accompagna con le proprie illustrazioni.

Testo che, come vuole il Deleuze delle Conversazioni citato nell’epigrafe del libro, è scritto per la creatura, o che la creatura lascia anzitutto parlare: «Marrano due volte, perché non umano resisto, fuggo, mi smarco […]. Poi perché scavalco, da acrobata provetto, le vostre tassonomie, le vostre classificazioni e i vostri recinti, cancelli e palizzate, balzando da un lato all’altro con facilità estrema» (pp. 33-34). Participio passato (la decisione che vaglia il comportamento del giovane orso, ne commina un’adeguata pena e infine una reclusione, il codice che legifera e della creatura modifica, volta per volta, lo status), e assieme futuro: la fatticità della creatura, il suo essere, sono sempre aperte alla metamorfosi, alle possibilità – creatura: qualcosa che deve ancora accadere, ha ancora da realizzarsi e farsi. Duplice creazione è quella di M49, che lo rende doppiamente marrano; oppure un unico processo, che è quello del subire, e dunque di sfuggire, alla condanna reiterata. Giovane orso, M49 viene abituato da un pastore ad avvicinarsi alle malghe e agli alpeggi – seguono suoi avvicinamenti ai centri abitati in cerca di cibo, la sua marchiatura come orso pericoloso, la sua cattura e imprigionamento. È il 15 luglio del 2019 il giorno in cui evade (una prima volta) dal Casteller, centro in cui è richiuso; il 29 aprile del 2020 il giorno in cui viene ricatturato, e ancora il 27 Luglio la data della seconda fuga (che gli guadagna il nome proprio di Papillon, dal lungometraggio in cui Steve McQueen interpretava un detenuto nella sua incredibile, impossibile fuga). Storia d’escapismo: e storia naturale come la intendeva Walter Benjamin nel suo testo sul Dramma tedesco e la sua Origine, se essa nomina, più che il susseguirsi di stagioni ed ere geologiche, l’incessante ripetizione di nascita e decadenza degli ordini e ordinamenti umani – ciclo infinito di lotta per l’egemonia, reiterazione della legge che sospende sé stessa per rinnovarsi, e sotto altre spoglie conservarsi. Ecco dunque la creatura M49: su cui la storia naturale, ovverosia la storia della violenza e della sua legge, il massiccio, metamorfico, codice penale, s’inscrive. Come s’inscriveva, ancora stando a Benjamin, sui corpi kafkiani dei condannati (l’erpice che riporta sul corpo il comando disatteso, e che il corpo lentamente finisce per coprire alla vista), o sui personaggi di Kafka tout court: tutti piegati, contorti e ritorti, sotto il peso della legge e i suoi nominati, presunti, torti.

Creatura, M49, Papillon, o, con Filippi, Tra è allora il nome di questa vulnerabilità ed esposizione al dettame, e di quel che al dettame riesce a sfuggire – sia questo solo uno scampolo, due zampe o un lobo d’orecchio. Creatura, nome che, come notato da Eric Stantner in Creaturley Life (e prima ancora, da Beatrice Hanssen in Walter Benjamin’s Other History), passa dal rappresentare «una qualche cosa prodotta o diretta da un agente, autore, padrone o tiranno» a ciò che «rasenta il mostruoso e l’innaturale», o ancora «quelle cose create che deformano il giusto canone della creazione» (Eric L. Stantner, On Creaturely Life, University of Chicago Press, Chicago-London 2005, p. 28). Creatura come scomposta, creatura come fuorilegge, allora: non semplicemente substrato del potere, materia e carne di cui quello ha pur bisogno, per esercitarsi e quindi venire all’essere (un’altra specie di creatura); ma elemento di rovesciamento, o quantomeno di sospensione del discorso del padrone, del diritto positivo e giusto. Dove c’è potere c’è resistenza, e anche M49 può quindi essere sovversivo stratega: «mappo il territorio, medito strategie, ribalto tattiche e le metto in atto, misuro il bosco a grandi passi o lenti, centimetro per centimetro, secondo per secondo, sorveglio la sorveglianza e, al contempo (ne sareste capaci?), mi faccio estasiare dalla pioggia, crogiolare dal sole e respirare dal vento, mi interrompo in improvvisa, avulsa attesa, mi chiamo, guardo la struggente bellezza del crepuscolo […] E piango la sera, mia personale, laica preghiera» (p. 47). Innaturale, nel mimare e affinare di volta in volta la sua risposta alla legge. Innaturale nella sua melancolia, come lo è ogni creatura, ossia ancora ogni essere di mezzo, ossia ancora ogni Tra: sospinto all’esterno del consorzio animale, né già accolto in quello umano. Nel rifiuto di risiedere nell’uno e nell’altro, l’orso Tra (e Filippi, che per unorso scrive) mostra la vacuità della loro distanza. E il suo corpo si carica e sovraccarica dei segni di questa decisa separazione, continuo (come lo è la storia naturale) smembramento. Tra: tra fuga e cattura, figura del risentimento antecedente all’economia nicciana di debito e credito. Figura del risentimento precedente ogni commercio con l’uomo e dell’uomo, che prende forma, piuttosto, nel mondo e nel corpo della mera creatura – questa assurge anzi come valore creato, dal quale può prender il via l’economica commutazione (l’orso non più problematico ma restituito al naturale, o naturalmente ricollocato nel diorama dal PACOBACE, come moneta sonante, capitalizzazione turistica). Figura su cui il risentimento, come la legge, come il reato, si scrive e scrive e parla: prende parola, diviene infine testo. Creatura: creazione continua, invenzione narrativa e quindi anche politica. Seguiamo, dunque, quest’orso in fuga dall’umanità, il cui corpo è resto e negativo del codice penale – soffre sotto la legge, ma legge non può dettare, solo subire sul proprio corpo, e da lì studiarla. Con tutti i suoi occhi, del resto, la vede e la scruta, come il Bucefalo di Alessandro e di Kafka, che, con i «fianchi non più oppressi dalle reni del cavaliere […], lungi dal clamore della pugna», «legge e sfoglia le pagine dei nostri antichi volumi» forensi (Franz Kafka, ‘Il nuovo avvocato’, in Tutti i racconti, Mondadori, Milano 2017, traduzione di Ervino Pocar e Rodolfo Paoli). Impara, forse, a evitare le trappole al suo libero uscire. Tornando ancora una volta a Kafka e Benjamin suo lettore, esiste forse la possibilità di una fuga dall’umanità e dalla sua storia naturale (l’economia della violenza), di una legge non più imposta e praticata, ma solo studiata. Di un diritto svuotato del diritto e del retto e del giusto – perciò deposto, e certamente impotente: la fuga compiuta, che può diventare, o rimanere, gioco. O uno stendersi con, e tra, altri animali: «mi ricordi, sempre sorprendente, che terminato è il tempo dello schermo, che è tempo adesso di sdraiarsi a terra insieme alle morte, alle inesistite, alle animali, all’ombra di boschivi rami, «per leggere gli archivi tremuli dei ragni, le oscillanti poesie delle lucciole, i torbidi romanzi delle marmotte, l’epica labirintica dei surmolotti –, è tempo – si diceva –», di sdraiarsi «tra me e te, tra te e me» (pp. 111-112).


Massimo Filippi, M49: Un orso in fuga dall’umanità, illustrazioni di Andrea Nurcis, Anzio, Ortica Editrice, 2022, 10€, 118 pp.