L’intervista con Ophelia Borghesan (nella persona della sua metà “Luca Rizzatello”) verte sul nuovo progetto HOWPHELIA, una piattaforma di contenuti pronta a ospitare una community di artisti e sottoscrittori. Dall’estetica multimedial-seriale di Ophelia Borghesan – coltivata negli anni in opere come Canile, Strap-on and other Observations, Le Pietà – nasce un vero e proprio modello produttivo. Dal progetto editoriale al sistema distributivo, dall’individuazione di un segmento di pubblico fino all’organizzazione di mostre e performance.
*Ophelia Borghesan è un progetto di Luca Rizzatello e Angela Grasso.

HOWPHELIA si trova qui: www.howphelia.com


Partiamo da una presentazione che metta in luce le linee fondamentali di HOWPHELIA, il vostro nuovo progetto editoriale e culturale.

Howphelia nasce a partire da alcune criticità che abbiamo riscontrato quando avevamo la casa editrice. Per noi – Howphelia è infatti un’emanazione di Ophelia Borghesan, produttivamente parlando – le due criticità, le due questioni centrali da affrontare sono da un lato la distribuzione, dall’altro il riconoscimento delle royalties agli autori. Per quanto riguarda la distribuzione, il problema da risolvere è come riuscire, in maniera sostenibile, ad arrivare a un numero di persone che non potresti mai raggiungere appoggiandoti a un distributore tradizionale o spedendo in autonomia la merce a tutte le librerie. Con Howphelia cerchiamo di inserire all’interno di un’infrastruttura digitale qualcosa che abbia una ragione d’essere, un senso di curatela. Il modo in cui i contenuti distribuiti su Howphelia, infatti, non ricalca modelli di piattaforma in cui autori e autrici gestiscono il loro spazio in autonomia. Howphelia vuole invece essere un propulsore, un incubatore in cui artisti, artiste, makers costruiscono contenuti ibridi, tra digitale e analogico. Questi contenuti sono composti sempre da tre elementi: il video, il sonoro e il testo. I tre elementi – che vanno a costruire un prisma, un oggetto multimediale – possono essere proporzionati in maniera diversa, ma la cosa fondamentale è che l’artista li leghi sempre in un discorso. Inoltre, gli oggetti multimediali di Howphelia sono tutti concepiti come episodi di serie: ogni artista presenta una serie che ha un numero limitato di episodi. La piattaforma ospita questi progetti in serie (che poi diventeranno stagioni), e rilascia questi episodi a cadenza settimanale.

Ci sono varie discontinuità che definiscono Howphelia rispetto a una piattaforma di distribuzione di contenuti tradizionale: gli utenti possono fare un abbonamento a un pacchetto residenze. Funziona così: Howphelia ospita in residenza contemporaneamente 3 artisti (che possono essere anche gruppi di artisti, se il progetto è realizzato da un’equipe). Se l’utente sottoscrive un abbonamento per il pacchetto residenze di un determinato mese, per quel mese è come se avesse un biglietto di un teatro. Un teatro che contiene 3 palchi, in cui si esibiscono a ciclo continuo sempre 3 compagnie diverse. Ogni settimana viene rilasciato un nuovo episodio di ciascuno dei 3 progetti, per tutta la durata della residenza. Inoltre, durante il periodo di residenza tutti gli artisti hanno a disposizione delle ore di diretta, fruibili da tutti gli abbonati alla piattaforma, da usare come preferiscono (fare un discorso, commentare le opere, rispondere alle domande, suonare o fare dj set…). Questi momenti – complementari alle opere – saranno utili anche per far conoscere “nuovi” artisti a sottoscrittori che avevano fatto l’abbonamento per seguirne altri, a loro già noti.

Quando gli artisti ospitati da Howphelia finiscono il periodo di residenza, vengono spostati in una zona di renting. Attraverso il pacchetto renting, gli utenti possono noleggiare le opere di un determinato artista. C’è però un plus: per alcune tipologie di renting – ad esempio quello trimestrale – la piattaforma produrrà alcuni oggetti, che possiamo definire libri, che verranno inviati in omaggio ai sottoscrittori. Ogni libro conterrà i testi presenti nell’opera dell’artista, e anche degli extra, e sarà realizzato a misura di ogni progetto. La nostra sfida come modello produttivo è di riuscire a creare un sistema di distribuzione con spedizione diretta a tutti gli utenti, presupponendo un volume di utenti interessante, per bypassare i costi della distribuzione tradizionale. Tutti questi costi che non ricadranno sulla filiera distributiva tradizionale – insieme al fatto di avere una contabilità certa e rapidissima – consentirà di garantire mensilmente il riconoscimento delle royalties a ciascun artista.

Ma il vostro investimento, quindi, è da un lato rivolto alle royalties, ma dall’altro anche alla creazione dell’oggetto libro…

Sì, se il core business di una casa editrice è il libro, per aumentare la marginalità devi anche intervenire sui costi dei materiali. Nel momento in cui il core business è la sottoscrizione – come nel caso di Howphelia – l’oggetto libro è comunque rilevante in termini di costi, ma non è il segmento centrale, su cui andare a fare eventualmente delle economie. Se un editore spedisce dei libri che restano invenduti e tornano indietro, 9 su dieci sono poi da macerare. Spostando il core business sulla sottoscrizione si va quindi a ottimizzare il rapporto tra prodotto e venduto: di fatto azzeri la dispersione dell’oggetto che vendi. Ma non sto dicendo che il problema sono le librerie, perché non è assolutamente vero: ho fatto il libraio per molti anni quindi lungi da me mettere in discussione la professionalità della categoria…

Ma sì, poi il sistema produttivo di Howphelia vale per un certo tipo di opere, quindi per un certo tipo di pubblico (posto che il pubblico non può essere identificato in modo univoco con un solo prodotto). Il tipo di letteratura o di prodotto artistico che mi sembra promuoverete su Howphelia difficilmente si troverebbe in libreria…

Con grande fatica, avendo anche un distributore… il distributore non è il genio della lampada, che basta pagare per farsi piazzare i libri… Considera anche, come dicevo prima, che per ogni progetto noi vogliamo realizzare un oggetto che sia configurato su misura anche a partire da certe caratteristiche tali per cui a volte siamo veramente nell’area del no book. E il no book in libreria lo trovi o a scaffale, oppure nei girevoli, ma se ha un formato particolare diventa faticoso ipotizzare una continuità di posizionamento in un dato reparto, e quindi una confidenza visiva da parte delle persone. Così avremmo tutti i prodotti sparsi (i libri-libri in vendita, i libri con formato particolare fuori dal mercato, i no book in cartoleria, i vinili nel negozio di musica). C’è anche una sfida concettuale in questo: esiste evidentemente un feticismo dell’oggetto libro, per cui il libro oggi non si vende più come un libro. Oggi sono le stories a vendere i libri: lì il libro è un oggetto in mezzo a 25 altri oggetti che c’entrano tra loro solo latamente: una conchiglia, una tazza di caffè, lo smalto…e un libro. Noi allora accettiamo la sfida del feticcio, addirittura tiriamo fuori il libro dal mercato. Perché è omaggio, non ha un codice ISBN: non lo puoi comprare, né lo puoi trovare in libreria o nei siti di e-commerce.

Dalla tua descrizione di Howphelia il tipo di contenuti e di artisti che verranno proposti paiono un’emanazione di quello che ha realizzato Ophelia Borghesan negli ultimi anni. Sei d’accordo? Pensi che Howphelia sia una sorta di salto-evoluzione da una sperimentazione artistica verso un modello produttivo? Oppure in qualche modo volevate dettare una linea, facendo scuola? In modo che molti si diano alle serie o alle ibridazioni multimediali, à la Ophelia?

La concezione della dimensione seriale è solo un aspetto formale o strutturale. Secondo noi la serialità ha radici profonde nell’editoria e anche nella discografia tradizionale. Nel momento in cui ho una serie posso ragionare nei termini di rinnovo di stagione. Il rinnovo di stagione è quello che in editoria si chiamava contratto di opzione. Ti faccio firmare un contratto per cui sarò io editore – se tu dovessi mai scrivere un prossimo libro – ad essere il primo a decidere, se mi piace, di poterlo pubblicare. Perché io credo in te, il rapporto è reciproco, di fiducia e di investimento. L’autore e l’editore costruiscono un discorso insieme, e realisticamente la seconda opera avrà più visibilità della prima. Inoltre potrei anche rientrare di alcune spese che magari ho sostenuto a fondo perduto per il primo lavoro, perché ho ragionato nell’ottica del contratto di opzione fin dall’inizio. Si tratta di una forma di investimento: la forma della serialità presuppone fin dall’inizio un rapporto di fiducia con gli artisti e le artiste coinvolte.

Per quanto riguarda i contenuti di queste serie: abbiamo in essere una ventina di progetti, nessuno di questi è assimilabile all’estetica di Ophelia Borghesan. Noi valorizziamo l’attitudine, i motivi per cui un’artista decide di partecipare a questo progetto anziché affidarsi a canali più tradizionali. Abbiamo cercato di diversificare al massimo per cui, inoltre, nessuno di questi progetti è sovrapponibile. Vorremmo che ogni mese i tre artisti in residenza siano talmente eterogenei tra loro da creare un caleidoscopio di offerta. La sfida è costruire una factory di competenze. Gli artisti che abbiamo coinvolto cominceranno a conoscersi tra loro e a condividere una produzione – non solo all’interno della piattaforma – in cui diverse competenze potranno osmoticamente entrare in contatto: in un superorganismo. La nostra componente autoriale, invece, si riversa invece nella costruzione del palinsesto, nell’estetica dell’infrastruttura, nella produzione di oggetti marchiati Howphelia; gli artwork saranno comunque a cura di Ophelia Borghesan.

Permettimi ora però di contraddirti. Non mi riferivo al fare scuola con un’estetica, ma a un livello di generalità più alto. Partendo dalla poesia, la parabola artistica di Ophelia si è spostata verso una contaminazione di linguaggi. Nel progettare e gestire la nuova piattaforma, che stimola gli autori a usare il formato serie e a mescolare i codici, fate in modo che questi autori entrino in un solco che voi stessi avete percorso per primi. Ophelia ha infatti una riconoscibilità anche nel suo essere figlia di nessuno, non completamente videoarte, non completamente poesia, non completamente grafica… La volontà di lasciarsi aperte molte possibilità – con la fecondità creativa che ne consegue – si incarna nella piattaforma, in cui questa fecondità è resa disponibile ad altri, nelle loro diversità.

A questo livello è così: è il fatto della curiosità a muoverci sempre. Il fatto della curiosità, della stramberia, dell’oddity. Il fatto di contestare l’opera come qualcosa in cui riconoscersi… un modello estetico che crediamo fallimentare per definizione. Se la mia ambizione massima è che qualcuno dica della mia opera “mi è piaciuta perché mi ci sono riconosciuto” è un po’ come essere un pittore figurativo che dipinge una cosa talmente bene che poi arriva uno stronzo e dice “guarda sembra una fotografia”. E tutto il resto? Se devo lavorare talmente “bene” da inseguire chi ho davanti perché compri qualcosa in cui si riconosce… tanto vale che se la faccia lui, il gioco non vale il nostro sforzo.
Altro è introdurre – grazie a tutte le nostre grammatiche e a quelle degli altri artisti – un bug all’interno di una persona che legge, ascolta e vede una cosa. Un bug che il fruitore può anche non condividere ma che in qualche modo va a ridefinire anche involontariamente la sua visione del circostante. Non essendo però respingenti del tipo “ti insegniamo noi come si fa, siamo difficili e se non capisci è perché non hai letto abbastanza libri”. È lì la sfida, produrre un oggetto con diverse sfaccettature, che però deve essere leggibile. Sono d’accordo con te: l’estetica che si tiene aperte tante cose è figlia di un senso di curiosità che deve generare curiosità, che deve dire sempre “chissà cosa c’è dietro l’angolo, sto qui un minuto in più, giro un’altra pagina”. Ed è un discorso che però chiaramente ha una complicanza: bisogna costruire non solo i treni, ma anche i binari…

Di fatto però Ophelia ha costruito questi binari, negli ultimi anni. Aprendo una pista. Se questo “modello produttivo” funzionasse, magari tra 5 anni qualcuno scriverà di un nuovo genere nato proprio grazie al progetto. Alla fine è così che nascono i generi…

Non ci interessa tanto il riconoscimento, ma il fatto che il progetto potrebbe virtuosamente mettere in piedi un network. Se si è in di più si può fare molto di più. Ad esempio, un’altra “fase” legata alla piattaforma riguarda la performance: gli artisti rappresentati da Howphelia andranno in luoghi fisici a fare i loro spettacoli, ad esempio live set coi visual dietro. Una sorta di resa pubblica, di resa live di quello che tu vedi sulla piattaforma, una sorta di spettacolo itinerante. Il progetto prevede dei contatti con spazi attrezzati, che potranno garantire la possibilità di organizzare mostre collettive al cui interno fare dei live. Anche in questo caso si crea un rapporto mutuo, basato sull’esclusiva. Nella città x, fra tutti i locali, portiamo Howphelia nello spazio con cui abbiamo stretto rapporti. È interesse anche dello spazio – se Howphelia ha una credibilità – portarsi tutti questi artisti in esclusiva (in modo da richiamare il pubblico). Howphelia annoda quindi la dimensione digitale, quella analogica dei libri e quella fisica dei live. Inoltre, potrebbe in futuro anche fare da agenzia per gli artisti, perché definirebbe un segmento di pubblico riconoscibile. E non solo per dei referenti ospitati sulla piattaforma: Howphelia potrebbe offrire binari anche a treni che non nascono per lei, ma con cui si potrebbe trovare un accordo sia commerciale sia relativo al capitale simbolico. Insomma stiamo cercando di verticalizzare il più possibile questa filiera, capendo fin dove si può arrivare. Sempre in un senso di win-win

In un’intervista del 2018 (Nella palude) sottolineavi, da una parte, l’individualità della ricerca autoriale, ma dall’altra anche la necessità di fare comunità. L’istituzione letterario-editoriale si concretizza in una comunità. L’obbiettivo di Howphelia mi pare collegare la costruzione di una comunità e la produzione del valore, attivando dei circoli virtuosi. Il win-win infatti si applica agli artisti, al pubblico, a voi, ai locali che ospitano le performance. In una specie (si spera) di fuoco artificiale, in cui il valore esplode, botta per botta…

Passare per l’idea di una creazione dell’identità, prima che di brand. Non vorrei sembrare troppo mistico, ma questo significa cercare una propria verità da comunicare. Verità significa portare avanti un progetto con credibilità per un periodo sufficientemente lungo per dimostrare se funziona oppure no. Ophelia Borghesan come dispositivo, sia per quanto riguarda la parte visivo-illustrativa sia per la parte testuale (le due componenti semanticamente più riconoscibili) riesce a suscitare delle reazioni legate a quella che è la nostra verità, che ci crediate o no. Cosa che io per esempio non esprimevo quando scrivevo a mio nome. Non mi muovevo secondo un’idea di verità, ma di presunzione artistica.  

Quello che mi pare interessante di questo progetto è la forte connessione tra la vostra ricerca artistica e il modello produttivo che vorreste sviluppare. Più precisamente, il legame tra la vostra visione della cultura e il design del modello produttivo. È molto raro un progetto che tenga insieme queste due direzioni, che di solito sono intuitivamente separate.

Di recente abbiamo ricevuto delle commesse per alcuni lavori di grafica e di animazione. Questo fatto di essere richiesti per lavori di servizio, l’abbiamo visto come un elemento di credibilità. Anche solo un aspetto del nostro lavoro si può tenere insieme. A noi del resto piace proprio la dimensione produttiva: produrre altri, lavorare per altri. Cominciare un progetto insieme, portarlo avanti, avere uno scambio, poi quando è il momento fare un passo indietro. Ci piace più questa dimensione preparatoria che la dimensione del palco. Più la parte produttiva che la parte di esibizione.

Un ritorno alla sostanza del lavoro editoriale, anche in senso intellettuale…

La dimensione dell’editore-letterato non credo possa avere spazio a certi livelli. O hai dei finanziamenti che ti garantiscono delle coperture per cui ti puoi occupare di fare solo il letterato editore, altrimenti non sta in piedi… Lo dico con dispiacere.

Sì, ma penso anche al fatto all’artigianalità del produrre il libro. Se uno ha questa etica dell’artigianalità, si può applicare sia all’ultimo romanzaccio porno sia alle poesie di Montale. Aiutare qualcuno a produrre qualcosa…

Quando avevo la casa editrice mi è accaduto più volte di parlare con qualcuno dicendo “guarda, non ti posso pubblicare questo libro, perché non sono la persona giusta per mettere in valore il tuo lavoro. Al tempo stesso ti posso indicare qualcun altro”. Importa la percezione di come si può essere utile per gli altri, con gli strumenti che hai. Senza avere un rientro ma senza neanche giocare al gioco dei favori. Va molto questa citazione di Piero Gobetti per cui l’editore ogni volta apre lo scatolone al chiaro di luna, tutte le volte c’è una specie di tremore. In effetti è vero che quando arrivano i colli di libri stampati hai sempre una certa emozione… Oppure se l’autore ti dice tra due giorni ho una presentazione, e non ci sono più libri… tu li devi stampare, spedire magari a 500 km di distanza.

Per citare ancora Nella palude, in riferimento alla stanchezza che manifestavi al termine dell’esperienza di Prufrock Spa (anche al giudizio negativo sulla generazione degli anni 80, la tua). Venire fuori con questo nuovo progetto è un ritorno di fiamma, di energia? Il segno di una maggiore maturità? Oppure deriva dal fatto di essere meno solo, o non più solo?

Entrambe le cose. Da un lato il fatto di non essere soli è fondamentale, non perché in due è meglio che solo, ma perché Angela fa la differenza, fondamentalmente. Dall’altro, in realtà, in questa avventura nuova ho più energia di quanta ne avessi al massimo con Prufrock Spa. Per una maggiore consapevolezza, senz’altro, e perché ho anche fatto pace con la mia parte autoriale: non sento minimamente il bisogno di fare equilibrismi per ribadire che sono anche un autore. Non mi interessa più. Mi interessa l’opera, e creare una realtà che sia efficiente e che possa andare avanti. Anche lo stop che ho avuto, dal lato della produzione, è servito a studiare. Cosa che quando sei nel mezzo di un lavoro a volte non ti puoi permettere. Quindi… ora noi siamo galvanizzati, e anche molto impegnati…

In ultimo, qualche anticipazione sugli artisti che saranno ospitati su Howphelia?

Stiamo definendo gli ultimi dettagli, e nelle prossime settimane annunceremo tutte le artiste e gli artisti che saranno presenti nel palinsesto del 2021. Vogliamo che le persone si facciano un’idea complessiva di quello che sarà Howphelia, di una identità che verrà definita volta per volta da chi ne farà parte.


@Immagine di copertina: Ophelia Borghesan.