Qualcuno ha detto che i romanzi andrebbero letti con la stessa cura con cui sono stati scritti. L’ultima opera di Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte NoTav, andrebbe letto con molta cura. E non è facile, perché il gioco letterario di Roberto Bui funziona così bene che narrazione e argomentazione si intrecciano in un modo vorticoso che accelera la lettura e le impone un ritmo da narrativa di genere, a tratti thriller, a tratti horror, a tratti fantasy. Il trucco c’è (a volte non si vede, altre è lo stesso Wu Ming1 a dichiararlo), perché Un viaggio che non promettiamo breve è un’opera di non fiction: nelle più di 600 pagine che la compongono, altro non abbiamo che dati tecnici, cronaca giornalistica e giudiziaria, interviste, reportage, oltre a riferimenti a una ricchissima bibliografia che spazia dalla storia all’antropologia, dall’economia all’etnologia della Valsusa. Considerate questi ingredienti e poi confrontateli con l’effetto finale. Quanta cura ci dev’essere voluta per ottenere quell’effetto? Quante decisioni formali devono essere state prese, nella fase compositiva, per trasformare quel materiale così duro in oggetto di scena letteraria, che a volte è semplice «atmosfera» («…e buttala via!», direbbe con sarcasmo Lovecraft), altre vero e proprio «twist», «colpo di scena», in ogni caso sempre momento di una tessitura narrativamente avvincente?

 

E poi, cosa c’è di originale in tutto ciò? Wu Ming 1 sminuirebbe, ricordando, come ha già fatto precedentemente, che alla faccia di chi lo nega, la narrativa non fiction esiste in Italia da molto prima che oltre oceano Capote pubblicasse A sangue freddodall’epoca di Manzoni e della sua Colonna infame – anche se è solo in questi mesi che il pubblico sta notando la sua esistenza (si pensi, tra gli altri esempi che hanno fatto scalpore, all’uscita recente di Addio, di Angelo Ferracuti). Alcuni suoi lettori, entusiasti, insistono invece a dire che Un viaggio che non promettiamo breve rimane un oggetto letterario non identificato, un esperimento assolutamente originale che si differenzia da altri per coraggio e ispirazione e che potrebbe porsi come inizio di qualcosa. Può darsi che la verità stia nel mezzo. Wu Ming1 si colloca in una tradizione ben più solida di quello che molti dicono, ma allo stesso tempo, pur inserendosi in tale genere, Un viaggio che non promettiamo breve è un po’ più ardito delle opere che l’hanno preceduta e finisce per alzare la tacca dello sperimentalismo. In questo senso, è difficile negarlo: c’è qualcosa di molto originale in quest’opera.

Può darsi che l’ingrediente-chiave del gioco di Wu Ming1 sia una sorta di estremismo. D’accordo, già Manzoni aveva unito i due poli di narrative e di non-fiction e molti altri fino ad oggi hanno giocato a mescolarli. Ma Wu Ming1 ha provato a radicalizzare il carattere di entrambi, mettendo a dura prova la loro possibilità di rimanere uniti. Prendiamo l’elemento non-fiction: le interviste a personaggi reali, ma pur sempre caratteristici (facili da trasformare in tipi letterari), le battaglie epiche dei NoTav, gli aneddoti pieni di pathos… insomma tutti quelli che, nelle scienze umane, vengono chiamati dati soft (cioè scientifici, realistici, ma pur sempre umanamente coloriti e facili da trasformare in narrative) hanno un ruolo secondario nella costruzione dell’opera. Alla base ci sono quelli che, nelle scienze umane, si chiamano dati hard. Parliamo di numeri, di analisi economiche del sistema produttivo e del suo indotto, di statistiche e trend. Sono dati che occupano pagine intere e ai quali, senza dubbio, viene dato un ruolo molto più pregnante che in qualunque altra opera di narrative non-fiction. Eppure, altrettanto estremo è il ruolo che viene dato all’elemento di narrative. Si pensi alla figura di H.P. Lovecraft, che dal mondo dei morti ritorna nello stato di dormiveglia dello stesso Roberto Bui per consigliarlo. Eccolo che interloquisce sui dati del progetto Tav, valutando come sia meglio gestirli. Eccolo che scrive numerose lettere, che commenta in diretta lo sviluppo narrativo del progetto e termina dicendo: «mi tenga aggiornato, continui pure a inviarmi i brani ultimati. Dacché sono morto, ho talmente poco da fare…» Specularmente: in poche altre opere di narrative non-fiction erano stati inseriti dati così hard da un punto di vista dell’invenzione letteraria da generare stridore al contatto con la realtà.

Quella di Wu Ming1 è una scrittura che rischia molto, poiché in ogni momento cammina sul crinale del divorzio di realtà e finzione, avendo dato ad ognuno dei due partner delle ragioni autonome (saggistiche al primo, narrative – e pure di genere! – al secondo) che hanno la priorità sulle ragioni della coppia. La scommessa è estrema. Il fatto che, alla fine, il divorzio non si consumi ha qualcosa di letterariamente grande. Una novità entusiasmante, che sembra dire a scrittori e lettori che la fusione di invenzione letteraria e realtà ha molto più margine di gioco di quanto credevamo e, se affidata a scrittori che così bene conoscono i ferri del mestiere, consente molti più fuochi d’artificio di opere di semplice fiction. Si pensi all’incontro tra l’Entità (elemento fiction per eccellenza, un mostro simile alla pura atmosfera propugnata da Lovecraft) e Turi Vaccaro (personaggio reale, presente nelle cronache giornalistiche e giudiziarie). Ebbene, Wu Ming1 trova le ragioni letterarie per le quali l’Entità deve incontrare Turi Vaccaro e le ragioni realistiche per le quali Turi Vaccaro deve incontrare l’Entità. L’incontro che ne deriva è a un passo dal grottesco, dalla rottura della credibilità del gioco letterario. Ma è un passo che non viene compiuto: tutto si ferma pochi millimetri prima, all’apice del gioco stesso, nel trionfo della scommessa tentata da Wu Ming1.

Probabile che non saranno in molti a emularlo. La cura necessaria a scrivere un romanzo del genere ha il valore, altissimo, di un esempio non facilmente imitabile. Nei confronti della realtà, il lavoro dello scrittore si è fatto esplorazione fisica di luoghi, andata e ritorno, rimuginamento e poi ritorno di nuovo. E domande, interviste, notti passate in mezzo ai protagonisti della sua opera. Bibliografie e rassegne stampa quotidiane. Messa a rischio anche della propria incolumità fisica (in un’investigazione che ha richiesto di avvicinarsi ai posti di blocco e alle battaglie molto più di qualunque giornalista) e penale (visto che ogni passaggio ha richiesto il confronto con un avvocato per saggiare la correttezza legale dei dati forniti). Facile capire come la complessità del materiale finale, la base sui cui lavorare nella fase compositiva, abbia messo lo scrittore di fronte a numerosi problemi, le cui soluzioni hanno richiesto l’uso di quasi tutti i ferri del mestiere, fino all’invenzione ad hoc e allo sperimentalismo. Wu Ming1 ha lavorato con le parole (per esempio scegliendo di non usare mai il passato remoto) e sul montaggio. C’è un andamento reticolare che unisce con coerenza le ragioni chiarificatrici del testo argomentativo, insieme alle esigenze del testo narrativo e coinvolgente. Wu Ming1 lavora sulle analogie di significato, come un investigatore le scova e le esplicita, muovendosi sia nello spazio geografico, sia nel tempo storico, per mostrare gli elementi ricorrenti di una più generale «narrazione tossica» intorno alle Grandi Opere. Perché gli argomenti portati dai proTav sono gli stessi portati in altri tempi e luoghi a sostegno di promesse che poi si sono rivelate devastazioni ambientali e giochi di potere senza alcun vantaggio collettivo. Il narratore che si sposta nel tempo e nello spazio, accentuando l’effetto dirompente del confronto tra promesse e (non)realizzazioni, ottiene un gioco argomentativo schiacciante, in cui la sproporzione tra la documentazione e gli argomenti del No e la genericità del Sì diventa persino grottesca. La «narrazione tossica» delle Grandi Opere si sbriciola come un castello di tufo all’incedere, incalzante, della narrazione non-fiction dell’opera. E questo è spoiler, ma anche realtà.


wu ming 1

Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav, Einaudi, Torino 2017, 664 pp. 21€