Serotonina (Flammarion 2019, pubblicato in Italia da La Nave di Teseo) è un libro al contempo molto simile e molto diverso rispetto a quelli che lo precedono. Simile perché vi ritroviamo intatto tutto il mondo di Houellebecq che conosciamo: il romanzo si apre col protagonista Florent-Claude che, chiusa definitivamente l’ennesima delle sue relazioni fallimentari, abbandona la casa e il lavoro per impegnarsi in un pellegrinaggio sentimentale sui generis prima a piedi, nella Parigi in cui è vissuto sin dagli anni dell’Università, e poi in macchina, attraverso la Francia rurale. In questa quête solo apparentemente casuale, fatta di camere di hotel, liquori e provviste al Carrefour, incontri fortuiti e a volte epifanici, gastronomia di alto livello, sigarette e antidepressivi, Florent-Claude si mette alla ricerca – mai così ben dissimulata nei suoi passi iniziali – delle poche persone che hanno contato qualcosa nella sua vita: le donne che ha amato, l’unico amico che abbia mai avuto. Naturalmente, trattandosi di un romanzo di Houellebecq, quel che si trova davanti è prevedibile e triste: corpi in disfacimento, sogni falliti, disastri familiari, solitudini estreme. Anche la donna che è stata il grande amore della sua vita, la vera occasione mancata, è ormai attratta in una sfera sentimentale e affettiva – quella del rapporto col figlio – completamente separata dal mondo.

Dicevamo che si ritrovano, quasi in una ricapitolazione giudiziosa, molti tratti dei romanzi precedenti: dalla struttura della ricerca che culmina in un momento di rivelazione e disfatta, che accomuna Estensione del dominio della lotta (1994) e Sottomissione (2015), a una voce narrante strettamente parente di quelle del Michel di Piattaforma (2001) e del Daniel di La possibilità di un’isola (2005). Così, la descrizione impietosa della progressiva perdita di senso nelle vite degli occidentali moderni, l’onnipresenza del fallimento, la necessità che tutto quello che infanzia e giovinezza fanno balenare sotto forma di illusioni, aspirazioni, desideri sia destinato a una rapidissima distruzione, sono la continuazione di un discorso aperto con Le particelle elementari (1998) e non ancora concluso.

Anche dal punto di vista stilistico ci sono tratti inconfondibili: oltre alla platitude dello stile, troppo spesso fraintesa e frettolosamente giudicata sciatteria, l’idiosincratico uso della litote quando la coloritura patetica rischia di diventare insopportabile, l’ironia diffusa e irresistibile quando si appunta contro mostri sacri della cultura o beniamini del pubblico televisivo, il ricorso ad astrazioni e a digressioni sull’economia e sul costume. In questo senso, davvero, ci troviamo davanti a uno degli universi narrativi più coerenti che si possano immaginare. Anche il finale si colloca perfettamente in questo quadro: nelle ultime pagine una voce analoga a quella che chiude tutti gli altri romanzi ci parla da una condizione di limbo, dopo che il tumulto degli eventi si è spento.

Ma Serotonina, a differenza degli altri, in questo simile forse soltanto a La carta e il territorio (2010), non mira a scandalizzare e destabilizzare il lettore in modo frontale. Non vi troviamo le provocatorie tirate misogine, antislamiche, reazionarie, razziste (anche quelle sempre in larghissima parte fraintese), bensì una singolare pacatezza, un ritmo più solenne e disteso: un esempio per tutti, il ricordo delle donne amate e perdute non si trasforma mai nella denuncia del loro essere ignobili ed egoiste, ma le dichiara apertamente esseri che avrebbero meritato di meglio, esplora le sfumature della loro trascorsa dolcezza e della loro dedizione andata a vuoto. Serotonina è un romanzo molto triste, ma lo è in modo del tutto diverso da quelli che lo precedono: è una meditazione su quanto il rimpianto possa costituire l’ossatura della vita dei singoli, su quanto l’amore sia la cosa più necessaria a tutti gli esseri umani, e anche la cosa meno raggiungibile. Su come la felicità, almeno in un certo momento della vita di ognuno, sia a portata di mano e la si manchi perché non c’è abbastanza coraggio. Si ha quindi l’impressione che alla protesta e alla rabbia delle precedenti voci narranti ne subentri una che parla con una nota diversa, quella di una nostalgia che non ha più bisogno della reazione violenta.

Non che lo scacco finale venga eluso, esso è sempre manifesto e presente; non che il dolore non sia onnipresente e straziante, ma stavolta la loro esplorazione – comune a tutti i precedenti romanzi – prende una direzione diversa: la dichiarazione diretta che gli unici valori umani possono essere l’amore, la tenerezza, la fiducia. E che questi valori possono esistere solo nell’unico nucleo sociale possibile contro il mondo e contro la vita: la coppia. Anche nei libri precedenti si trattava, in definitiva, di questo: difendere a ogni costo il legame contro l’entropia dell’esistenza. Solo che queste affermazioni erano date quasi sempre per antifrasi, e il lettore doveva estrarle a forza nonostante le rappresentazioni strazianti, disturbanti, aggressive, polemiche, spietate, faziose delle miserie individuali e collettive. Se c’è stato uno scrittore che ha creduto nella potenza illimitata dell’umano nella sua forma più alta e migliore, quello scrittore è Michel Houellebecq. Ma spesso una lettura disattenta, superficiale delle sue opere lo ha fatto percepire come l’anti-umano per eccellenza, il polemista fine a sé stesso, il cinico cantore di una indifferenza totale. Serotonina si apre a una strada più esplicita. Non è un caso che il romanzo si chiuda così:

E oggi capisco il punto di vista del Cristo, il suo ripetuto irritarsi di fronte all’insensibilità dei cuori: hanno tutti i segni, e non ne tengono conto. È proprio necessario, per giunta, che dia la mia vita per quei miserabili? È proprio necessario essere così esplicito?
Parrebbe di sì.

Discutendo con un collega,[1] convenivamo che queste ultime righe non possono essere lette soltanto come la voce del narratore. Oltre la sua si intuisce quella dell’autore Houellebecq, che si chiede quanto era necessario essere esplicito per mostrare che la sua intera opera è sempre stata quello che questo romanzo rende soltanto più evidente: non una voce contro l’amore e la grazia, ma a loro estremo favore; non una voce contro gli uomini, ma invece per loro e con loro.

Ecco perché Serotonina è simile e diverso dai romanzi che lo precedono: per la prima volta Houellebecq ci parla in modo diretto di quel che è il mondo secondo lui, di quello che dovrebbe essere e non è. La sua voce è ormai talmente salda da non temere né il patetismo né l’affermazione di un umanesimo certo non conciliante, ma consapevolmente assunto e potente. La prova, se mai servisse, che ci parla dall’universo dei classici, e come i classici non ha più bisogno di limitare quello che afferma.

[1] Luca Cristiano, che ringrazio per i confronti sempre stimolanti su questo autore e sulla letteratura in generale.


Houellebecq serotonina

Michel Houellebecq, Serotonina, La Nave di Teseo 2019, 332 pp., 19 €.