Canzone appartenente a Elisir (1976), album in cui il tema del viaggio è centrale e imponente sia narrativamente (pensiamo a A.R. che racconta in maniera meravigliosa la storia e il viaggio di Arthur Rimbaud) sia per gli excursus tra varie influenze musicali. La traccia, infatti, inizia con una lunga affascinante intro di chitarra, frutto evidentemente estraneo alla musica italiana.

Il titolo della canzone è ispirato al conquistadores Diego Velázquez de Cuéllar, e non naturalmente al pittore come la prima volta credetti rimanendone deluso.

Il personaggio di Velasquez è al contempo voglia di partire e di ritornare, di vivere nuove avventure e scoperte ma anche di tornare a casa, è un idolo da cui il protagonista viene affascinato e trascinato. Vecchioni immaginando di essere un marinaio sulla nave di questo propulsore sembra parlarci delle varie spinte che tutti viviamo, immergendole però in una musica e in un ambiente mitologici («c’eri prima di suo padre, prima del padre di suo padre più in là nel tempo non andò»).

Un nuovo Ulisse diviso tra voglia di scoperta e voglia di ritornare a propri affetti, un viaggio che può essere interpretato come quello di tanti: l’allontanarsi dalla famiglia e dalle sicurezze per poter sperimentare cose nuove che però non possono mai far smettere del tutto il rimpianto per quello che si è abbandonato. Condensato in queste parole e musica c’è il viaggio, il viaggio come metafora della vita, presa in tutte le sue sfaccettature, la voglia di vivere, la voglia di novità, la paura, lo scoraggiamento, la pura voglia di tornarsene da dove si è venuti ma anche l’orgoglio di andare avanti. Velasquez è un’idea, un ideale, è qualcosa che è motore della vita, che fa andare avanti in mezzo ai venti e alle tempeste dell’esistenza verso uno scopo.

Una canzone che, come dice l’autore, «significa comprendere cosa significano gli altri, la vita spesa per un ideale». E comprendendo chi segue un ideale, chi si muove dalle sicurezze in maniera eroica (a prescindere dalla condivisibilità della sua scelta), possiamo capire parte dei piccoli movimenti interiori che le scelte della vita causano, anche le scelte che non portano con sé conseguenze così estreme come quella del marinaio imbarcato con Velasquez.

Ahi, Velasquez, dove porti la mia vita?
Un fiore di campo si è impigliato fra le dita,
e tante stelle, tante nelle notti chiare
e mille lune, mille dune da scoprire.

Ahi, Velasquez, non t’avessi mai seguito,
con te non si torna una volta sola indietro
in mezzo ai venti sempre genti da salvare
sei morto mille volte senza mai morire.

Un vecchio zingaro ungherese
di te parlando mi giurò
che c’eri prima di suo padre,
prima del padre di suo padre
più in là nel tempo non andò:
e i cerchi del tuo tronco sono
ferite d’armi e di parole
che mai nessuno vendicò.

Ahi, Velasquez, com’è duro questo amore
mi pesa la notte prima di ricominciare
e tante veglie, come soglie di un mistero
per arrivare sempre più vicino al vero.

Ahi, Velasquez, certe sere quanta voglia,
fermare la vela e ritornare da mia moglie;
e tu mi dici: “fatti scrivere”, è normale,
per te bisogna sempre scrivere e lottare.

E la tempesta ci sorprese
due miglia dopo Capo Horn:
se ne rideva delle offese
in mezzo al ponte si distese
e fino all’alba mi cantò
ragazze, terre, contadini,
da sempre popoli e padroni
fu lì che tutto cominciò.

Ahi, Velasquez, fino a quando inventeremo
un nido di rose ai piedi dell’arcobaleno
e tante stelle, tante nelle notti chiare
per questo mondo, questo mondo da cambiare?

Ahi, Velasquez, ahi, chitarra come spada
mantello di sabbia, orecchio mozzo, antica sfida,
eterna attesa, corda tesa da spazzare
e tanta voglia, tanta voglia di tornare.