[Sabato 21 ottobre, al museo BACO_Base Arte Contemporanea Odierna di Bergamo verrà inaugurata una rassegna dedicata al tema delle migrazioni e dei campi profughi. Si intitola Campi,è curato da Sara Benaglia e Mauro Zanchi e prevede una rassegna di video (di Maria Iorio & Raphaël Cuomo, Regina José Galindo, Guy Ben Ner, Adrian Paci, Gabriella Ciancimino, Invernomuto) e la mostra di Rocco Rorandelli, fotografo documentarista del collettivo TerraProject. Nella realizzazione della rassegna, è stata coinvolta anche la Cooperativa Ruah, che si occupa di accoglienza dei migranti, affinché la fruizione delle opere proposte abbia come utenti anche i soggetti primi delle opere stesse. Di seguito pubblichiamo il testo sulla fotografia di Rorandelli che comparirà nel catalogo a cura di Sara Benaglia, Mauro Zanchi, L’Africa in giardino, Moretti e Vitali (Bergamo 2017). Ringraziamo l’autore e l’editore per la disponibilità.]


La traduzione in immagini della multidirezionale interpretazione della realtà è come un’esperienza mentale di migrazione. L’analogia può essere considerata anche uno spostamento da un significato a un altro, un percorso creativo che rivolge l’attenzione verso varie dimensioni. Da Platone in poi, alcuni grandi pensatori hanno intuito che l’analogia aiuta la mente a cogliere passaggi più sottili nella realtà, e permette di accedere alla comprensione di qualcosa che altrimenti rimarrebbe nascosto. In questi percorsi si compiono salti logici, si incontrano risposte deboli o forti, ovvie o profonde.

Calitri, 2007

Calitri, 2007

Calitri (2007) di Rocco Rorandelli[1] è un esempio eloquente: le scale di un’architettura incompiuta, intese come immagini simboliche o come rimandi analogici, inserite in una mostra legata al tema delle migrazioni e dei campi di accoglienza temporanea rimandano a ulteriori significati o creano altri collegamenti di senso. Un luogo simbolo dello spreco di soldi pubblici, delle ricostruzioni fittizie, delle infiltrazioni mafiose, della speculazione post terremoti, insomma un monumento dei malaffari di molti politici italiani si collega idealmente a tutte le questioni riferite a chi riesce a guadagnare anche sulle vite dei profughi e dei clandestini. E per incanto il passato politico italiano viene collegato con i problemi del presente, mostrando che tutto è una conseguenza diretta di qualcos’altro: il cinquantennio democristiano, il socialismo craxiano e poi il quasi ventennio berlusconiano, vanno a costituire una base solidissima da cui partire per innestare le più aggiornate dinamiche dei governi non votati dal popolo. In un’altra declinazione, secondo i sogni dei migranti le scale dovrebbero condurre a nuovi cieli e a migliori prospettive di vita. E invece la questione rimane irrisolta: ascensioni verso il vuoto di un’attesa prolungata che va verso altre direzioni rispetto alle aspettative e che non corona sogni. Così pure può essere riletta con un secondo piano di rimandi la ripresa dall’alto di un parcheggio del Nord-est italiano in Vicenza (2017), dove campeggiano le scritte IN, OUT e Proprietà Privata. Le parole e la metafora del parcheggio, rilette dal punto di vista delle questioni dei flussi migratori, divengono meta-messaggi espliciti all’interno dell’immagine: i richiedenti asilo vengono parcheggiati in campi, e spostati continuamente (dentro e fuori) in situazioni di disagio e di attesa, oppure rimandati nelle terre da cui sono fuggiti o dove si sono imbarcati.

IN-OUT, Vicenza, 2017

IN-OUT, Vicenza, 2017

In Spielfeld (2015), dalla prospettiva di chi guarda in basso dal cielo, un poliziotto affianca un cameraman e un giornalista mentre riprendono due profughi dormienti nel mezzo di un parcheggio. L’immagine è una descrizione realistica scattata in Austria, dove i migranti, per la maggior parte siriani, dopo aver lasciano la Macedonia proseguono il viaggio verso la Germania ed il nord Europa. Ma la scelta formale di Rorandelli offre allo spettatore una fotografia in cui vive una copresenza di due elementi, che creano un interessante cortocircuito concettuale. I soggetti paiono figure e forme su uno sfondo astratto, dove il ritmo compositivo è scandito dalle linee oblique e parallele sulla pavimentazione. L’immagine drammatica subisce una sublimazione dal retroterra culturale e dalla società dello spettacolo? Qui ora consideriamo una fotografia di reportage come una riuscita opera d’arte. Riuscita anche nel senso che il punctum barthesiano in essa presente ha la forza di pungere la coscienza, di ghermirla, di estendere un ulteriore elemento. L’immagine è al contempo disturbante, per il tema trattato, e gradevole, per come è stata risolta formalmente. Oltre a documentare i fatti che sono accaduti e che stanno continuando ad accadere, la fotografia di reportage esposta in un museo diventa anche qualcos’altro? Con lo spostamento semantico accade che il soggetto drammatico venga mitigato attraverso parametri che ora inducono a leggervi segni e rimandi al repertorio della storia dell’arte. L’occhio è chiamato a soffermarsi sui dettagli: la griglia dei blocchi di cemento, le macchie, le coperte, i segni degli pneumatici, le strisce bianche. E a livello simbolico si è portati a immaginare cosa stiano sognando in quel momento i due migranti. Rorandelli coglie nel suo scatto la sintesi del controverso rapporto tra realtà ed evasione dal reale, tra l’evento drammatico e la sua spettacolarizzazione. Giornalista, cameraman, militare e profugo sono resi come macchie e segni entro uno sfondo puramente pittorico. E tutto guardato dal cielo di un dio indifferente (collezionista di innumerevoli opere d’arte), che gode nel lasciare scorrere il suo occhio su un drone: col medium della distanza trasforma un accampamento di profughi in un interessante quadro dalle forme astratte, come in Belgrado (2015).  Qui la fotografia, dalla contingenza pura e da strumento di testimonianza della realtà, apre a un’altra dimensione, forse più sovversiva. È al contempo campo e fuori campo. E ancora una volta la realtà disturbante viene addomesticata attraverso l’arte, ma la denuncia è più consapevole, dichiarata, e passata sottilmente alla coscienza dello spettatore. Si migra dal trauma testimoniato nel reportage all’affioramento di punctum e del loro potere evocativo, qui piegati dalla terribilità poetica della forma e dell’astrazione.

Lampedusa, 2011

Lampedusa, 2011

Le tre fotografie della serie Lampedusa (2011) documentano la recinzione attorno al Centro per la Prima Accoglienza, un approdo notturno di un barcone tunisino pieno di migranti, e la cosiddetta “collina di vergogna”, ovvero un piccolo pendio che si affaccia sul porto commerciale dell’isola, dove centinaia di tunisini dormono in tende di fortuna.

Di fronte alle innumerevoli persone che fuggono dalle loro patrie e da tutte le avversità che devono affrontare si comprende come sia sottile il confine che separa il privilegio dalla perdita di una condizione privilegiata. Infatti potrebbe accadere qualcosa che annulla tutto. E allora ci si troverebbe nei panni dei richiedenti asilo africani o asiatici, provando in prima persona il rapporto tra nuda vita, esistenza biologica e lo statuto di cittadino. Quale è la differenza tra persona e cittadino? Chi è l’espulso trattenuto? L’individuo privo di cittadinanza è uno “straniero senza nome”, non nominato dalla legge, e per trenta giorni vive in uno spazio di vuoto giuridico totale. È ridotto a “nuda vita di fronte al potere sovrano”, senza difese. Queste problematiche mettono a nudo ciò che sta dietro la figura del cittadino.

Lampedusa, 2011

Lampedusa, 2011

In base all’articolo 14 del Testo unico sull’immigrazione, le persone trattenute nei “centri di permanenza temporanea” in Italia sono già state oggetto di un provvedimento di espulsione precedente. Accade che gli immigrati privi di documenti, per garantirsi una nuova possibilità rispetto a un eventuale reingresso in Italia, dichiarino false generalità e una non veritiera nazionalità di provenienza. Essendo per legge già state espulse, le persone detenute in questi “Campi” risultano “inesistenti” sul territorio dello Stato. Dal punto di vista giuridico si verifica una situazione di eccezione, per cui l’esistenza fisica viene separata dallo statuto giuridico. Nel testo della legge i profughi e i clandestini non vengono chiamati “cittadini stranieri” ma si ricorre sempre a definizioni del genere: “la persona trattenuta”. Attraverso l’espulsione, i profughi sono spogliati di ogni statuto giuridico e trattenuti in luoghi (“spazi d’eccezione”) dove non dimorano dei soggetti giuridici ma delle nude esistenze, che non possono appellarsi agli stessi diritti dei cittadini italiani. Gli “espulsi” sono rinchiusi nei campi, ma sono già altrove. Non sono giuridicamente all’interno dei confini nazionali dell’Italia, ma in una terra di mezzo, in attesa che si verifichino le condizioni pratiche della loro espulsione. Rocco Rorandelli ha testimoniato con i suoi scatti le dinamiche inerenti alle migrazioni, agli sbarchi dei profughi, alle detenzioni nei campi, allo “stato di eccezione”, rievocando le questioni sostenute da Giorgio Agamben in Homo Sacer. Il percorso visivo della mostra pone l’attenzione anche sul non detto, rimasto sospeso e in sospensione tra le innumerevoli parole e immagini di politica e media in questi anni di grandi fenomeni migratori.


 

Rocco Rorandelli. Campi migranti

A cura di Sara Benaglia e Mauro Zanchi

Dal  21.10 al 02.12.2017
BACO_Base Arte Contemporanea Odierna
Palazzo della Misericordia, via Arena, 9 – Città Alta, Bergamo

Inaugurazione | sabato 21 ottobre 2017, ore 10.30

Il progetto Campi è realizzato in collaborazione con la Fondazione MIA di Bergamo e con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo, con il contributo della Fondazione Comunità Bergamasca, di A2A Energia S.p.a. e di BCC Bergamo e Valli.


 

[1] Rocco Rorandelli (1973) ha iniziato a lavorare come fotografo documentarista dopo gli studi in Biologia, che lo hanno aiutato a sviluppare un profondo interesse per le questioni sociali e ambientali su scala globale. Le sue immagini sono utilizzate in diverse campagne di sensibilizzazione di organizzazioni intergovernative e non governative e vengono regolarmente pubblicate dalle principali riviste internazionali come Le Monde Magazine, GEO, Der Spiegel, Newsweek, The Wall Street Journal, Paris Match, Guardian Review, D di Repubblica, L’Espresso, Internazionale, Io Donna, Vanity Fair e molti altri. È stato selezionato al Sony World Photography 2010. Nel 2011 ha ricevuto un grant da parte del Fondo per il Giornalismo Investigativo (USA) per il suo progetto a lungo termine sull’industria del tabacco. Nel 2013 è stato nominato candidato al Magnum Foundation Emergency Fund. Vive a Roma.


Foto di copertina: Spielfeld, Austria (2015)