Pop-x (io lo leggo pop-ics, ma si può leggere anche popper, e forse un giorno pop decimo). Le poche interviste, i pochi articoli scritti su di loro negli ultimi dieci anni, con alcune eccezioni, s’intitolano più o meno così: “Capire i testi di Pop-x,” oppure “Niente è come Pop-x.” Questi titoli ci rivelano un fatto fondamentale: nemmeno i fan di Pop-x capiscono Pop-x. Questo articolo non è diverso. Ma si vuole chiedere, in modo obliquo, perché all’origine non capiamo Pop-x e che cosa ciò ci possa dire su di loro e tanto altro.

Il progetto video-musicale Pop-x, come è stato definito dal suo fondatore Davide Panizza, nasce nel 2004/2005 a Trento. Inizia pubblicando canzoni e video su Youtube e Bandcamp, in cui pop, musica elettronica e cantautorato si fondono ad una sperimentazione totale e continua. Sebbene sempre più conosciuti sul web, non riusciranno a trovare un’etichetta per produrre il loro “primo” “vero” album fino al 2016, che vede l’uscita di Lesbianitj per Bomba Dischi, grazie anche alla mediazione di Calcutta che li aveva presentati alla casa discografica. Ad oggi hanno pubblicato altri due dischi ed il quarto, Antille, è in uscita questo mese.

Quando l’ascoltatore medio si avvicina a Pop-x, la reazione è immediata e devastante. Colto da sonorità incomprensibili, ancora più delle parole che utilizzano e di cui parleremo a breve, sonorità a cui nemmeno ottant’anni di musica elettronica ci hanno abituati, serve solo la voce del genio-mago Davide Panizza e il gioco del non-senso del testo popperiano a dare il colpo di grazia: “No, che cos’è questa roba?! Spegni.”

Si è parlato per Panizza, ma anche in senso più esteso per l’esperimento Pop-x, come di un caso particolare, nella nostra modernissima Italia post-americanizzazione e perciò post-disincanto, di vera e propria magia. Come apprendisti stregoni, i ragazzi di Pop-x hanno rianimato in voce le province italiane dimenticate, i borghi, le periferie, le identità più marginalizzate; nelle loro canzoni, le formano, ci giocano, le distruggono, le ricreano. Da Cattolica al Trentino, dai Froci della Nike ai video chiaramente queer delle origini del loro canale Youtube (quanto si dovrà scrivere sulla storia dell’internet degli ultimi venti anni!), il tentativo sembra essere sempre stato quello di risvegliare la qualità intrinsecamente musicale del reale, dove reale però non è solo ciò che la società reputa essere bello e buono, ma ogni singola cosa, dal missile inutilizzabile (lascio a voi l’interpretazione di questa canzone) al frocio perso, da Bolzaneto alla pubblicità (anche la pubblicità e la sua rottura di coglioni può diventare musicale, così come nella stessa canzone la castrazione della mascolinità patriarcale), fino alla drogata schifosa. Come ha detto Edoardo Camurri, Pop-x ci mostra che “ciò che è oscuro è contenuto all’interno di ciò che è luminoso in quanto tale, per definizione.”

In e per Pop-x, tutto si salva sia a livello linguistico che a livello musicale. Tutto può diventare musica perché già lo era. Ed è per questo che la distinzione lingua/musica si può sfaldare nella voce di Panizza che il mago stesso trasforma infinite volte, quasi in tempo reale, grazie alla sua formula magica, l’auto-tune (si veda in particolare la lora apparizione su Radio2). Le parole più impensabili e più volgari (frocio), le espressioni più quotidiane (Cristo!), quelle meno probabili (che cos’è “una morte parabolica”?), o la semplice onomatopea, si incastrano in giochi sintattici e grammaticali il cui scopo è poeticamente quello della musicalizzazione del reale. Ha detto bene, in altro luogo, Camurri: Pop-x

abbandona ogni sicurezza di talento e ogni autocontrollo (Rilke!) per andare oltre le parole, costruendo non tanto canzoni ma macchie di Rorschach musicali, mangiandosi le frasi, sconvolgendole, stando dentro un maelstrom di senso in cui, verrebbe da dire, tutta la modernità finisce col collassare.

Per fare giusto due esempi, ecco un passo da “Legoland,” dove Panizza immagina di fuggire con il suo amico Walter, Walter Biondani, altro membro fondatore di Pop-x, nella loro personale utopia:

E passavamo il tempo sulla spiaggia

a guardarci il costume

a farci far l’amore dalle balene

a dirci che ci vogliam bene (“Legoland,” Best of).

Il terzo verso mi è particolarmente caro per il modo agrammatico in cui rende riflessiva l’espressione “fare l’amore.” Come mi ha fatto notare Marco Malvestio, questa è in realtà una citazione da “Generale” di Francesco De Gregori, dove si sente: “a farci fare l’amore, l’amore dalle infermiere.” Con una mossa classica, Pop-x recupera il gioco di De Gregori, che aveva già spostato l’agenza sulle infermiere, e lo passa però alle balene, che qui non sembrano centrarci un bel niente.

Oppure leggiamo (e ascoltiamo) questa lista di eventi e oggetti improbabili che compongono la canzone Sanatrix:

“Lunghi siluri come enormi manganelli

Attraversano le strade e si trasformano in uccelli

Lucaniche di media e grande misura

Cadono dal cielo come frutta matura

Vivo le strade nelle mille possibilità

La forestale ha un’auto nuova annamola a brucià

Vivo le strade di campagna con semplicità

Giro un tornante, arriva un camion, ero già morto qua

Che poi si trasformano in una vera e propria filastrocca:

Tanatorio e tutti qua, a far l’osello e trallallà

Su le mani come i piccioni, stringi forte i tuoi pantaloni

Sanatrix, inventure vix, dammi da bere una carota mix

Polentoni e magnarazzi a far l’osello trallallà (“Sanatrix,” Lesbianitj).

Gli oggetti di tutti e nessun giorno vengono elencati fino a farsi musica, fino a perdersi nel non-senso che verrà.

Il gioco di lingue a cui dà vita l’ultimo album va letto in quest’ottica. Questo album è forse il più sperimentale e il più duro della produzione artistica popperiana e forse anche per il tema nascosto e ancora inesplorato: la situazione femminile nel mondo occidentale, tra “me too” e sistema familiare, come le canzoni principali “No, Womano Cry” e “Maniaco Sexual” chiariscono (o scuriscono). Ma seguendo e sicuramente approfondendo e complicando una linea già comune alla musica italiana degli ultimi anni – si pensi a Liberato, alle sue canzoni più famose ma anche all’esperimento intermediale di Capri, dove francese, napoletano, italiano e inglese si fondono – l’ultimo album di Pop-x Notihng Hill, fa proprio questo: mischiando un inglese reggae ad uno spagnolo raggaeton, il tutto con un po’ di sanissimo nonsenso (intra)linguistico, ci fa sì riflettere sulla storia assurda della musica, ma con l’aiuto dell’auto-tune e del modo in cui ci mostra la voce passare e cadere da una lingua all’altra, esistente o meno, ci riporta ad una torre di Babele tutta nuova. L’inglese, comunque predominante, non è qui quello dell’impero ma una lingua che insostenibile da sola, “Notihng Hill” e non “Notting Hill,” comprende la necessità di perdersi già sempre in altro e perciò in musica. Che siano stati degli italiani a fare questo passo è il miracolo vero della globalizzazione (Non è un caso che gli Americani, inconsapevoli, abbiano adorato queste canzoni).

Ma bisogna ancora insistere e soffermarsi sulla parola “frocio,” ogni giorno sempre meno accettabile nella nostra società e su cui Pop-x ha voluto insistere soprattutto dal 2016 (vedi Trump?). Però, saremmo davvero fuori strada se leggessimo questa scelta come una provocazione esplicita od un attacco al politicamente corretto. Come già detto riguardo ai loro video e come è stato fatto notare anche da Elia Alovisi, alla base di Pop-x sembra esserci una fondamentale credenza nella necessità di una sessualità fluida che, bisogna aggiungere, va a braccetto con la musicalità della realtà che stiamo cercando di evidenziare. Il ritorno del reale al ritmo e alla tensione musicale comporta anche un ritorno ad una zona di indistinzione linguistica dove le parole possono perdere il loro senso e assorbirne di nuovi. Non è un caso che le canzoni di Pop-x dove questa parola appare non offendano quasi mai. In un’intervista a Pop-x, Marco Cresci ha chiesto in maniera quanto più oculata:

Mi tolgo subito un sasso, la parola più usata nel disco è froci, di solito in quanto frocio quando la sento utilizzata a sproposito m’incazzo ma quando la canti tu non suona mai come un insulto anzi fa sorridere. Qual è la necessità che ti ha spinto a farne così largo uso?

Di certo non il voler insultare qualcuno! È solo una parola birichina, per me frocio è una parola come un altra.

Ma a Panizza forse dobbiamo credere solo a metà. La parola frocio non è una parola come un’altra, dato che essa preserva una storia di sofferenza e abusi che siamo ancora lontani dall’interrompere. Però, l’altra metà a cui invece possiamo credere ci illumina sul suo punto di vista artistico e poetico: infatti, d’altro canto, frocio è una parola come un’altra, nelle sue canzoni, che non ci dicono di adesso, ma di quell’ora che era ma non abbiamo mai potuto vivere, di un altro adesso. Per Pop-x, ciò che è in causa in questa parola è la sua stessa dicibilità, cioè che prima di tutto il resto, prima di qualsiasi storia, ogni cosa si dica e si canti. Da dentro il tempo stesso, la sua voce ne apre uno nuovo, diverso. E per questo ci fa sorridere.

Ma non capiamo davvero l’ultimo album, così come l’intera produzione di Pop-x, se non capiamo che tutto si salva anche a livello musicale. Ed è qui che vorrei mostrare quanto “contemporaneo” possa essere Pop-x. Anche della storia della musica, già spesso citata in questo articolo perché così importante per il progetto, nulla si perde, nulla si abbandona. Tutto è degno. Pop-x ce l’ha sempre ripetuto e ribadito, implicitamente ed esplicitamente: ritmi altoatesini, pc music, così come la trap, a cui fanno il verso in “Mortedietro” featuring instaboy, con una rima in Mattarella alla BelloFigo, ma anche la musica house in, “Tanja”, featuring Gabri Ponte, fino al rifacimento di una delle più famose filastrocche italiane Ambarabà Ciccì Cocò nella canzone “Carablia,” che dà a Pop-x la possibilità di parlare delle ansie, anche sessuali, dell’italiano medio nei confronti dell’immigrazione. Mi sono ritrovato in questo articolo ad utilizzare più di una volta veri e propri elenchi di exempla, ma era l’unico modo per riuscire a dare l’impressione, in poco spazio, del tutto che Pop-x cerca di inglobare e del niente che non lascia scappare. C’è musica in tutto e tutto può diventare musica.

E così arriviamo all’oggi, al loro ultimo singolo “D’annunzio,” prima dell’uscita, tra meno di un mese, del loro nuovo album Antille. Abbiamo detto che tutto si salva e nell’epoca musicale in cui ci troviamo, in cui Gianni Morandi risorge alla scena italiana attraverso la sua pagina Facebook per mettersi a duettare con Fabio Rovazzi in un capolavoro del Trash italiano come è “Volare” (Quanto ancora si dovrà scrivere sulla storia dell’internet italiano dei primi venti anni del millennio!), anche Pop-x ritorna agli anni 50 e 60, ma in modo completamente diverso. “D’annunzio” è la riscrittura personalissima e potentissima di una delle canzoni italiane più conosciute al mondo: “Nel blu dipinto di blu,” anche conosciuta come “Volare.” Il titolo non ce lo dice e ci confonde (deriva forse da un tributo ad un prossimo cortometraggio su D’Annunzio, come dimostra questo meme?). Ma il ritornello riprende alcune sonorità e il testo parla chiaro:

Rimase accanto alla finestra senza piangere

e ballando si mise a scrivere

parole magiche e pensieri senza senso

né attitudine

particolari misteriosi così

nel blu più blu (“D’Annunzio”)

Nel blu più blu è perso qualcuno ad una finestra. La canzone non è solo una riscrittura di “Nel blu dipinto di blu,” ma è anche una riflessione sulla canzone stessa, sulla sua storia. “Rimase accanto alla finestra senza piangere” ci parla forse di Modugno stesso, di una delle tante leggende sulla nascita di questa canzone secondo cui, sportosi alla finestra ad ammirare il cielo, secondo la moglie nuvoloso, per lui bellissimo, Modugno si mise a cantare il testo destinato a cambiare la canzone italiana (Gianni Borgna, Storia della canzone italiana). E tra i tanti motivi per cui il testo cambiò la canzone italiana ce ne sono due che potrebbero essere particolarmente cari a Pop-x: 1) la sua particolare performance, ma soprattutto 2) il testo “surreale,” ai limiti del non-senso per l’epoca.

Come fanno notare gli storici della musica italiana, Modugno a Sanremo nel 1958, quando vinse con “Nel blu dipinto di blu,” ruppe con tutte le rigidissime regole imposte ai cantanti dell’epoca: “braccia lungo i fianchi, tutt’al più in avanti per dare una spinta emotiva alla canzone;” e gesti controllati (Felice Liperi, Storia della canzone italiana). Egli aprì le braccia in un impeto di entusiasmo, forse derivato dalle sue origini folk, e rivelò la forza liberatoria ed energetica della canzone. Tra Modugno e Pop-x c’è una lunga storia di mezzo, di punk e rivolta, che spiega gli atteggiamenti molto molto più estremi e plateali di Pop-x, eppure questo resta un momento fondamentale in questa storia.

Ma l’energia della canzone derivava anche e soprattutto dalla sua natura onirica e surreale, che la fece immediatamente oggetto anche di scettico sdegno (Liperi). “Nel blu dipinto di blu” portava nella canzone italiana la possibilità di uscire dagli schemi e descrivere esperienze apparentemente senza senso. Ed è su questo che Pop-x insiste in “D’Annunzio”:

Rimase accanto alla finestra senza piangere

e ballando si mise a scrivere

parole magiche e pensieri senza senso

né attitudine

particolari misteriosi così

nel blu più blu (“D’Annunzio”)

Parole magiche e pensieri senza senso sono ciò che anche Pop-x cerca, riprende, eleva, ciò che il reale nasconde e ciò che c’è bisogno di cantare.

Gianni Morandi ha raccontato quanto importante fosse stato per lui ascoltare questa canzone in diretta a Sanremo quando aveva soltanto tredici anni. Fu questa stessa canzone che cantò al suo primo provino con la maestra Alda Scaglioni. Ed è in uno strano rifacimento, o meglio con uno strano riferimento a quest’ultima che ha deciso di donarsi alla scena musicale dei nostri giorni. “Volare,” singolo di Fabio Rovazzi featuring Gianni Morandi, non ha però nulla a che fare con quella canzone, con quel momento. La canzone o, si direbbe meglio nel caso di Rovazzi, il videoclip sono un mero pastiche di personaggi e meme della cultura pop/trash italiana e americana che, anche in questo caso ma in modo diverso possiamo solo riassumere con una lista di esempi: dal nome del “cantante” introdotto con un font e una musica a stile Stranger Things all’inizio della canzone, poi presente daccapo, più tardi nel video, nella foto di uno dei giovani attori protagonisti sulla maglietta di Rovazzi, fino all’apparizione di personaggi come Maccio Capatonda e Frank Matano, ma anche il celeberrimo meme vivente ora introvabile sul web “Saluta Antonio,” attori di Gomorra, giocatori dell’Inter in pensione, e gli immancabili Fedez e J-AX. In questo postmoderno divertissement, il passato entra attraverso Gianni Morandi, ora alla ribalta del web grazie alla sua affascinante presenza su Facebook (anch’essa dev’essere ancora studiata), ma soprattutto attraverso il semplice rimando al titolo “Volare.” Anche qui, come in Pop-x, interviene l’agrammaticità, ma essa non ha nulla a che fare col non-senso, con la musicalizzazione del reale: “mi fa volare” non significa nulla ma è ormai uno slogan e significa anche troppo. Un tempo questo fenomeno poteva accadere alle canzoni a causa di un processo esterno, come era successo a Volare, nel caso italiano, adesso esse nascono già come slogan.

A differenza di quest’altro innocuo, o non così innocuo, ma sicuramente vuoto recupero della musica degli anni 50 e 60, Pop-x ce ne propone un altro. Pop-x ci propone il recupero di quel momento in cui il senso s’interrompe ed il nuovo accade. Ma bisogna concludere notando che Pop-x non fa questo dopo Rovazzi e Morandi, ma Pop-x l’ha sempre fatto. La canzone “D’Annunzio” che hanno appena pubblicato e che abbiamo appena letto insieme è in realtà anche un leggero rifacimento di una canzone del loro primo, sperduto album, rintracciabile su Youtube o su Bandcamp. “D’Annunzio” non è che “Il cieco e la finestra” del 2005, una delle prime canzoni di Panizza e Biondani. Nella nostra incomprensione più totale, Pop-x pre-dice e pre-viene anche il trash.