Aldo Simeone sarà ospite della Balena Bianca per presentare il suo libro Martedì 3 Dicembre alle ore 19.00 presso il bar libreria Colibrì. Potete trovare maggiori informazioni qui.


Lo strego è una delle tante creature magiche che affollano le tradizioni regionali d’Italia insieme ad altre bizzarrie popolari come il Gatto Mammone o la Gatta Marella. Diversi da queste creature tendenzialmente malvagie o demoniache, gli streghi stanno appollaiati sugli alberi dei boschi o guidano processioni a lume di candela, conducendo i loro riti senza disturbare l’uomo. Di notte però, dalle cime dei rami, pongono a chi dovesse passare per il bosco la fatidica domanda «Per chi è la notte?». Se il passante non sapesse cosa rispondere (le risposte giuste sono più di una a quanto pare: «per te, per me, per tutti» o anche «per chi non può andar di giorno») allora non potrebbe più uscire dal bosco e sarebbe condannato a diventare uno strego a sua volta.
Abitanti tradizionali della Garfagnana e del lucchese, gli streghi popolano anche il bosco di Bosconero, paese a metà tra realtà e immaginazione, che fa da sfondo alla storia di Per chi è la notte, romanzo d’esordio di Aldo Simeone. Ambientato negli ultimi anni della resistenza, il libro segue la vicenda di Francesco, un giovane undicenne, alle prese con la propria crescita, un padre carbonaio scomparso e le tradizioni del paese tanto vive e disturbanti da far passare in secondo piano anche la guerra, che lì giunge solo come un’eco lontana, pervadendo l’intera realtà del protagonista:

«A quel tempo morire non era la cosa peggiore. Non era nemmeno l’ultima. Questo a Bosconero lo sapevamo tutti. La guerra succedeva, e a volte te la dimenticavi, perché la sentivi normale, come la morte. C’erano cose invece come la Gatta Marella, che stava nei pozzi e rapiva i bambini. E c’era il bosco»

Dalla prospettiva di Francesco la guerra è qualcosa di lontanissimo, situata geograficamente oltre gli alberi e le colline, dunque oltre l’orizzonte del visibile e del pensabile. Presente è invece il bosco che viene descritto lungo tutto l’arco del romanzo come un essere vivo e pulsante, nel calco di una religiosità arcaica ancora temuta e rispettata anche dagli adulti. Il bosco «trattiene», «inghiotte», «respira», «non lascia uscire neppure cadavere» è un luogo misterioso non solo per la sua stessa condizione (come recita in esergo una citazione tratta da Stephen King «A quei tempi era ancora possibile entrare nella foresta, perdere l’orientamento e morirci»), ma ancor di più perché sede di entità arcane e magiche che investono tutto il mondo circostante. Questa visione delle forze della natura, arcaica e precapitalista in cui campi, boschi e animali non sono risorse da sfruttare, ma elementi con cui convivere, è radicata negli occhi di Francesco e ne guida le azioni. Le mitologie popolari infatti entrano ben presto in conflitto con il giovanile desiderio di scoperta del mondo, portando così a cascata una serie di temi che si intrecciano e si snodano, rimandando continuamente però al rapporto tra Francesco e il bosco.

Questa relazione sostanzierà anche i vincoli personali di Francesco, diviso tra due amici: Secondo, ragazzo più grande, scontroso e superstizioso come Francesco, e poi Tommaso, misterioso coetaneo ospitato dal Don del paese insieme ad altri bambini (forse ebrei?). Finché Francesco si interfaccerà solamente con Secondo, che è un convinto fascista e che condivide con lui la medesima visione del mondo, non riuscirà né a dare sfogo alle sue curiosità né a trovare una spiegazione alle cause della sparizione del padre, accusato dal paese e da Secondo stesso di essere un traditore. Così, la storia di Francesco prende le mosse da un dissidio interiore – il padre è un “buono” o un “cattivo”?– e da un’incertezza di punti di riferimento con cui poter districare i propri interrogativi. Sarà Tommaso a irrompere nella sua vita come un grimaldello e a permettergli di penetrare nelle sue paure e di compiere delle scelte. Nonostante Tommaso sia suo coetaneo infatti, appare a Francesco come un ragazzo molto più segnato dalla durezza della vita, che sa addirittura come muoversi in situazioni di pericolo e, più in generale, guidato da un razionalismo che forza e mette alla prova sistematicamente tutte le convinzioni del protagonista («Alzai gli occhi e incrociai i suoi. Erano adulti, fermi nel pianto come nel sorriso. Occhi che hanno visto ogni cosa. Di fronte a loro, mi sentii sciocco e infantile»). I due solidarizzeranno subito e Tommaso diverrà la guida di Francesco nel suo processo di maturazione.

Benché Per chi è la notte si inserisca nella scia dei romanzi resistenziali – il cui modello scontato in questo caso pare essere il Calvino dei nidi di ragno – la trattazione in secondo piano della materia partigiana e il basso continuo del sovrannaturale non permettono di far rientrare questo notevole esordio solamente in tale solco. Simeone infatti maneggia e introduce abilmente nel testo non solo componenti provenienti dal romanzo di formazione, ma tende a inclinare la narrazione costantemente verso il fiabesco in un moto oscillatorio che non nega mai – sebbene tenda a confutarlo – l’elemento magico. Attraverso Tommaso, Francesco darà libero sfogo alle sue curiosità e alle sue paure ma scoprirà progressivamente che esse non sono altro che bolle d’aria, le quali a loro volta nascondono una realtà – quella effettiva – che paradossalmente è ancora più violenta e cruda:

«L’idea di tornare mi mise a disagio. Eppure ero anche fiero di me. Passai in rassegna i divieti infranti da quando avevo conosciuto Tommaso, e i pericoli a cui mi ero esposto. Ma erano veri pericoli? Una parte di me iniziava a dubitarne. Ed era una parte triste. Adulta e triste»

La fine delle illusioni e dell’infanzia per Francesco combacia con la scoperta che la realtà dei fatti è peggiore dei più terribili spettri immaginati. Eppure, malgrado tutto, Francesco sembra continuare a leggere anche in queste evidenze i segni di un irrazionale che si dibatte nelle cose e che sbiadisce le immagini. In questo modo Simeone crea una narrazione labirintica in cui i temi del romanzo di resistenza ritornano, proiettati nella vicenda attraverso un continuo gioco di specchi tra realtà e magia. La guerra da un lato, che irrompe nel bosco attraverso i rastrellamenti tedeschi e le brigate partigiane, e gli streghi dall’altro, morti custodi dello stesso e ostili a chiunque lo profani, tendono a sovrapporsi davanti agli occhi del protagonista così come la galleria di orrori della tradizione popolare trova spazio nelle atrocità della guerra. Osservando i tedeschi entrare nel bosco leggiamo:

«Quando le luci [dei tedeschi ndr] affondarono nel bosco, ebbi un brivido. Inghiottite dal groviglio della vegetazione, apparivano, sparivano, tremolavano, mutando di intensità e di colore. Mi ricordarono i fuochi degli streghi, visti l’autunno precedente. Ma non perché questi potessero finalmente trovare in quelle una spiegazione, al contrario: tra le une e gli altri non c’era differenza. Sono morti – mi dissi; lo saranno presto, appena affonderanno nel bosco. Diventeranno streghi, e già si stanno perdendo: in processione, taciti, senza volto, nell’ombra»

Pur avendo avuto accesso a un grado di consapevolezza maggiore, Francesco non mette in dubbio di aver visto gli streghi; non nega mai la loro esistenza né quella del resto del sovrannaturale che alberga nel suo mondo, anzi, usa tutto ciò come categoria cognitiva per spiegare le azioni inconcepibili che la guerra gli porta dinnanzi.
Oltre alla violenza della guerra, poi, la stessa scelta dell’amicizia con Tommaso piuttosto che con Secondo, richiama in misura diminuita il tema più generale della scelta tra le parti. Scegliendo Tommaso, Francesco sceglie infatti l’apertura, la curiosità e il superamento dei propri limiti personali, la conoscenza di sé e del mondo, imparando che il male e il bene hanno molte facce e diversi gradi di intensità. Questa decisione però non si traduce in un percorso lineare, ma si rivela una discesa accidentata e complessa che conduce Francesco a fronteggiare se stesso e i propri dubbi più profondi («Streghi, partigiani, fascisti: nemici o alleati? E il mio babbi: eroe o traditore? A chi dovevo dare ascolto: alla nonna o a Tommaso? Con chi l’Italia avrebbe vinto o perso la guerra: coi tedeschi o con gli americani? E io?») che potranno essere sanati solo dalla fine della guerra e dalle sue conseguenze.

Per chi è la notte, a partire dal titolo, non vuole solo richiamare la domanda degli streghi, ma dice molto di più sull’obiettivo del romanzo. La notte è lo spazio degli spettri, del buio, l’abisso dell’incognita. C’è una notte del mondo, la notte della guerra e della violenza, c’è una notte eterna che è la morte, ma c’è anche la notte che staziona dentro ognuno di noi e che, volenti o nolenti siamo tutti costretti ad affrontare; non certo per cancellarla, quanto piuttosto per imparare a conviverci e a misurarla. La storia di Francesco, sembra dire Simeone, è già una storia partigiana in quanto è fatta di scelte e di confronti ed è guidata dall’unico intento – portato avanti da un protagonista spesso abbandonato a se stesso e con scarsi punti di riferimento – di perseguire la giustizia e la conoscenza. La storia dell’uomo è stata una storia di crescita e territorializzazione degli spazi e dei tempi e Simeone in questo romanzo ribadisce come la storia di ognuno – che compone poi la Storia di tutti – passi necessariamente attraverso l’investigazione delle oscurità reali che risiedono dentro e fuori di noi.


 

Aldo Simeone, Per chi è la notte
Fazi Editore, 2019
16€, 284 pp.