ci chiudemmo a chiave da soli                                                     
per paura di affrontare il mostro

(Carlo Bordini, Strana Categoria, 1975)


Affrontare un mostro è un paradosso, perché lo scontro presumerebbe un contatto con un essere che non abita questa terra e che, se la abitasse, non risponderebbe alle nostre logiche razionali. Monstrum (da monere) si traduce in prima istanza con ‘avvertimento’: se non può essere visto può essere almeno percepito. Il mostro mette in guardia e minaccia di non oltrepassare i confini, per non travalicare l’ordine naturale delle cose e pertanto cadere in contraddizione.

Ma a Carlo Bordini tutto questo non interessa e non presta ascolto all’ammonimento, perché superare la linea di sutura significa anche individuare la zona in penombra della propria psiche e la frattura sulla superficie del reale, per andare alla ricerca di una nuova verità. Dico ‘nuova’ perché la verità dell’autore non sta nel mezzo, non è limata dalla presa di distanza o dall’intellettualizzazione obiettiva dei fatti, ma è viscerale, cioè vissuta e trascritta nel momento stesso in cui gli eventi accadono, in un continuo processo di penetrazione che si dà innanzitutto come scommessa esistenziale.

Bordini pubblica la sua prima opera nel 1975, Strana Categoria, e la pubblica in ciclostile. Strana Categoria ePoesie leggere, seconda raccolta edita nel 1981,contengono l’embrione di tutta la sua poesia e la sua prosa, per due motivi fondamentali. In primo luogo a partire da queste capiamo subito come il rapporto tra poesia e autobiografia non sia affatto scontato ma necessario. Se è vero infatti che nei Costruttori di vulcani (2010) i testi vengono proposti sincronicamente, senza rispetto per l’ordine cronologico di pubblicazione, è altrettanto vero che l’opera dell’autore non è slegata dal suo essere, e in particolare, dal suo essere nel tempo. Non solo, la raccolta di esordio e Memorie di un rivoluzionario timido (romanzo autobiografico edito nel 2016) sono le due opere che rispondono più da vicino ad un periodo storico specifico, che è quello della rivoluzione politica e culturale degli anni Sessanta, a cui l’autore prende direttamente parte militando all’interno di una formazione trotskista. Sono anni che lo segnano profondamente, anni in cui smette di scrivere e si allontana da qualsiasi tipo di rapporto sociale che non sia interno al partito stesso.

il potere che si creano i ragazzi e in cui i grandi non potevano entrare, la stanza Particolare, il fortino in cima agli alberi, la stanza dei giochi, e io mi sentivo dunque, mentre gli altri camminavano sopra il pavimento, ed erano grossi e camminavano con il passo sicuro[1]

È evidente che il contesto da cui emergono i suoi scritti è un contesto di fragilità collettiva, generazionale, dunque anche storico-epocale, e la fine del secolo è vissuta dall’autore come un confine temporale ma anche come un’ulteriore linea d’ombra della propria esistenza.[2] In secondo luogo, si capisce come la partecipazione politica non sia determinata da un’esigenza esclusivamente civile, poiché l’avvilimento di cui ci parla è prima di tutto personale, e trae origine dalla sua stessa infanzia.

Era come se mi sentissi un intruso. Era come se non sapessi esattamente dove dovevo stare e cosa dovevo fare. da bambino ero quasi catatonico. Era come se sentissi il bisogno di scusarmi per il fatto di esistere. Ero triste, e avevo la sensazione di non avere il diritto di vivere. Ma nello stesso tempo c’era qualcosa di falso: mi adattavo al mondo dissimulando.[3]

Questa seconda espressione della disillusione si rivela essere una presa di consapevolezza, una saggezza infantile[4], che si esplicita man a mano a partire dalla seconda raccolta, in cui ai diversi aspetti sopra ricordati si legano il rifiuto di un’autorità paterna oltre che politica, il rifiuto di un’autorità letteraria, quindi il rifiuto di una norma linguistica.

Fin dagli esordi Bordini prende le distanze dall’istituzione metrica, decide di muoversi oltre la fine della letteratura, fine decretata dalle neoavanguardie a cui non prende parte, e non si preoccupa di trovare una corrispondenza tra il ritmo della frase e il metro. Ma ciò che più colpisce del suo stile è l’agglutinamento e la frantumazione della sintassi: in alcuni casi la frase si fonda su un ragionamento interiore che produce un effetto a spirale, in altri si sgretola in modo tale da assecondare la profusionedei pensieri. Da quest’ultimo punto di vista è peculiare il caso della raccolta programmatica Strategia, che si presenta come la fedele trascrizione di un trauma in cui è «possibile leggere le poesie come una modalità del crollo referenziale del discorso, come intervento positivo contro l’ideologia, come afasia»[5]. Strategia si incentra interamente sulla liberazione dal parossismo erotico-sentimentale, volta al denudamento del linguaggio, per farne scaturire l’osceno che vi si cela, e che coincide con la violenza fisica all’interno di un rapporto di dominazione sessuale, l’identificazione dell’amante con la madre, l’identificarsi del poeta con Dio. («Ti ho penetrata così / profondamente, / come non ho mai fatto / con nessuno. / Guardami: / io sono Dio.»)[6]

Da questa prospettiva capiamo anche come l’opera in versi sia coeva a quella in prosa e, ammesso che sia possibile usare nel suo caso questa distinzione, Gustavo, una malattia mentale (2006) potrebbe essere letto come l’equivalente in prosa di quest’ultima raccolta, e non solo:

Gustavo era colpito dal fatto che, mentre egli sedeva in casa, tutto il palazzo fosse abitato da inquilini invisibili, che stavano a pochi metri da lui, e che avrebbero potuto attaccarlo e sbranarlo. Gustavo avrebbe voluto stare in silenzio, per impedire che gli inquilini invisibili si accorgessero di lui; avrebbe voluto stare quieto e tranquillo come un insetto, e provava molto spesso il sentimento della paura.[7]

Se è vero allora che in Strana categoria, Poesie leggere e Strategia si trovano temi e tratti stilistici che anticipano gran parte delle opere dell’autore, è altrettanto vero che le tre raccolte appartengono ad una prima fase eterogenea, dal momento in cui ognuna di esse presenta una propria peculiarità tipologico-formale che riscontriamo come indistinte nei libri successivi. Inoltre è una fase che si conclude, dato che durante gli anni Ottanta Carlo Bordini non scrive più poesie, ma si dedica alla stesura dei suoi romanzi, la cui gestazione si protrae per diversi anni e che verranno pubblicati decenni dopo.

In questo secondo momento di silenzio esiste però un’eccezione, Pericolo, opera scritta durante l’inverno del 1980, pubblicata in una versione più breve nel 1984, e rifiutata in seguito dall’autore (la versione integrale vedrà la luce soltanto nel 2004 all’interno di un’antologia omonima edita per Manni editore). Pericolo è un’opera nuova ed è molto più interessante rispetto alle prime tre raccolte.Negli ultimi mesi si è parlato molto di Strategia, anche perché ne è uscita una seconda edizione, ma credo che il testo a cui vada ascritto il fulcro evolutivo e l’essenza della poesia stessa di Bordini sia proprio Pericolo.

la terza parte della tortura è la peggiore

quando tu sai la paura e la sua ripetizione,

pericolo come un fumetto, non ti addentrare in queste cose lacerate, violente, impara

  [a trattenerti, ho imparato:

un mio amico ha sempre mal di testa – come un fotoromanzo,

io non ho mai cercato invece di trattenere tutta la realtà in uno schema, per questo

 [non ho il mal di testa,[8]

Bordini si trova qui su una linea di sutura, sul punto dell’affermazione e della negazione, da cui derivano quattro stadi di sensazioni: il dolore per la lacerazione, la paura di un ritorno del dolore, la consapevolezza della ripetizione del dolore, e infine, il silenzio. È qui che si staglia il problema centrale della sua opera, se non della sua stessa vita – il problema dell’organicità, della ricerca di organicità. L’autore si chiede come possiamo essere classici oggi, come si possa arrivare ad una nuova sintesi, e a questa domanda Carlo Bordini cerca di rispondere scrivendo. Questo è il senso:

Qualcosa sulla vita artificiale, o sulla civiltà, e anche sull’idea che la debolezza può essere una forza. E anche, soprattutto, sulla possibilità di una rinascita. Questa idea può diventare anche una cifra stilistica: attraverso la rottura del linguaggio, appunto, si può ricomporre un’unità. I frammenti, i detriti di un discorso coerente, sia in poesia che in prosa, possono esprimere bene lo stato delle cose.[9]

Pericolo, Mangiare (1995), Polvere (1998) e Sasso (2008) hanno una loro omogeneità proprio perché vogliono essere il tentativo di una risposta, e la loro originalità rispetto alle opere precedenti è evidente: in questi casi la decostruzione dell’ordine prestabilito, dovuta alla disillusione politica, sociale e sentimentale, va al di là della contemplazione e della penetrazione dell’ordine apparente, ma cerca anche di scoprirne le regole e il senso di fondo. La poesia di Carlo Bordini, per sua stessa ammissione, si fa più filosofica, non solo «critica dell’ideologia, non solo vuoto, “riflusso”, ma contemplazione della natura, non solo destruens ma construens»[10]. E in generale i testi di questa seconda fase diventano nel loro complesso la risultante di due movimenti: uno narrativo-saggistico, volto alla ricerca di una ricostruzione razionale dei fatti, e l’altro a flusso di coscienza, in cui gli snodi divengono peculiari. Basti pensare a Poema a Trotsky, Polvere, Poema inutile, all’interno dei quali si ha il racconto-saggio da un lato, mentre dall’altro Bordini si muove tra quegli scrittori che sanno rendere le associazioni libere dell’inconscio, facendo emergere delle imagines (Trotsky come figura allegorica del padre, la ragazza bionda come riflesso della disillusione amorosa, la polvere come immagine della disorganicità).

Eppure anche qui occorre una distinzione, poiché Mangiare dà certamente spazio ad una poesia filosofica, ma anche civile ed aspra, mentre Polvere e Sasso hanno un carattere più spiccatamente riflessivo, e la poesia si fa poesia del dopostoria. In Mangiare la tensione è verticale, la vita umana è orientata alla dissipazione, all’autodistruzione e all’entropia, e la prospettiva di salvezza è data soltanto come desiderio («So anche che l’uomo, anche se infinitamente cattivo, è anche l’unico animale che può essere buono. Sono attirato quindi dall’idea di un ritorno al sacro senza teismo»[11]). In Polvere e Sasso la tensione non è più lineare e ascendente, ma si fonda su un movimento ricorrente: il poeta attraversa la morte, e la sintesi, che racchiude il senso ultimo del tutto, coincide con lo stesso processo di travalicamento («Ridivenire / illusione di pietra. In questa / diminuzione, / è la mia casa tranquilla, / la sua fissità devastata»)[12]. L’universale può essere colto soltanto nel mentre e non alla fine, è dato da un attimo in sospensione che non porta con sé alcuna rivelazione, e infine l’assoluto coincide con una petizione di principio, a cui si legano immagini quali lo stordimento, l’opacità della vista, l’ebbrezza, stati di coscienza che non permettono un’epifania chiarificatrice («essere così è / essere così»)[13].

Carlo Bordini è uno sconfitto, trova rifugio fuori dalla vita degli uomini ma non esclude la possibilità di uno squarcio futuro, e l’ossessione stilistica si da come il riflesso di un dilemma, secondo il quale l’autore descrive una fine della Storia e allo stesso tempo auspica un ritorno all’ordine.

Non è un caso allora che un’opera come I costruttori di vulcani si riveli essere un libro nuovo più che una vera antologia, all’interno della quale, nonostante il titolo[14], Bordini non include l’opera d’esordio, e ripresenta testi interi, frammenti o singoli versi, in ordine saltuario o ripetendoli più volte, a rimarcare il caratteristico ritorno su sé stessi, che ne permea l’intera attività autoriale. Così facendo Carlo Bordini rompe la solitudine attraverso la comunicazione autoanalitica dei pensieri trasmessi sulla pagina senza alcun filtro, e in questo modo di procedere l’individuo identifica sé stesso. Ne «nasce un io segmentato e fuori posto»[15] e il soggetto si definisce non con un nucleo organico dotato di corpo e confini fisici, ma con un assemblaggio disordinato di ricordi, immagini, idee riflesse e sentimenti, il cui più importante è la paura.

La paura è la prima reazione che si ha di fronte all’avvertimento del pericolo, come una costante necessaria della propria vita, e affermare il pericolo significa allora affermare se stessi, dire ciò che non si saprebbe o non si vorrebbe dire, andare oltre.

La tortura è questa paura ancestrale, o meglio l’idea del pericolo è la revisione, il rivivere questa tortura. E poi vi sono tutte le varianti per reagire di fronte a questa idea, a questo “grande pensiero”; dalla rimozione alla violenza alla speranza all’amore.[16]

Non è un caso infatti che in questo suo tentativo di superamento ci sia un elemento fortemente utopico, da intendersi non solo in senso politico, ma nel senso di un superamento quotidiano, che riguarda da vicino la vita di tutti i giorni, nel rapporto con l’altro, nel rapporto uomo-donna, nel rapporto con la collettività. Carlo Bordini tenta di andare oltre il mito e oltre tutto quello che irrigidisce e confina l’esperienza, raccogliendo una sfida orientata all’antinomia.  È così che trova un punto di convergenza tra incipit ed explicit: Carlo Bordini non invoca riscatti, ma ripercorre le fila della sua stessa vita, per ricavarne un mosaico di immagini e di sensazioni da cui passa anche la storia di una generazione e la storia universale dell’uomo.

Un mio amico mi ha detto che Pericolo adesso assomiglia a un lago, e i laghi hanno origini vulcaniche, oppure una volta sono stati dei fiumi. Io sono stato contento. Anche perché un’altra frase che ricordo era quella di cercare di superare le proprie origini senza pensare di rinnegarle.

Parma, 24 ottobre 1984

c.b.[17]


[1] C. Bordini, Memorie di un rivoluzionario timido, in Difesa berlinese, Roma, Luca Sossella Editore, 2018, p. 108.

[2] S. Scateni, Come rendersi antipatici. Fino all’autodistruzione, in “l’Unità”, 3 maggio 1998.

[3] C. Bordini, Memorie di un rivoluzionario timido, in Difesa berlinese, Roma Luca Sossella Editore 2018, p. 35.

[4] Della saggezza infantile di Carlo Bordini ha parlato Gianluigi Simonetti il 3 dicembre 2020, durante una conferenza del ciclo di incontri Extrema Ratio, promosso dall’Università degli Studi di Siena.

[5] A. Lolini, Strana categoria. Poesia Neoromantica, in “Lotta Continua”, 27 aprile 1982, p.15.

[6] C. Bordini, Strategia, Roma, Savelli Editore, 1981, p. 72.

[7] C. Bordini, Gustavo, una malattia mentale, in Difesa Berlinese, Luca Sossella, Roma, 2018, p. 341.

[8] C. Bordini, Pericolo. Pometto invernale, Ælia Lælia Edizioni, 1984, p. 12-13. Il testo pubblicato in Pericolo. Poesie 1975-2001 (Manni Editore, 2004)e il testo in I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010 (Sossella Editore, 2010)presentano alcune varianti.

[9] C. Bordini, in un’intervista a.c. di Francesco Pontorno e Olivier Favier: L’età della polvere: intervista a Carlo Bordini, “Conquiste del Lavoro”, 26 giugno 2010.

[10] C. Damiani, Carlo Bordini, Mangiare, Empirìa, 1995, in “L’immaginazione”, 1 Aprile 1995.

[11] C. Bordini, Mangiare, Roma, Edizioni Empiria, 1995, p. 110.

[12] C. Bordini, Polvere, Roma, EdizioniEmpiria, 1999, pp. 23-24.

[13] Ibidem, cit. p. 36.

[14] I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010.

[15] G. Mazzoni, In questo mondo che scade verso la barbarie. Carlo Bordini, in ‘Difesa Berlinese’, Roma,Luca Sossella Editore, 2018, p. 20.

[16] ID., Foglio sciolto, incipit “È molto tempo che non rifletto organicamente su me stesso”, Narni, estate 1984, dattiloscritto con correzioni autografe, Archivio Fortini, Siena.

[17] C. Bordini, Nota a Pericolo. Poemetto invernale, Ælia Lælia edizioni, 1984.