Traccia di Blumun, nono album del cantautore pubblicato nel 1993. La vicenda narrata è quella di Cyrano de Bergerac che trova la sua origine teatrale e letteraria nel Cyrano di Rostand, commedia pubblicata nel 1897 e ispirata da uno dei più estrosi poeti francesi del seicento: Savinien Cyrano de Bergerac.

Guccini nel 1996 canterà la stessa vicenda, con maggior successo, entrando nella parte più romantica e sdolcinata della vicenda di Cyrano, lasciando intuire il riconoscimento da parte di Rossana del fatto che a celarsi dietro le parole dello spasimante c’è in realtà Cyrano, fino a far immaginare un lieto fine (che non è nell’opera di Rostand in cui l’epifania di Rossana ha luogo mentre Cyrano sta già per morire).

Vecchioni si spinge ancora oltre a questa visione, immaginando il “post”, un po’ come se ci raccontasse il lato disilluso e triste dell’amore tra la bella addormentata e il principe azzurro dopo 15 anni di matrimonio.

Rossana “lontana bellezza” è invecchiata e il rapporto logoro finisce per portarla a prendere in giro Cyrano proprio per quello che è il suo lato distintivo e più doloroso: il naso. Un Cyrano cui rimangono in mano solo “stelle rotte”, che si scontra contro l’impossibilità di portare a compimento quel suo amore fortissimo.

Ripercorrendo la vicenda, a intervenire sembra essere Cristiano de Neuvillette, cioè il cadetto di cui Rossana è innamorata e che grazie alle poesie di Cyrano riesce a conquistarla definitivamente fino a bagnarla d’amore e a non averne più nessuna voglia. E infine anche lui problematizza l’idea di chi abbia vinto tra i due uomini: lui che l’aveva conquistata grazie a un escamotage, oppure Cyrano che si è legato a Rossana fino a rimanerne deluso.

Questa, più di altre, mi rendo conto essere un’interpretazione azzardata e soggettiva; io l’ho sempre pensata così, il che non vuol dire che sia il modo giusto. Diciamo che è il modo con cui me ne sono impossessato e una delle tante strade interpretative valide.

Rossana, Rossana,
non ce la faccio più a vivere
col cuore dentro il naso;
lontana, lontana bellezza che eri tu,
lo specchio per sorridere di me.

Io sono quello di ieri
che ti cantava nella notte,
e ho nelle mani soltanto stelle rotte:
l’ombra perduta tra i rami
che non potevi mai vedere,
mentre quell’altro saliva
e ti faceva l’amore, l’amore, l’amore…

Rossana, Rossana,
il tempo vola e va,
non è più tempo di chiamarti amore;
Rossana, Rossana,
che brutta eternità desiderarti
e non averti mai.

Io sono l’altro di ieri
che non cantava nella notte,
aprivo solo la bocca,
facevo finta forte;
e ti ho bagnato d’amore
che non ne ho più nessuna voglia:
mentre quell’altro sognava,
sognava dietro la soglia, sognava.

Rossana, Rossana,
che fame, amore mio,
ma quante bocche avevi e quante mani?
Vicina, vicina ancora e sempre più
che bello fu distruggerci così.

Rossana, Rossana,
adesso non lo so se ho vinto io
o lui che ti sognava:
Rossana, canzone che non ho scritto mai,
ma ripeteva all’infinito te.