È ambiguo oltre che pretenzioso affermare che la letteratura si occupa della verità perché vorrebbe dire imporre e ricercare una lezione tra le maglie della narrazione. David Foster Wallace lamentava la cesura tra una generazione di scrittori guardoni e l’ossessione di definire Classico e Letteratura da parte di chi stabiliva “i programmi delle scuole superiori”. Quando affermava che la letteratura insegna cosa significa “essere un fottuto essere umano” voleva negare il solipsismo di chi si era occupato della letteratura fino a quel momento, e la necessità di recuperare uno sguardo sincero, più vicino ai lettori. A smentire la ricerca dell’opera letteraria che si fregia della Verità basterebbe il Grande Romanzo Americano. Un’etichetta fuorviante, utile più a classificare e mai a circoscrivere. Si tratta dell’essenza stessa del sogno americano: il raggiungimento dei desideri, in una terra che li sforna continuamente senza definirli con precisione, è fatto soprattutto di fallimenti e compromessi.

Cosa succede se a tutto questo ribattessimo con un cane o un animale domestico qualsiasi? «Mio marito dice che un animale non può deluderti», così la voce narrante di Le ceneri di Nashville ci introduce a uno dei meccanismi emblematici dello stile di Amy Hempel: affermare una parte per raccontare il tutto. In America la raccolta in cui si trova questo racconto venne pubblicata nel 2006 e riuniva tutta la produzione di racconti dell’autrice composta da Ragioni per vivere (1985), Alle porte del regno animale (1990), Rientrata (1997) e Il cane del matrimonio (2005). In Italia Mondadori la pubblicò nel 2012 con il titolo Ragioni per vivere e con la traduzione di Silvia Pareschi e, dopo la sparizione nelle librerie, il volume ha visto nuova luce a gennaio con SEM, che ha ripubblicato l’edizione Mondadori e ha intenzione di proseguire a marzo, con l’uscita dell’ultimo libro della Hempel.

Per un momento sembra di rileggere una delle regole di Joy Williams, altra maestra del racconto americano: ci deve essere sempre un animale nel racconto, perché un animale può dare la sua benedizione. Per la Williams poteva voler dire uno spostamento di prospettiva, una redenzione isolata che mal si addice alle vite in declino dei protagonisti, per Amy Hempel la presenza di animali o di frasi come quella riportata, provocano una distrazione che in realtà non fa che scoperchiare il baratro sulla vicenda più nascosta del racconto. Sono chiare le influenze minimaliste, la stessa Hempel vede in Gordon Lish, storico editor di Carver, una figura fondamentale per la sua formazione. Così, quando alla prima lezione alla Columbia Lish chiese di scrivere il peggior segreto, «quello che avrebbe demolito il senso di se stessi», la risposta della Hempel fu la vita, non una qualsiasi, ma la sua.

Il risultato fu il racconto Nel cimitero dove è sepolto Al Jolson, primo tentativo di fiction dell’autrice. Una voce narrante, non ben identificata, racconta il suo assistere una malata terminale. Il dettaglio graverà sul lettore anche se verrà continuamente celato dai frammenti di ricordi o dai racconti delle protagoniste. «Raccontami qualcosa che non mi dispiacerà dimenticare» l’incipit farà da eco alla parte finale dove si leggerà: «A chi importa se è vero o no? […] Riesamino i dettagli che faranno parte del racconto»; la voce narrante diventa dolorosamente tangibile come se la Hempel sfiorasse continuamente il confine del reale e alludesse, senza alcuna costrizione retorica, ai modi con cui opera il ricordo.

Per esempio, immaginiamo che io ora vi presenti la protagonista del racconto che sto scrivendo… «Sono una donna nubile di oltre sessantacinque anni. Lavoro in uno studio medico. Vado a casa in autobus. Ogni domenica faccio il bucato, poi la spesa da Lucky, dopodiché compro l’edizione domenicale del “Chronicle” e torno a casa». Voi mi direste: basta, per carità.

Il racconto Punti di vista di Lucia Berlin (contenuto ne La donna che scriveva racconti, traduzione di Federica Aceto, Bollati Boringhieri) ha un approccio simile a quello della Hempel: una metanarrazione, quasi una lezione di scrittura, che trae la sua forza dall’allusione alla realtà. Basta un piccolo accenno all’esistenza di un mondo oltre la pagina scritta per indurre un alto potenziale di identificazione.

Tale processo è una delle caratteristiche di una prima fase della scrittura di Amy Hempel: i racconti di Ragioni per vivere, la prima raccolta del 1985, sono caratterizzati da una circolarità che lascia in sospeso. Le storie si vestono dell’anonimato dei protagonisti in modo che non è mai possibile ricordarne i nomi – se anche vengono citati –, ma è molto facile collocare questi volti sfocati in esperienze di vita note e in luoghi ben precisi. La California compare a tratti e, se non esplicitamente nominata, si fa strada nella latitanza dei legami e in una perenne ricerca in movimento. Ne è un esempio Questa sera è un favore a Holly, il racconto che apre la raccolta, in cu l’ansia dell’attesa della fine di una vita contrasta la dimensione congelata della città di mare («Vivendo qui, ti dimentichi se hai smesso di affondare non vuol dire che non sei più sott’acqua») e il desiderio di andare via dopo che il legame sarà spezzato.

Lo stile della Hempel è composto da digressioni narrative molto ampie – storie nelle storie, accenni a vite destinate a rimanere sconosciute – che, grazie alla loro incompletezza, convogliano il ritmo verso piccole fratture costituite da singoli periodi, improvvisi, che rivelano molto altro. Due scelte narrative ricorrono per tutta la raccolta: lasciare alla fine del racconto la risoluzione dell’intera storia o disseminare il messaggio all’interno della narrazione. Il primo caso è quello più frequente e si trova in racconti come La notte della piscina, in cui un incendio che rischia di cancellare la memoria fotografica di una famiglia cede il passo alla inflessione sull’umana impreparazione alla morte e alle disgrazie della vita («So che le case bruciano, e che bisognerebbe sapere cosa salvare prima che succeda. Non perché, nella foga del momento, tutto sembra ugualmente prezioso. Ma perché niente sembra valere lo sforzo, neppure la tua vita»). Racconti come Dove sei più donna («Se è vero che tutta la vita ti passa veloce davanti agli occhi quando stai per morire, è altrettanto vero che la tua vita comincia a correre quando sei pronta a sentirti veramente viva»), Fine settimana, La festa dei bambini e Il riposo del signore hanno una struttura simile: l’accumulo di dettagli, la cronaca continua della vita quotidiana s’interrompe bruscamente al momento della rivelazione finale.

Della seconda modalità, invece, rendono conto racconti come Lo sportivo, Rientrata, Il cane del matrimonio e Offertorio che appartengono a raccolte successive e mostrano come lo stile della Hempel diventi meno criptico e diluisca quel minimalismo che lasciava al non detto parte della forza narrativa. Uno spostamento che ha ripercussioni anche sulla struttura delle storie, in cui lo sguardo singolo si sviluppa per includere più piani temporali e narrativi.

In un primo momento la Hempel riteneva che la missione della sua scrittura fosse conferire importanza alla memoria umana, riprodurla nella sua natura più caratteristica: le fumose lacune del ricordo si trasformavano in una «scrittura frammentaria». A partire da Rientrata (1997) e nei racconti degli anni successivi l’autrice non si accontenta di prendere l’esperienza reale e drammatica e riscriverla nella finzione ma s’impone di catturare il momento successivo al cambiamento.

Ho scritto lettere che sono un fiasco, ma ne ho scritte poche, credo, che sono una bugia. Cercare di arrivare a una persona significa ripetere continuamente la stessa domanda: sto dicendo la verità oppure no? Comincio questa lettera, dunque, seguendo la tradizione del selvaggio West. Che se non sbaglio dice: metti le carte in tavola. Riesce più facile, credo, quando la tua vita è stata capovolta e svuotata. Le cose hanno meno importanza; c’è la gioia di essere meno educati, e di essere meno – e non più – delicati. Possiamo dire tutto. O forse no, come nella pesca. Quanto più è leggera la lenza, tanto più in profondità scende l’esca.
(Rientrata)

Tutti vogliono sapere come fai, come riesci ad allevare un cane e addestrarlo per un anno e mezzo per poi cederlo. Perché i cani non è solo che li ami: ti innamori di loro. Una storia d’amore comincia con un’illusione. Per esempio, cominciano con lo struggimento per un futuro che non sarà condiviso. Ottimo addestramento. Questo è un lavoro un po’ zen, perché richiede di trovare soddisfazione nel presente e cedere l’oggetto del suo amore a chi ne ha più bisogno di te.
(Il cane del matrimonio)

In Rientrata la storia è incentrata sulle lettere che la paziente di un centro di recupero scrive a un anonimo destinatario. Un intero monologo che passa agevolmente dalla cronaca degli avvenimenti nel centro a ricordi lontani, gli unici a farsi carico del grande peso emotivo della misteriosa ragione del ricovero. Ne Il cane del matrimonio la protagonista è un’addestratrice di cani che trasforma il suo lavoro nell’amara metafora della vita: prima o poi, l’oggetto del proprio amore dovrà essere ceduto ad altri. Poco importa precisare che la Hempel ha lavorato come addestratrice e che molte delle vicende narrate possono essere ricondotte ad eventi autobiografici.

Un livello di dettaglio che allude continuamente alla vita reale fa affiancare la Hempel a Joy Williams, perché si tratta di autrici che hanno raccolto nella forma del racconto un fascio di influenze personali e artistiche che è impossibile separare dalla loro biografia. Diventa interessante, a questo punto, capire dove la Hempel si collochi all’interno del racconto americano.

Lucia Berlin è un’autrice cechoviana, Grace Paley una minimalista insieme a Amy Hempel, Flannery O’Connor è una esponente della southern literature: non basta elencare le migliori autrici del racconto e ricondurle a un genere o fare di loro esemplari della scrittura femminile – osservazione che dal punto di vista critico non aggiunge o toglie alcun commento utile sull’opera letteraria. Bisogna riconoscere l’abilità di creare una corrispondenza tra la resa stilistica di un’atmosfera (come il lento incedere del tempo, persino quello della morte) e l’importo emozionale del singolo autore in grado di creare onde concentriche che arrivano alla percezione di lettori molto lontani geograficamente e temporalmente. L’opera più importante di autrici come Amy Hempel consiste nel creare un continuo riverbero della realtà con fallimenti, rimorsi, gioie inaspettate e compromessi personali mai compiuti. Solo in questo modo si comprenderà che la narrativa non si occupa della verità ma racconta l’unica realtà possibile: la contemplazione del fallimento della verità.


ragioni per vivereAmy Hempel, Ragioni per vivere. Tutti i racconti, SEM, Milano 2018, 380 pp. 14,00€