A tre mesi dalle proposte musicali che hanno aperto il 2017 il capitano Achab e la sua ciurma ritornano con un’ondata di rock, grunge, folk e garage.



The Afghan Whigs – In Spades [Sub Pop/2017] (Massimo Cotugno)

Nel mio personale parlamento del rock, Greg Dulli lo colloco sempre vicino a John Parish e Steve Albini. tutti e tre, in un modo o nell’altro, sono tra i principali artefici della migliore scena alternativa tra gli anni 80 e i 90, senza mai finire troppo sotto i riflettori (al contrario di molti loro compagni di viaggio). Greg Dulli ha sempre preferito lavorare incessantemente su più fronti, con più formazioni e ruoli. Nel 2001 chiude con gli Afghan Whigs per dedicarsi a nuovi progetti come i Gutter Twins con l’amico Mark Lanegan, i Twilight Singer e a coproduzioni come Ballate per piccole iene con il suo alterego italiano Manuel Agnelli. Poi la reunion con la vecchia band, un album nel 2014 e ora questo In Spades a dimostrare quanta classe ci sia ancora in questo rocker dell’Ohio. Dieci brani dalle sonorità levigate, tra echi della band che fu e soluzioni più mature, che dimostrano quanto poco basti a gente di talento per spiccare nell’attuale esangue scena indie. È di qualche giorno fa la scomparsa del chitarrista della band, Dave Rosser.


Mark Lanegan Band – Gargoyle [Heavenly Records/2017] (Michele Turazzi)

Mark Lanegan è un sopravvissuto. Sopravvissuto a un’epoca – quella del grunge – che è scoppiata e implosa nello spazio di un decennio, sopravvissuto a una generazione che si è autodistrutta con sorprendente meticolosità (da Layne Staley, quando gli anni Novanta erano da poco terminati, a Chris Cornell, e la sua inspiegabile scomparsa nel momento in cui tutti pensavano che pure lui fosse tra i “salvati”), sopravvissuto a una vita di dipendenze e disintossicazioni nel più puro stile rock’n’roll. La sua voce è quella di un sopravvissuto, la voce di un uomo con una sigaretta perennemente accesa in una mano e un bicchiere di whisky nell’altra. Il suo aspetto lo è, basta andare a un suo concerto per capirlo: osservare la sofferenza che prova nel tentare di piegare la schiena per raggiungere una bottiglietta d’acqua è un’esperienza quasi struggente. Ma questo sopravvissuto, per nostra fortuna, non si è ancora stancato di fare quello che sa fare meglio: musica. Gargoyle è l’ultima sua fatica.


Kasabian – For Crying Out Loud [Columbia Records/2017] (Giacomo Raccis)

In un panorama musicale preso in ostaggio da cantanti-eunuchi ed emuli di Baglioni, arrivano a darci un po’ di ossigeno, dopo tre anni di assenza, i Kasabian. Che non a caso invitano a “urlare fuori” dalla gola grandi quantità di rock, com’è nel loro stile. E se il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, You’re in love with a psycho, si rifà alla parte più ripetitiva e languida della loro produzione, la traccia di apertura III Ray (the King) rinverdisce i fasti di Underdog, mentre Wasted migliora lo “spirito da ballata” di Goodbye Kiss. Aspettiamo i live estivi.


Alt-J – Relaxer [Infectious – Atlantic/2017] (Alessandra Scotto di Santolo)

Morte, appuntamenti romantici, la Tasmania, i riferimenti letterari e l’amare a modo proprio – “in my own language” – sono i temi delle otto canzoni traverse dell’ultimo album del trio di Leeds nato nel 2007, Alt-J. Dal folk immancabile della ballata 3WW – con la breve apparizione di Ellie Rowsell dei Wolf Alice –  al blitz garage-rock di Hit Me Like That Snare, Relaxer è un album che può far sbandare chi lo ascolta ma è un viaggio che vale decisamente la pena intraprendere. Persino la loro versione della già troppo interpretata House of the Rising Sun è una soffiata di vento nuovo.