«Storie e avventure da latitudini diverse, il gusto di una narrazione appassionata e coinvolgente»: è questa la descrizione della collana di Voland Intrecci, dove da qualche mese possiamo trovare, fra i titoli, il nuovo romanzo di Gianluca Di Dio. È stato già detto che Più a est di Radi Kürkk si presenti come una favola nera, metafisica, un racconto dell’assurdo, a tratti grottesco. Difficile non concordare.

La storia di Lucio, a prima vista, è un racconto di solitudine, di assenze e abbandono. In un clima silenzioso, a tratti inquietante, il ragazzo si trova a fare i conti con la morte dei suoi familiari. Ma in questa tragedia, forse spinto dalla disperazione, Lucio cerca di aggrapparsi all’opportunità che vi si nasconde:

“È un fatto: io sono un sopravvissuto, la morte ha voluto regalarmi una possibilità. […] Bene, è importante, allora, che io sia all’altezza di questa considerazione” mi sono detto. “È importante meritarla, fare attenzione. Essere sempre pronto. In qualsiasi momento. In qualsiasi luogo.”

Questa presa di consapevolezza si ammanta presto di una vocazione alla straordinarietà, e Luz, un piccolo paese immaginario posto sulle rive di un fiume che minaccia di esondare, si trasforma nello sfondo di uno scenario surreale, in cui Lucio può percorrere il cammino verso il compimento di una grande missione. Il percorso del protagonista è segnato dall’incontro con il dottor Cervellati, unico e rispettatissimo dentista del paese e grande amico del defunto padre di Lucio. Con lui il ragazzo si ritrova a vivere situazioni paradossali e prove discutibili, per lo più funzionali alla consacrazione della sua chiamata ad un’elezione particolare:

“Hai superato una prova insidiosa e hai dimostrato di sapere reagire al disordine del mondo come un uomo non comune, un eletto… tra poco sarai pronto, lo so.”

Un elemento fondamentale della storia di Lucio è un manoscritto del padre, che Cervellati ha conservato negli anni. Più a est di Radi Kürkk – questo il titolo – è una narrazione nella narrazione che trascina Lucio, e il lettore, in un mondo ambiguo e affascinante, abitato da creature immaginarie e oscure. Le pagine raccontano di Radi Kürkk, un paese fantastico protetto da una foresta di betulle e «accartocciato sull’ansa di un fiume», e di un uomo che ha deciso di farvi ritorno, consapevole che non ritroverà quel “periodo generoso” che ha vissuto lì, durante la guerra.

Non avendo più nulla di cui mi importi, aspetto qui a Radi Kürkk. Aspetto in attesa di un po’ di stupore o del definitivo orrore per la vita che fa fare tutto in fretta e senza calcolo.

Vivrà entrambe le cose il protagonista, per un gioco quasi macabro della sorte. Nel manoscritto riecheggiano immagini e atmosfere buzzatiane: il fascino ammaliante di quel luogo “più a est di Radi Kürkk” – che forse nessuno è mai riuscito a vedere ma che sembra offrire grandi occasioni – giustifica la nascita di speranze e illusioni, crea tensioni e lentamente trascina il protagonista del racconto, e altri personaggi, oltre un punto di non ritorno.

“[…] Perché crede che io sia qui? Per meriti? Per carriera? All’inizio forse, ma poi… Gli anni passano e diventa sempre più difficile andarsene, andare via da qua, dico… C’è qualcosa in questa città che… Che ci obbliga a sperare, mi creda. Si sente che sta per succedere qualcosa di…Epocale, una sorta di confisca, una confisca definitiva della disperazione, qualcosa di esemplare… Ha visto alla porta d’oriente? Ha visto che cosa enorme stanno costruendo? Dia retta a me: faccia di tutto per arrivarci, cerchi in tutti i modi di vedere, si renda conto di persona, mi creda, sarebbe veramente imperdonabile non esserci quando tutto si realizzerà, imperdonabile…”

Al lettore vengono offerti due mondi, due storie e due protagonisti, ma l’invito è evidentemente quello di cogliere la visione d’insieme, accostarne gli andamenti e le scelte dei protagonisti: come l’uomo nel racconto, anche Lucio a Luz non ha ormai più nulla di cui gli importi e può attendere, e lasciare che lo stupore lo colpisca o che l’orrore lo faccia soccombere. Se il manoscritto sia per il ragazzo un monito, una profezia o un invito lo si vedrà, poi, dallo sviluppo della storia di Lucio. Le ultime parole paterne, ad ogni modo, costituiscono un altro tassello misterioso del cammino di iniziazione che Lucio percorre sotto la guida di Cervellati verso la scoperta di una chiamata e l’assunzione di un compito per il quale il ragazzo è stato eletto, forse, fin dall’inizio – nel quale diventerà evidente il richiamo alla missione biblica di Noè.

L’abilità di Di Dio non si realizza solo nella capacità di scrivere in maniera coinvolgente, attirando il lettore in un racconto dal clima apocalittico che riesce ad essere cupo e grottesco, denso di rimandi, ma leggero nella resa. L’arricchimento di una struttura narrativa apparentemente semplice, con espedienti retorici interessanti – la commistione fra elementi reali e fantastici e l’uso di metafore, ad esempio –, contribuisce alla realizzazione di un’atmosfera affascinante, dalla carica attrattiva. Risulta efficace il conto alla rovescia nella titolatura dei capitoli e significativa la numerazione – dal rimando biblico evidente (40 giorni durò il diluvio biblico sulla terra) – che, insieme con la minaccia dell’esondazione del fiume, realizzano pienamente il senso di una fine angosciosamente incombente. Il linguaggio metaforico restituisce al lettore luoghi immaginari, lontani nel tempo e nello spazio, ma che sembra di aver incontrato milioni di volte, perché in fondo somigliano a qualcosa di già visto – come Radi Kürkk che, a guardarla bene, «è un enorme cetaceo rantolante sull’acqua», o anche «una domestica grassa coi calcagni secchi e crepati che ogni giorno pulisce le stanze e ogni giorno resta sempre la stessa , grassa, crepata e piena di vermi». Per non parlare di Luz:

Il mio è un paese buono, vuoto, con una luce ossidata, d’estate, un paese appoggiato a un fiume flaccido e minorato che non alzerebbe mai le mani contro nessuno. Eppure, sarà per la sabbia che gli tormenta le rive, a volte si perde e si dimentica il senno e allora si gonfia fino allo stramazzo e dilaga con rabbia suina. L’ultimo argine è come un labbro, quando l’onda lo supera si scioglie e le mascelle dell’inondazione lo divorano in un minuto.

Luz è anche un paese di luoghi anonimi, di banche, supermercati e vecchie locande, dove la casa di Lucio sembra essere rimasto l’ultimo luogo in cui nei mobili, sugli oggetti e nelle stanze è rimasto un segno tangibile della presenza umana. Ma anche in quest’ultimo baluardo l’acqua del fiume, ormai esondato, entra per rubare, per scombinare il tavolo di lavoro del padre, per macerare la foto della madre, per portarsi via ciò che rimane della sorella. Lucio potrebbe andare incontro ad una sorte diversa, ma sta al ragazzo decidere se compiere il proprio destino, con un po’di stupore e lontano dal definitivo orrore per la vita. E in fin dei conti, forse, non importa quanto convincente possa risultare la nuova declinazione narrativa, in chiave quasi rocambolesca, di una vicenda biblica; quello di Di Dio è un racconto originale, che percorre una strada differente e propone vie alternative: anche per gli adulti c’è bisogno di favole.


Radi KurkkGianluca Di Dio, Più a est di Radi Kürkk, Voland, Roma 2019, 128 pp. 15,00€