Sabato 26 novembre, al Teatrino della Villa Reale di Monza, nell’ambito de Il faro in una stanza, festival dedicato a Virginia Woolf, Elisa Bolchi e Sara Sullam hanno tenuto una conversazione incentrata sui romanzi della scrittrice inglese.

Sara Sullam, ricercatrice presso l’Università Statale di Milano, ha da poco pubblicato Tra i generi. Virginia Woolf e il romanzo (Mimesis 2016) mentre Elisa Bolchi, assegnista di ricerca presso l’Università Cattolica di Milano, si è occupata della ricezione in Italia dell’opera della scrittrice (L’indimenticabile artista, Vita e pensiero 2015).

 

Elisa BolchiPartiamo da una domanda semplice, ma solo apparentemente, e che ci rivolgono spesso: se dovessi consigliare un libro di Virginia Woolf a qualcuno che non l’ha mai letta, da cosa suggeriresti di cominciare?

vwoolf_voltando-paginaSara Sullam – Ci sono due vie d’accesso a Virginia Woolf, che è stata una grande scrittrice di romanzi, ma anche una grande critica e saggista letteraria. È così che ha cominciato la sua carriera. Per dieci anni ha pubblicato recensioni e saggi in diverse riviste letterarie. Virginia Woolf aveva una grande attenzione per quello che facevano gli altri, scrittori importanti ma non solo, perché lei leggeva di tutto. Un modo bellissimo per avvicinarsi a lei è quindi quello di leggere i suoi saggi – ad esempio quelli contenuti nell’ultimo libro curato da Liliana Rampello, Voltando pagina.

Se dovessi suggerire da un romanzo, invece, azzarderei Mrs. Dalloway. Inizia con una donna che esce per strada e intanto torna indietro con la mente al suo passato: mentre la si vede passeggiare per Londra, ci viene voglia di seguirne la storia.

EBDare un consiglio a un lettore esperto, magari a uno studioso, che non ha paura di affrontare dei testi complessi, non è così difficile. Più difficile è consigliare un libro a chi non è abituato alla lettura. Quando me lo chiedono, io consiglio sempre Una stanza tutta per sé. Anche se la scrittura saggistica non è la più semplice da affrontare, collocandosi solitamente su un livello high-brow, Virginia Woolf sa condurre anche il lettore più inesperto a passeggio lungo il suo cammino, spiegandogli la sua idea, costruendola davanti a lui. E Una stanza tutta per sé mi sembra che sia un perfetto esempio di questa sua capacità.

SS – La Stanza nasce per un intervento che Woolf doveva tenere in università – lei che non ha fatto l’università: l’intervento si intitolava Le donne e la scrittura. Questo saggio poi, come dicevi, serve per sfatare un mito su di lei: che sia difficile, che si faccia fatica a leggere. In questo testo, infatti, Woolf costruisce un percorso attraverso i secoli raccontando le scrittrici inglesi e c’è un’autrice, Mary Carmichael, vissuta non molto prima di Woolf, che la spiazza vwoolf_una-stanza-tutta-per-seperché ha saputo rompere alcuni caratteri tipici del canone della letteratura femminile. Ha saputo costruire un romanzo sulla gelosia femminile, un elemento che è stato sviluppato al maschile e ha dato vita a nuovi generi del romanzo, ma che al femminile mancava, e in realtà manca ancora oggi, quasi un secolo dopo. Lo sguardo di Virginia Woolf ci serve ancora oggi.

EBNel tuo libro, Sara, riesci a mostrare quanti generi entrino in relazione nella scrittura di Woolf: la prosa narrativa, la lirica – sebbene sempre in prosa – e anche la prosa saggistica, che pure viene sempre lasciata ai margini quando si parla di Woolf. Nella sua scrittura saggistica Woolf ti porta la verità nel palmo della mano: nei suoi testi modella il proprio oggetto e quando te lo mostra, alla fine, tu riconosci tutto, capisci. Lo fa in tutte le sue opere – romanzi, racconti, saggi – e costruisce immagini che finisci per portarti dietro per tutta la vita. Perché sono immagini reali.

Adesso però dovremmo affrontare la questione della prosa lirica – formula abusata dai critici woolfiani: quando do da leggere agli studenti Mrs Dalloway, mi chiedono se e quanto sia difficile. In effetti lo è, ma non per la sintassi che adotta, bensì per il ritmo della sua scrittura, che va assunto e seguito fino in fondo. Non la si può leggere a brandelli, bisogna prendere il suo passo, leggere con il suo respiro. Qual è la tua opinione su questa formula?

SS – Dobbiamo tenere conto che Woolf ha scritto davvero tanto e ogni volta trovando le parole giuste per creare immagini memorabili, e però sempre immagini di situazioni. Sono quelle situazioni che noi riconosciamo. E questo secondo me accade perché lei scrive romanzi e rompe sì le regole stabilite – come peraltro succede spesso in quella stagione culturale –, ma di fatto conserva l’impianto del romanzo. C’è sempre un gruppo di persone al centro della trama e la sua sfida è quella di far dialogare e integrare tra loro le tante voci dei membri di questo gruppo.

Io, quando ho cominciato a studiare la Woolf, sono partita dai saggi e ho notato come fosse ossessionata dalla poesia, dai poeti, dall’impossibilità di scrivere ancora poesia. C’è un aneddoto carino: mentre stava scrivendo Gita al faro, manda un telegramma disperato a una sua amica per chiederle se conosce la differenza tra prosa e poesia: è un problema che la assilla e le serve risolverlo per completare il romanzo. Nella sua prosa lei cerca di riportare alcuni caratteri della poesia, e non solo il ritmo: in quasi ogni romanzo della Woolf, ci sono uno o più personaggi che fanno i poeti, e ci sono uno o più personaggi che lavorano in modo diverso dal poeta. Si innesca una dinamica per cui gli vwoolf_-sullamindividui originali devono essere riportati nel sistema di relazioni del gruppo. Era questa, secondo me, la sfida della Woolf: comprendere come la funzione poetica possa integrarsi con la quotidianità. Tra l’altro poi la fine di questi personaggi-poeti è sempre tragica. Le vicende dei poeti dei suoi anni si sono scontrate con il dramma della guerra. Dopo la pubblicazione di Notte e giorno (1919) Woolf fu accusata di essersi occupata poco della storia che la circondava, di non aver fatto menzione alla guerra. Ma in realtà, questo suo rapporto con la poesia è mediato dall’esperienza della guerra, perché per lei la poesia deve rinnovare la sua lingua e le sue forme per parlare ancora dopo la guerra e per mettere insieme le voci che compongono la realtà. La cura della scrittrice è proprio quella di far dialogare queste diverse voci e lei ha saputo costruire un sistema per far scivolare il punto di vista del romanzo da un personaggio all’altro, senza che il lettore si accorga del trapasso e alla fine abbia l’impressione di un ritmo fatto di diverse voci. In questo senso la scena della cena di Gita al faro è esemplare: sono tutti intorno al tavolo della signora Ramsey e Woolf passa da un personaggio all’altro, senza contrapposizioni, senza passaggi bruschi. Sono anche i personaggi a svolgere questo ruolo all’interno dei romanzi: la stessa signora Ramsey in Gita a faro o Bernard in Le onde.

EBIn effetti tanti si stupirono di come in Notte e giorno, uscito nel 1919, Woolf avesse potuto non parlare della guerra; anche Katherine Mansfield se ne stupì, poiché la guerra era dappertutto in quegli anni. La Mansfield è una delle protagoniste di quel 1922 considerato annus mirabilis della letteratura inglese: uscirono il suo The Garden Party, The Waste Land di T.S. Eliot, Ulysses di Joyce e Jacob’s Room di Woolf, il romanzo dove inizia la sperimentazione sul linguaggio e che viene dopo La crociera e Notte e giorno, due romanzi che la critica oggi tende a sottovalutare ma che tu, nel tuo saggio, definisci romanzi «a dominante letteraria» e romanzi in cui «Woolf fa i suoi esercizi», secondo un’espressione ripresa da un saggio di Woolf su Jane Austen.

SS – In effetti quel 1922 ci ha rovinato la lettura di ciò che venne prima, e anche dopo – che pure è molto interessante. Per Woolf Jane Austen era un riferimento, e anche un termine di paragone. Spesso si chiedeva cosa sarebbe diventata se fosse andata avanti a scrivere: Austen si era fermata a 40 anni, mentre a quell’età Woolf stava raggiungendo la maturità. In La crociera e in Notte e giorno, romanzi scritti prima di arrivare a quella soglia, le lettrici di Woolf si sentono a casa, anche se in un’epoca e in una prospettiva diversa. Sono due trame del matrimonio, raccontano di matrimoni combinati; e sono anche due romanzi che parlano di letteratura.

La crociera si ambienta in un’esotica località di villeggiatura abitata da soli inglesi. La protagonista è una giovane che si trova in vacanza insieme agli zii, mentre il padre è lontano per lavoro; l’albergo in cui alloggiano offre una panoramica di personaggi tipici del romanzo inglese. Durante il soggiorno, una sera, viene organizzato un ballo – topos dei romanzi di Austen – che è una situazione che serve allo scrittore per rimettere ordine tra i personaggi, o per seminare il disordine; nelle pause dal ballo, inoltre, i convitati parlano di romanzi. A un certo punto qualcuno comincia a suonare una musica diversa e scompiglia l’ordine del rito. La protagonista coglie l’occasione per fuggire e liberarsi da quei luoghi in cui si sentiva reclusa. Notte e giorno, invece, è la storia di un incontro e di un matrimonio, ma anche dell’incontro tra lo spazio della città – Londra – e quello della casa – una casa molto simile a quella di Virginia Woolf, che era frequentata da diversi intellettuali, non ultimo Henry James, e non solo. La letteratura, rappresentata dal poeta che la protagonista dovrebbe sposare, costituisce uno schermo tra il personaggio e la realtà, uno schermo che va oltrepassato per conoscere il mondo. Alla fine infatti la scrittura si rompe in frammenti, anticipando ciò che esplode in Jacob’s room.

EBTroppo spesso Woolf viene rappresentata come un personaggio triste. In questo festival stiamo cercando di sfatare questo mito. Orlando, ad esempio, ci fa spesso sorridere, l’ironia è portata a un livello magistrale. Cosa ne pensi?

SSOrlando è la storia di un personaggio che nasce in età elisabettiana e muore nel 1928. È un personaggio che cambia identità, passando da uomo a donna e in questa trasformazione c’è la trasformazione della società inglese, che passa da un’epoca all’altra. Orlando poi si dedica alla letteratura inglese e conosce tutti gli scrittori. È ancora una volta un’interrogazione profonda sulla poesia e la letteratura. Il sottotitolo, Una biografia, è la prima miccia dell’ironia di Woolf, perché il racconto tocca quattro secoli e anche il personaggio cambia identità e non può essere oggetto di una vera biografia. Ogni capitolo, poi, è dedicato a un secolo e Woolf non si cura del fatto che i trapassi siano netti, come quando immagina che un’ombra cupissima inghiotta Londra allo scoccare della mezzanotte del capodanno del 1799, chiudendo l’epoca dei Lumi e aprendo un secolo di inquietudine e ombre. È qui che l’ironia esplode fragorosa nella prosa di Woolf.

EBNel tuo libro ho sottolineato due passaggi che mi sembrano significativi: «Tornare alle origini della pratica letteraria [per Virginia Woolf] costituisce un ultimo tentativo di trovare un rapporto con il pubblico» e «La Woolf si dimostra attenta all’effetto di lettura sortito dalla prosa». Questo stretto rapporto che ha con il pubblico, rende in realtà Woolf godibilissma e tutt’altro che snob, definizione che analizza a fondo, soprattutto nel saggio Sono una snob?. Lei stessa intende la scrittura come un’opera di cooperazione tra chi scrive e chi legge…

SS – è uno dei punti che mi sta più a cuore. Per Woolf il lettore è sempre presente all’interno del testo, la sua scrittura inscena sempre una conversazione. Non per caso Il lettore comune è poi il titolo di due importanti volumi che raccolgono saggi della Woolf. Per lei la scrittura, dei romanzi e non solo, si deve costruire sempre in un lavoro di cooperazione.

Gli anni è il suo ultimo romanzo, nelle sue intenzioni doveva essere un romanzo monumentale dedicato alla mutata condizione femminile nel lavoro. In una conferenza sullo stesso tema, tenuta mentre lo stava scrivendo, esplicita la sua convinzione: il lettore deve imparare a muoversi nel romanzo e collaborare a costruirne il senso, ma chi scrive non dovrà mai abbandonarlo, assumendosi il compito di accompagnare chi legge lungo il suo percorso. Sia esso un cammino a ritroso nel passato delle donne lavoratrici o la storia di Jacob o di Orlando. Per Woolf, il romanziere può e deve fare questo, ma sempre ricostruendo una pluralità di voci e con la collaborazione di chi legge. Woolf poi è convinta che questo possa essere fatto solo dalla prosa, per questo non ha mai composto poesie. La poesia, per come è sempre stata praticata, è per lei l’arte del passato; mentre il romanzo è l’arte del presente. Intuisce inoltre che il cinema possa essere l’arte del futuro, ma a patto che riesca a non fare l’imitazione dei romanzi e impari a proiettare sullo schermo quello che potrà accadere.

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