Come ogni anno, anche il 2017 si aprirà con un importante annuncio: il 31 gennaio, alle 17, alla Biblioteca Tiraboschi di Bergamo, Andrea Cortellessa rivelerà i titoli dei cinque libri finalisti del Premio Narrativa Bergamo. Da lì trascorreranno tre mesi ricchi di presentazioni e incontri con gli autori, che porteranno alla serata finale, il 29 aprile, con la premiazione del vincitore nella splendida cornice del Teatro Donizetti.

Lungo tutto questo periodo, la Balena Bianca, come i suoi soci già sanno, seguirà da vicino le iniziative del Premio, con interviste, recensioni e altri articoli, perché collaborerà attivamente alla promozione di quello che non è un semplice riconoscimento letterario, bensì una realtà culturale fortemente radicata nel territorio, che da 33 anni porta i libri più nuovi e interessanti della produzione nazionale nelle case dei bergamaschi e non solo.

Per arrivare preparati all’appuntamento, allora, abbiamo pensato di interpellare chi oggi rappresenta l’anima del Premio, ovvero il Presidente Massimo Rocchi e la Segretaria Flavia Alborghetti per quello che riguarda l’organizzazione e il raccordo con le istituzioni del territorio, la professoressa Adriana Lorenzi per gli incontri in biblioteca e soprattutto per il progetto nelle scuole, e i membri del Comitato Scientifico Marco Belpoliti, Andrea Cortellessa, Silvia De Laude e Angelo Guglielmi, che ogni anno individuano le cinque proposte.

Prima di cedere loro la parola, è importante ricordare che il Premio Narrativa Bergamo è aperto alla partecipazione di tutti i lettori, che hanno la possibilità di candidarsi come membri della Giuria Popolare, che contribuirà alle selezione del vincitore finale: per iscriversi c’è tempo fino al 20 dicembre 2016. La procedura è molto semplice e si può fare qui.

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L’organizzazione: Massimo Rocchi e Flavia Alborghetti

Il premio Bergamo giunge quest’anno alla 33esima edizione: com’è nato questo progetto così duraturo? Cosa aveva mosso i fondatori a lanciarsi in una simile iniziativa?

Il Premio nacque nel 1985 per colmare una lacuna letteraria della cultura di quegli anni a Bergamo, e costituì la prima “giuria tecnica” con Giuseppe Pontiggia, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli. Fu proprio Manganelli a redigere il primo Regolamento tuttora in vigore nelle sue parti fondative. È il momento in cui la Confesercenti di Bergamo, associazione di categoria dei commercianti, si assume l’impegno di organizzare la locale Fiera del libro, nata nel 1959. È a Claudio Re, segretario provinciale dell’associazione, che Lucio Klobas – scrittore istriano residente a Bergamo – e Sandro Seghezzi, noto libraio, presentano il progetto di dare vita ad un Premio Nazionale di Narrativa che porti il nome della città.
L’obiettivo principale era portare alla conoscenza del pubblico gli autori via via emergenti nel panorama nazionale, proporre delle novità dal punto di vista stilistico e narrativo, mettere in rapporto il mondo dei critici di professione con quello dei lettori appassionati ma “comuni”, favorire l’incontro con i lettori bergamaschi di autori provenienti da tutta Italia.
Si trattava poi di formare una “giuria tecnica” la più prestigiosa e indipendente possibile. Viene subito coinvolto Giuseppe Pontiggia, già autore di romanzi come Il giocatore invisibile (1978) e Il raggio d’ombra (1983), legato da amicizia a Lucio Klobas e affezionato alla città dove aveva svolto buona parte del servizio militare. Sempre per interessamento di Klobas, della giuria selezionatrice entrano a far parte anche il poeta, nonché critico e storico della lingua, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli, intellettuale raffinato e stravagante. Una giuria popolare avrebbe decretato il vincitore (il “super vincitore”: per Manganelli infatti i finalisti erano già tutti vincitori nel momento della selezione) e il numero dei suoi componenti viene fissato inizialmente in cinquanta, scelti tra i “lettori forti” segnalati dalle librerie, dalle scuole e dalle biblioteche locali. A questi giurati si aggiungono i nomi di esponenti del mondo culturale bergamasco. Da quegli anni ad oggi, grazie anche alle nuove tecnologie mediatiche, la base di questa Giuria Popolare si è allargata enormemente: oltre a sempre più numerose categorie sociali (dalle librerie, ai gruppi culturali, al carcere, alle biblioteche…) si sono inseriti soprattutto i giovani e le scuole con il coinvolgimento delle classi che negli anni hanno partecipato attivamente proponendosi come parte della giuria popolare prevista dal regolamento del Premio Narrativa e come protagonisti attivi durante gli incontri con gli autori finalisti.
Dalla sua fondazione sono passati nella nostra città i più autorevoli e significativi scrittori del panorama nazionale di letteratura contemporanea, opere prime, scrittori sconosciuti oggi ormai famosi, avanguardie… Tutti si sono confrontati direttamente con un largo pubblico attento e competente; il premio ha invogliato a confrontarsi dapprima in solitudine con il libro, e poi con l’autore stesso durante l’incontro pubblico che spesso illumina, risolve i problemi che al lettore paiono difficili, suggerisce altre vie per arrivare alla comprensione del libro, apre nuovi scenari di senso, si è accentuato il momento del confronto collettivo non solo con l’autore, ma tra lettore e lettore.

Il premio Bergamo è ormai un’istituzione della cultura bergamasca: in che modo, nel corso degli anni, si è riusciti a coinvolgere enti diversi del territorio?

In effetti proprio per consolidare la presenza del Premio sul territorio stiamo cercando di organizzare eventi, incontri, presentazioni di autori e testi anche nel corso dell’anno collaborando con altre associazioni culturali. In particolare si sta intensificando la collaborazione con l’Università di Bergamo, Lab 80 Film (il 3 maggio 2017 proietteremo in anteprima nazionale il film documentario Arlecchino notturno di Paolo Jamoletti su Francesco Permunian, finalista del Premio nel 2014) e Associazione Librai per poter consentire alla cittadinanza di partecipare ad eventi distribuiti lungo il corso dell’anno. Bergamo è ricca di manifestazioni artistiche, musicali e teatrali ma ci rendiamo conto che a livello letterario esiste uno spazio che cerchiamo di colmare.

Ma la cultura riesce oggi a fare ancora da traino per un’iniziativa che sappia mettere insieme interlocutori appartenenti a campi professionali diversi? 

Le difficoltà di coinvolgere nel campo della cultura altri soggetti è un problema reale anche e soprattutto perché il Premio deve confrontarsi ogni anno con serie difficoltà organizzative derivanti dalla scarsa propensione di soggetti non istituzionali ad occuparsi di cultura e ad investire nell’ambito delle culture in senso lato. Crediamo tuttavia che sui tempi lunghi si imporrà inesorabilmente la prevalenza della cultura sulla mera logica commerciale imperante e comunque che si amplieranno necessariamente gli spazi dell’intelligenza in un paese che è tra i primi al mondo per la presenza di festival ed eventi culturali vari.

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Il Premio nelle scuole: Adriana Lorenzi

Uno dei motivi per cui il Premio Narrativa Bergamo costituisce un patrimonio culturale per la città di Bergamo è l’attitudine formativa e divulgativa che ha sviluppato attraverso un progetto che svolge nelle scuole della città e della provincia. Si chiama l’Officina del lettore e ne è responsabile la professoressa Adriana Lorenzi. Come è nata l’idea di portare i libri del premio nelle scuole e come si struttura il progetto?

Io ho cominciato a collaborare con il premio, presentando gli autori alla Biblioteca Tiraboschi, nel 2008. Fin da subito io e Flavia Alborghetti ci siamo rese conto che il premio aveva un pubblico quasi esclusivamente adulto, la giuria giovane esisteva già ma non partecipava agli incontri pubblici. Era necessario coinvolgere i giovani entrando nelle scuole. Così, nel 2009, è nata l’Officina del lettore.
Il progetto è riservato a dieci classi del triennio superiore – che si possono candidare liberamente partecipando a un bando aperto – e si struttura in due incontri. Nel primo propongo un’introduzione alla lettura critica, responsabile e attiva, in termini generali. Nel secondo invece si comincia a ragionare sui libri finalisti: ci si interroga, si riflette, si preparano le domande che potranno essere poste agli scrittori, sia in occasione dell’incontro che ciascun finalista tiene in una scuola bergamasca, sia nella presentazione di rito alla Tiraboschi. Certo, l’occasione pubblica intimorisce molto i ragazzi; ma avere già una domanda pronta diventa uno stimolo in più per superare l’imbarazzo e imporsi anche in un contesto adulto.
Quello che ho avuto modo di riscontrare è che chi ha partecipato all’Officina del lettore partecipa agli incontri in maniera agguerrita, anche perché ha avuto modo magari di conoscere anche altre opere degli autori finalisti, o li ha letti con maggiore consapevolezza. In generale, parlare di un libro fa nascere il desiderio di confrontarsi con l’autore; sia che il libro sia piaciuto, sia che abbia lasciato perplessi. L’importante è che il libro susciti domande nei ragazzi. Mi ricordo il caso del Farmaco di Gilda Policastro, nel 2011: si trattava di un libro difficile, di alto livello, su cui i ragazzi hanno fatto fatica, nonostante la notevole originalità. E però nei ragazzi è venuta la curiosità di capire come l’autrice avesse potuto scrivere certe cose, immaginare determinati episodi, si chiedevano se davvero li avesse vissuti. È un libro che, per quanto difficile, alla fine hanno amato e anche votato. In questo senso, l’incontro con l’autore pesa anche sul loro voto finale.
Un altro caso eclatante è stato quello di Walter Siti, che con il suo Autopsia dell’ossessione non è andato nelle scuole. Il libro era stato letto, ed era molto piaciuto, ma i dirigenti scolastici avevano paura a portarlo in aula per le reazioni dei genitori – ma non tanto per la storia omosessuale, bensì per le fotografie di nudi maschili. In quel caso, però, la privazione dell’incontro ha prodotto un afflusso inusitato di studenti all’incontro pubblico alla Tiraboschi.
Siamo riuscite a coinvolgere oltre ai licei anche altri istituti, come l’Istituto Agrario di Bergamo Mario Rigoni Stern, o l’Ente Professionale Sacra Famiglia: portare i libri in queste scuole significa utilizzare la scrittura e la lettura come strumenti di riscatto in percorsi didattici in cui l’italiano e la lettura non sono centrali. L’anno scorso una ragazza dell’Ente Professionale Sacra Famiglia si era innamorata del libro di Laura Pariani, Questo viaggio che chiamavamo amore ed ha pure vinto il premio per il miglior giudizio critico.
Il premio ha dimostrato di saper attivare i lettori più giovani: a scuola, gli studenti sono abituati a leggere un autore come espressione di un’epoca storica e di determinate tematiche; ma quando studiano i classici, loro, come lettori, non ci sono. Io invece, negli incontri dell’Officina, cerco di coinvolgerli, chiedendo loro di scegliere pagine preferite, cercando di stimolare una lettura attiva. È così che emerge la diversità. E in alcuni casi le scelte e i punti di vista degli studenti sono davvero spiazzanti.

Si può dire allora che il premio Bergamo ha contribuito a formare nuove generazioni di lettori, sfatando anche alcuni tabù invalsi nella scuola, per cui ciò che è contemporaneo vale meno di ciò che è storicamente canonizzato?

È una risposta difficile. Ma posso affrontarla citando un paio di episodi in cui ho avuto un riscontro a distanza di qualche anno dai laboratori dell’Officina del lettore. C’è uno studente dell’ITS Giacomo Quarenghi di Bergamo che ha finito da qualche anno la scuola e adesso lavora: lui continua a partecipare agli incontri, venendo con la sua ex insegnante e con i nuovi studenti. È rimasto un grande lettore. Mi viene in mente anche un’altra ragazza che ha continuato a seguire il premio, rinnovando di anno in anno la sua candidatura alla giuria giovane. Adesso sta per compiere 25 anni e dovrà passare alla giuria popolare, ma mi ha detto che non smetterà di seguire il premio. Sta svolgendo il servizio civile in una scuola per stranieri della città e mantiene un legame forte con le iniziative del Premio Bergamo.
Posso dire quindi che in tanti studenti si crea una consuetudine alla lettura di ciò che è contemporaneo, e questo mi sembra molto importante.
La cosa che li interessa maggiormente sono le storie. In questo i lettori giovani si dimostrano pienamente allineati con il gusto della gran parte degli adulti. Si appassionano alle trame, mentre si lasciano coinvolgere da libri più descrittivi o riflessivi, come la Metronovela di Stefano Bartezzaghi dell’anno scorso o Terracarne di Franco Arminio del 2012. E infatti sono stati poco votati alla fine. Ma non solo dai ragazzi, sia chiaro: loro rappresentano solo una minoranza nella giuria.

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La giuria tecnica: Andrea Cortellessa

Al Premio Narrativa Bergamo la scelta dei cinque libri finalisti spetta a una giuria titolata e di notevole levatura critica: quali sono i criteri con cui viene fatta la scelta? Come trovare cinque titoli in un panorama vasto come quello della produzione narrativa italiana?

La questione di come vengono selezionati i libri è molto semplice e di natura puramente tecnica. I quattro giurati, ma sarebbe meglio chiamarli membri del comitato tecnico, coordinati da Marco Belpoliti, si riuniscono a ciascuno propone un proprio titolo preso dai 21 mesi precedenti (quest’anno dal gennaio 2015 al settembre 2016). Essendo lettori per professione, noi quattro abbiamo tutti una certa conoscenza del quadro della produzione narrativa italiana e sulla base di questa riusciamo a fare una scelta ponderata. Poi, sul quinto titolo e se ci sono dei doppioni, ci confrontiamo per arrivare a una soluzione condivisa.
Naturalmente, essendo una giuria ristretta, la cinquina selezionata finisce per riflettere molto direttamente la visione che ciascuno di noi ha della letteratura. Ma questo credo possa essere un pregio di questo premio.

Appunto, a proposito della questione del “pregio letterario” del premio, mi sembra che le cinquine selezionate nel corso degli anni dai giurati che si sono avvicendati rispecchino uno sguardo sulla narrativa italiana svincolato da logiche di politica editoriale e soprattutto non scontato. Cosa pensi che distingua il Premio Bergamo dagli altri premi letterari italiani? 

Nel corso degli anni i giurati si sono avvicendati e sostituiti, ma sempre seguendo una linea. Prima di entrare a far parte del compitato tecnico, nel 2008, io non sapevo che il premio avesse un antenato remoto, precedente la fondazione del 1985: nel 1966, infatti, venne istituito un premio che ebbe però una sola edizione. Era indetto dal «Caffè» di Giambattista Vicari e venne vinto da Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli. A comporre la giuria del premio dall’85 c’era infatti lo stesso Manganelli e altri scrittori, come Giuseppe Pontiggia, Lucio Klobas, Alfred Guliani, al quale succedette Angelo Guglielmi, attualmente membro del comitato tecnico. Ecco, questi nomi costituiscono una linea profondamente legata allo sperimentalismo degli anni Sessanta, ma che figure come Klobas e Pontiggia hanno fatto avvicinare a quello che Manganelli chiamava “l’impero romanzesco”.
Se si guardano i nomi dei finalisti, capiamo che il legame con questa tradizione è molto forte: nella prima edizione c’erano Tommaso Ottonieri e Carmelo Samonà (anche se poi vinse Roberto Pazzi), in quelle successive ci furono Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Alice Ceresa, Michele Mari (che vinse nel 1991), Emilio Tadini (che vinse invece nel 1994). Si tratta di una tradizione sperimentale in senso ampio, che si è conservata nel tempo e che ha permesso di mantenere un livello alto. Un livello che si esprime principalmente nella scelta della cinquina, più che nella selezione del vincitore, che è sempre condizionata dal voto della giuria popolare.
Il fatto poi che questo territorio letterario sia disgiunto da quelli che vengono toccati da premi maggiormente osservati dai mezzi di comunicazione, come lo Strega, il Campiello o il Viareggio, è dovuto al fatto che qui non c’è l’influenza degli editori – è capitato ad esempio di candidare due titoli di uno stesso editore, perché pensavamo meritassero –, ma anche a una precisa scelta che ci spinge sempre a evitare libri che hanno già vinto premi importanti (un tempo era più facile, oggi Strega e Viareggio hanno mostrato di saper pescare meglio nel panorama di alta qualità della produzione italiana).
Insomma, questa tradizione ibrida, legata al romanzesco ma anche alle altre forme di scrittura in prosa, è rimasta uno specifico del Premio Bergamo, e in alcuni casi ha permesso anche di precorrere i tempi. Più di una volta è capitato di avere al premio autori che poi, qualche anno dopo, hanno raggiunto un discreto successo anche in termini di pubblico; come nel caso di Giorgio Falco, selezionato a Bergamo per L’ubicazione del bene (2009) e poi arrivato a una buona fama nazionale con il successivo La gemella H (2014). Credo che quando un premio riesce a svolgere questa funzione di anticipazione dei gusti e delle tendenze letterarie, faccia al meglio il proprio lavoro.