Una giostra da luna park che gira all’impazzata in un piazzale, una bambina che volando si stacca dal suo vorticare e precipita al suolo. Questa la scena iniziale (e finale) di Fortuna. The Girl and the Giants, l’opera prima di Nicolangelo Gelormini, un film in concorso alla 15esima Festa del Cinema di Roma 2020 e la cui prémiere internazionale è avvenuta qualche mese fa al Black Nights Film Festival di Tallinn. La bambina violentemente staccata dalla giostra e scaraventata a terra è la scena che fa da cornice al film, un film dove viene rappresentata un’infanzia brutalmente strappata. «E’ un film sul tradimento», dichiara Gelormini, «un film che mostra l’infanzia tradita e uccisa». Il volo di Fortuna (questo uno dei due nomi della bambina) dalla giostra si ricollega anche a quello che realmente succede alla bambina, che alla fine del film viene precipitata giù dall’alto di un condominio. Il fatto non è finzione, ma la versione cinematografica di un reale evento di cronaca avvenuto nel 2014 in un quartiere di Napoli, dove la bambina Fortuna Loffredo, dopo anni di abusi fisici, venne uccisa, lanciata dall’ottavo piano.

Questo doppio fil rouge, che si traduce nella sovrapposizione di una versione immaginaria a una versione reale degli eventi, esemplificato dal doppio significato della scena della giostra, caratterizza l’intero film. La protagonista stessa (interpretata da Cristina Magnotti) ha due nomi: è Nancy, la principessa del pianeta Tabbys che aspetta la cometa che la riporti a casa, ed è Fortuna, una bambina che vive in un quartiere popolare di Napoli, con un padre in prigione e una madre in difficoltà. Il complesso tema dell’identità sdoppiata viene elaborato da Gelormini in connessione con la dimensione del fantastico, dell’onirico, e dell’uncanny (o perturbante, o unheimlich, dal famoso saggio freudiano del 1919). Massimo Fusillo, nella sua opera L’altro e lo stesso: teoria e storia del doppio, sottolinea come l’esplicita identità sdoppiata rappresenti «il culmine di un attacco sistematico al principio di identità, in cui diventa particolarmente chiaro quel ritorno di credenze magiche e infantili superate dal maturare della razionalità che costituisce secondo Freud l’essenza dell’effetto perturbante» (43). Fortuna/Nancy è una bambina, la cui psiche si può supporre non sia ancora stata inglobata da una razionalità dominante, e Gelormini, nel suo film, offre allo spettatore un’immersione all’interno di una mente infantile che cerca di affrontare una realtà insostenibile. Per farlo, si sdoppia: l’irrompere del magico, e dell’irrazionale, è la strategia che la bambina mette in atto per riuscire a sopravvivere.

Anche il film si sdoppia, e presenta due diverse versioni della stessa storia, rievocando situazioni e atmosfere lynchiane (Mulholland Drive come esempio principe), o film quali The Double Life of Veronique di Kieslowski. Durante la prima parte, siamo nel sogno, nella versione fantastica e immaginaria dell’identità e della realtà: la bambina si chiama Nancy, è una principessa aliena, ha capelli sempre perfettamente frisé, è vestita con abiti raffinati dai colori pastello, vive in un elegante palazzo, e ha una madre (Valeria Golino) affettuosa e presente. Gelormini però non commette l’errore di presentare due metà opposte della medesima storia, una versione edulcorata e fiabesca, e una versione realista e violenta: elabora piuttosto il complesso significato del perturbante. L’unheimlich significa l’esibizione del non-familiare nel familiare, e viceversa, creando nella psiche effetti inquietanti e inspiegabili, che, nel caso di Fortuna, si riflettono dalla mente della protagonista in quella degli spettatori.

Nel mondo pastello della prima interpretazione della vicenda, irrompono in modo sempre più irruento elementi spaventosi che rischiano di trasformare la favola della principessa di Tabbys in un horror gotico, con atmosfere stranianti che ricordano Dario Argento. I “giganti”, creature alte, mascherate e mostruose, la cui presenza è annunciata da fiori blu, minacciano l’esistenza di Nancy e dei suoi amici, e vogliono impedire il ritorno della principessa al suo pianeta di origine. Nancy non è mai completamente a suo agio nel mondo dove si trova; al di là della continua minaccia incombente dei giganti, tante cose non tornano: Nancy soffre di amnesie, non riconosce i luoghi e le persone, trova indizi (oggetti, frasi a metà) che le evocano vagamente qualcosa di brutto che non riesce a mettere a fuoco (qui la somiglianza con Mulholland Drive). Il film di Gelormini è stato definito da Dario Ronzoni «una favola metafisica dove la protagonista si muove con delicatezza in un universo mostruoso». Il mostruoso serpeggia continuamente nel mondo di Nancy/Fortuna, in entrambi i resoconti della storia, solo nella prima parte è mascherato da simboli, indizi, elementi repressi, che riemergono poi più prepotentemente nella seconda parte. Il background teatrale di Gelormini lo rende inoltre forse più incline a omettere un’esplicita rappresentazione della violenza; tuttavia l’atmosfera sospesa e rarefatta da incubo rende la narrazione ancora più penetrante e coinvolgente.

La storia di Nancy si trasforma, nella seconda metà del film, nella vicenda di Fortuna: la raffinata abitazione muta in uno squallido condominio di periferia, la madre amorevole in una giovane fumatrice nevrotica. Valeria Golino invece diventa la psicologa che segue la bambina, che ha smesso di parlare a causa di un trauma inespresso. Se nella prima parte Nancy non ricorda, nella seconda Fortuna non parla: la violenza corporea che la bambina subisce la mutila nelle capacità mentali, e la rende in entrambe le narrazioni un’outsider, una principessa aliena o una bambina muta che non appartiene al mondo che la circonda e lo rifiuta. Il film si snoda in maniera enigmatica, svestendosi di strati e mostrando, ma sempre continuando contemporaneamente a nascondere: il mistero, seppure pian piano dolorosamente svelato, resta troppo orribile, troppo inspiegabile, per tradursi in esplicita manifestazione visiva. Gelormini racconta come abbia scelto di usare il cinema di finzione e quindi il fuoricampo, cioè «il quadro che mi consente di non parlare. Il cinema come poesia che mi consente di non mostrare per dire». L’orrore accennato nella fiaba horror di Gelormini è però talmente pervasivo da rimanere indelebile forse più che una cruda rappresentazione realista.

La composizione dell’immagine, le geometrie nell’inquadratura, l’insistenza su androni, scale, finestre, tutto contribuisce alla costruzione di uno stato d’animo interiore sospeso, angosciato, che trova corrispondenza in un’architettura alienante che evoca atmosfere da quadro di De Chirico. La musica stessa, «il cui minimalismo a base di droni e deflagrazioni improvvise concorre a sottolineare i turbamenti della giovane protagonista» (Agustoni), e il cui ruolo estremamente significativo ai fini della storia rivela il passato di Gelormini come regista di video musicali, è continuamente suggestiva di un’angoscia inespressa, i cui accenni si fanno sempre più ripetuti e ossessivi. L’importanza e il ruolo della musica, i suoi toni rarefatti e inquietanti che corrispondono a scene altrettanto enigmatiche, rivelano anche la presenza dell’influenza del cinema sorrentiniano (Gelormini, infatti, muove i primi passi nel mondo cinematografico come assistente di Sorrentino). Un altro elemento vocale che ritorna in entrambe le versioni della storia, e che resta con lo spettatore durante i titoli di coda, con un effetto disorientante e macabro, è la televisione che mostra una cantilena per bambini che insegna a imparare le parole, dove diversi nomi di animali sono ripetuti in continuazione. Come enfatizzato da Margherita Bordino, questo ricorda Non ho sonno di Dario Argento, in cui è «presente e ridondante la terrificante filastrocca sugli animali». Qualcosa che dovrebbe essere collegato all’infanzia, e quindi avere connotati di innocenza e positività, è trasformato in un’ossessiva cantilena grottesca, sintetizzando così quello che è il tema principale di Fortuna, l’infanzia tradita, vituperata e rovinata.

Il mondo interiore di Nancy/Fortuna, e il modo in cui lo sdoppiamento cerca di funzionare come elaborazione di un represso inimmaginabile, è mostrato da Gelormini con un’alternanza di garbo e straniamento che, attraverso le diverse strategie cinematografiche, crea un’atmosfera da fiaba noir che rimane con lo spettatore lungamente, anche dopo la fine del film. Come sottolineato in Dirty Movies: «simply put, this is one of the most haunting films of the year». Nancy/Fortuna, e il suo mondo da incubo in stile Alice nel Paese delle Meraviglie, rassomigliano anche alla terribile vicenda di Ophelia né Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro, in cui la bambina protagonista traspone la tremenda realtà del nazismo che la circonda in un mondo onirico mostruoso, sul quale alla fine trionfa come principessa Moanna. Ophelia quindi, nonostante nel mondo reale la aspetti una morte crudele e ingiusta, almeno nella dimensione fantastica del sogno riesce a trasformarsi in una principessa degli elfi; diversamente, per Nancy/Fortuna, nessuna realtà offre consolazione, in entrambe la giostra si spezza e la bambina precipita.