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di Anna Girardi

Si conclude con un concerto particolare l’ultimo ciclo dell’abbonamento alla stagione sinfonica del Teatro alla Scala di Milano. Il programma infatti prevede l’esecuzione, nelle serate dell’8, 10 e 12 aprile 2013, della Sinfonia per otto voci e orchestra di Luciano Berio nel primo atto e dell’ouverture di Egmont e della Sinfonia n. 5 di Beethoven nel secondo.
Insomma, accanto alla moderna e sperimentale realizzazione di Luciano Berio, ecco che nel secondo atto ci si trova davanti al classico che più classico non si può.

La scelta è ben studiata: in una stagione ricca di ricorrenze da celebrare (quali il bicentenario dalla nascita di Verdi e Wagner, i 140 anni dalla nascita e 70 dalla morte di Rachmaninov o anche semplicemente gli 80 anni di Claudio Abbado), non poteva mancare l’omaggio a Luciano Berio nel decennale della sua morte; allo stesso tempo, sarebbe stato rischioso proporre una serata con un programma esclusivamente contemporaneo, in particolar modo al pubblico scaligero abituato alla tradizione più classica.

Luciano_BerioNato nel 1925 a Oneglia, presso Imperia, Luciano Berio si dedica fin da ragazzo allo studio della musica. Essendogli preclusa la carriera pianistica in seguito ad una ferita riportata in guerra, decide di dedicarsi alla composizione; è del 1947 la prima esecuzione pubblica di un suo concerto per pianoforte. Compositore d’avanguardia, pioniere anche della musica elettronica, nel 1955 inaugura presso la RAI di Milano lo Studio di Fonologia Musicale, il primo in Italia dedicato alla musica elettronica, fondato insieme all’amico Bruno Maderna, anch’esso compositore e direttore d’orchestra. Sempre su questa linea è la fondazione di “Tempo Reale” a Firenze, centro tuttora attivo che ha come scopo quello di investigare nell’ambito delle applicazioni delle nuove tecnologie in campo musicale.
Costantemente alla ricerca di nuovi stimoli Berio riesce a sfruttare bene i primi successi e a rimanere sulla cresta dell’onda, complice anche la sua abilità di cogliere mode e tendenze. Il Teatro alla Scala ha ospitato nel corso degli anni alcune delle sue prime come ad esempio Passaggio, La Vera Storia e Outis.

Sinfonia può essere annoverata tra i lavori summa del compositore ligure: scritta in occasione dei 125 anni della New York Philarmonic nel 1968, racchiude molti dei suoi aspetti caratteristici. Di complessità enorme, per quantità di citazioni musicali (come ad esempio nel terzo movimento il richiamo alla Seconda sinfonia di Mahler) e letterarie (in ognuno dei cinque movimenti compaiono segmenti tratti da testi letterari, come Le cru et le cuit, prima delle quattro parti del ciclo Mythologiques di Lévi-Strauss, o The Unnamable di Beckett), la partitura presenta un sofisticato e innovativo utilizzo delle voci che, amplificate grazie ai microfoni, vengono sfruttate come veri e propri strumenti musicali. Come scrive l’autore stesso «il titolo di Sinfonia non vuole suggerire analogie con la forma classica; va piuttosto inteso etimologicamente, come il “suonare insieme” di otto voci e strumenti oppure, in senso più generale, come il “suonare insieme” di cose, situazioni e significati diversi. Infatti lo sviluppo musicale di Sinfonia è sempre fortemente condizionato dalla ricerca di un equilibrio e spesso di una identità fra voce e strumento, fra parola detta o cantata e la totalità della struttura sonora».

Diretta da Ingo Metzmacher, specializzato nel repertorio di musica contemporanea, e realizzata dall’orchestra Filarmonica della Scala, l’esecuzione ha come protagoniste le otto voci di The Swingle Singers, leggendario gruppo londinese del canto a cappella, già esecutore della prima del 1968. Il gruppo, in tour mondiale per festeggiare i cinquant’anni dalla nascita, ha questo brano in repertorio da anni e vanta anche l’incisione sotto la direzione di Pierre Boulez. Attualmente composto da Sara Brimer e Joanna Goldsmith (soprani), Clare Wheeler e Rachel Lindley (mezzosoprani), Christopher Jay e Oliver Griffiths (tenori) e Edward Randell e Kevin Fox (bassi), ha ampliato nel corso degli anni il proprio repertorio fino a diventare uno degli ensemble più richiesti dalle istituzioni musicali di tutto il mondo.

Questa prima parte è sicuramente la più interessante e degna di nota; può piacere o meno (è sempre difficile “abituare” l’orecchio alle nuove sonorità) ma è davvero di grande effetto, sia per l’abilità dei cantanti e dei musicisti che per la particolarità della composizione.
La seconda, invece, vede purtroppo un’esecuzione beethoveniana senza arte né parte. Sia l’ouverture di Egmont che la Quinta sinfonia sono pezzi difficili da interpretare proprio perché, essendo due classici delle sale da concerto, incombe su di loro il confronto con le grandi edizioni passate.

L’orchestra, tanto brava ad assecondare il maestro e i cantanti nella prima parte, sembra perdersi un po’ e non riesce a trasmettere quell’energia che l’esecuzione, soprattutto della Sinfonia del Destino, richiede. Anche Metzmacher, non a caso interprete di riferimento del repertorio contemporaneo, fatica a tirar fuori dall’orchestra l’omogeneità ottenuta precedentemente e la riuscita finale rimane un po’ fiacca e imprecisa. Emergono comunque anche aspetti positivi come i passaggi in pianissimo sapientemente realizzati e i fraseggi ben riusciti dei violoncelli e dei fagotti.

L’esecuzione dell’altro ieri, mercoledì 10, è stata senz’altro migliore rispetto alla prima di lunedì 8: bisogna aggiungere che vale la pena partecipare al concerto anche solo per il bis dei The Swingle Singers, che alla fine della prima parte realizzano una fuga di Bach a otto voci a cappella in maniera tanto perfetta da sciogliere il pubblico in un caloroso applauso.