L’orizzonte di uno scrittore giovanissimo e davvero alle prime armi è tendenzialmente occupato da due scenari ingombranti. Il primo in realtà è un cliché: la figura dello scrittore Romantico, solitario, incompreso e pervaso da un’ispirazione – sicuramente geniale – che lo porta a inseguire la sua visione contro tutto e tutti. L’altro lato – diametralmente opposto – è occupato invece dallo studente delle scuole di scrittura e dall’idea che, come un’attività di artigianato, scrivere si possa insegnare in maniera prescrittiva, imparando le giuste tecniche con scientifica precisione.

È proprio da questo bipolarismo stantio che prova a smarcarsi Vanni Santoni nel pamphlet La scrittura non si insegna. Fin dal titolo è evidente l’indirizzo antinormativo del testo che infatti non offre tecnicismi né si preoccupa – evitando così di ammiccare ad altre pose – di essere un manuale di soluzioni o svelamento di arcani segreti. Il libretto, strutturato come un colloquio informale con l’aspirante scrittore i cui dubbi e obiezioni tentano di essere anticipati e intercettati, è mosso da una prospettiva franca, consapevole dei limiti “didattici” e della specificità del materiale trattato. Uno solo è il mantra dell’autore: non si può insegnare a scrivere, ma si può insegnare a pensare come uno scrittore; il che significa, metodologicamente, che non si possono fornire se non le basi di una mentalità da acquisire, un’ottica in cui calarsi, la quale a sua volta assumerà in ognuno tante forme quante sono quelle che può produrre la scrittura stessa.

Per questo motivo il libro è divisibile sostanzialmente in due parti. La prima inerisce le sopracitate fondamenta che costituiscono la mente dello scrittore per Santoni: Dieta e Disciplina. A tratti atleta, a tratti monaco, lo scrittore novello si deve primariamente alimentare dei – tantissimi – testi “giusti”, dove il termine intende «una lista volta a provocare una reazione, un sommovimento, un senso di sfida, una consapevolezza improvvisa delle vertiginose possibilità del romanzo», titoli che includano «ciò che più ha strappato territori nuovi all’inesistente». L’idea è quella di una terapia d’urto che porti chi li legge a cogliere la vastità delle possibilità offerte dalla forma-romanzo al fine di «cambiare il proprio approccio alla lettura». Così Proust, Joyce, Bolaño, DeLillo, Vollmann, Sebald e altri formano il primo nucleo di una lista proteiforme, che, come fossimo in una delle sue lezioni, Santoni continua ad aggiornare all’evolversi del discorso dando l’idea che la lettura non solo stia alla base di una buona scrittura, ma è un cantiere ininterrotto, che si sposta dall’acquisizione dei modelli alla frequentazione del contemporaneo in ogni sua forma («la verità è che un domani, quando scriverai, seriamente, dovrai dare un’occhiata anche alle cose meno belle – a volte pure a quelle brutte! – perché devi essere aggiornato sul quadro generale, e il quadro generale include un sacco di puttanate»). Dietro una lista simile, fatta di volumi dalle migliaia di pagine, si cela inoltre il ribadire che la scrittura (e dunque anche la lettura) seriamente concepita come ben diversa da qualunque attività o lavoro che si fermi al gradino di hobby, comporti dedizione e fatica («se non ti va di leggere simili capolavori vuol dire che la letteratura, in realtà, non ti interessa»).

Il secondo pilastro su cui fondare la propria mentalità è la scrittura come flusso da praticare quotidianamente. La tesi – sempre volta a smitizzare i cliché – è che fuori da ogni romanticheria più dell’ispirazione può la costanza:

«La disciplina, infatti, non serve solo a garantire mera produttività meccanica. Quando si pensa al lavoro di scrittura è diffusa un’idea stereotipata e fasulla, originatasi essa pure durante il Romanticismo, e ancora vive, secondo cui l’autore scriverebbe quando nel suo cuore si accende il fuoco divino dell’ispirazione. […] Per carità, l’ispirazione esiste, e quando arriva si fanno più pagine e a volte migliori. Ma arriva regolarmente solo se ci si mette al lavoro con regolarità, e “con regolarità” significa tutti i giorni»

La seconda parte del libro è invece orientata in maniera più accessoria a quelli che potremmo definire consigli per scongiurare una cattiva scrittura. Revisionare troppo poco, scrivere un testo noioso o cadere nei cliché sono almeno tre aspetti da rifuggire inseguendo uno scrivere che invece faccia perno su tre principi: necessità, specificità e conflitto. È in questa fase che infatti emergono di più gli aspetti tecnici, inevitabilmente legati all’autore che li scrive. Così, tutto ciò che entra in un testo deve essere funzionale ad esso («La prosa è architettura, non decorazione di interni» cita Santoni da Hemingway) e deve esistervi un motore che sia percepibile agli occhi del lettore, schivando le banalità a livello di contenuti, singole scene o personaggi, ma anche sul piano stilistico.
In quest’ultima fase del pamphlet Santoni offre anche una prospettiva sul mondo culturale ragionando su come ogni percorso autoriale sia intimamente legato all’idea di comunità e alle “istituzioni” che la compongono. Il discorso che a questo punto si orienta attorno alle figure dell’editoria, finisce poi con individuare nelle riviste – tema caro a Santoni – i principali attori culturali a cui un autore deve tendere, per conoscere e confrontarsi coi propri pari.

Contro gli atteggiamenti sociali tendenti alla compulsività e all’istantaneità, il libretto restituisce la scrittura nel suo farsi lavoro, progetto, spogliandola quanto più possibile di pose e romanticismi e dell’idea che sia sufficiente acquisirla come nozione scolastica per riuscirvi, riportandola su un piano fattivo che deve includere una molteplicità di approcci e letture.
Santoni finisce così col dare una piccola lezione di metodo, attraverso una scrittura per così dire interattiva e informale, recuperando l’idea di una letteratura, di una scrittura che è buon consiglio, confronto umano, faticosa devozione, costruita attorno a un sano e costante lavorio sul testo e sul contesto.


Vanni Santoni, La scrittura non si insegna
Minimum fax 2020,
96 pp, 13€