Rachmaninov

di Anna Girardi

Esattamente 116 anni fa, nel 1897, veniva eseguita presso il Teatro di San Pietroburgo la Sinfonia n. 1 dell’allora ventiduenne, ma già conosciuto, Sergei Rachmaninov. Fu un fallimento completo, al punto che per i due anni successivi il compositore non produsse nulla e si sarebbe dovuto attendere ben dieci anni perché egli si cimentasse nuovamente col genere sinfonico.

Sui motivi che causarono l’insuccesso ci sono versioni diverse: dalla pessima direzione di Glazunov, direttore d’orchestra contemporaneo di Rachmaninov, probabilmente ubriaco, al duro giudizio, forse premeditato, di un gruppo di spettatori che definirono la sinfonia di scarso livello. Certo è che in realtà essa mostra quanta padronanza avesse già acquisito il giovane russo che, consapevole dei propri mezzi, si mostrava completamente a proprio agio nell’utilizzare una forma ampia e complessa come la sinfonia.

Nel 1901, il compositore tornò sulle scene con un concerto per pianoforte e orchestra, il Concerto n. 2 in Do min op. 18, con il quale riuscì a riconquistare il suo pubblico, probabilmente non ancora abituato a certe novità presenti nella sinfonia.

Fu forse per il timore di un altro insuccesso che Rachmaninov ideò un concerto privo di innovazioni formali: la musica è scritta esattamente nel modo in cui quegli ascoltatori, che riempivano i teatri a cavallo del nuovo secolo, si aspettavano, composta su misura per il protagonismo del pianoforte, con parti di lirismo acceso ed altre più virtuosistiche. L’orchestra è complice nell’accompagnare la melodia del pianoforte – ed amplificarla – o nel contrastarlo, creando in realtà il pretesto per i passi virtuosistici.

Il 22 marzo il pubblico del Teatro alla Scala di Milano ha avuto modo di ascoltare entrambe le composizioni, quella che causò la caduta del musicista e quella che lo riportò in auge due anni dopo. Aggiungerei anche che la sinfonia è tra le opere meno conosciute dell’allievo di Tcajkovskij mentre il concerto è tra le più celebri. La loro esecuzione però è stata invertita rispetto all’ordine cronologico poiché, solitamente, è d’uso che il concerto occupi il primo tempo.

Con questa serata si è concluso quel piccolo ciclo di concerti, iniziato nel Ridotto Toscanini del Teatro alla Scala il 7 marzo 2013, che ha voluto rendere omaggio a Sergei Rachmaninov nel duplice anniversario dei 140 anni dalla sua nascita e dei 70 dalla sua morte. Una sorta di “mini-festival”, in collaborazione con la Sergei Rachmaninov Foundation, per onorare e forse far conoscere un musicista che, sicuramente più di altri, ha faticato in passato a farsi apprezzare dalla cultura italiana.

La successione di concerti si è aperta con esecuzioni di pezzi per pianoforte solo ed altri cameristici che ben si adattavano allo spazio intimo del Ridotto Palchi del Teatro per poi concludersi invece in sala con lo spettacolo della grande orchestra diretta da Gianandrea Noseda e stimolata, nella prima parte, dalla giovanissima Kathia Buniatishvili al pianoforte.

La scelta del direttore non è casuale: Noseda, conosciuto e stimato dal pubblico, oltre ad essere un nome che gravita ormai da tempo nelle stagioni scaligere, è stato nel 1993 allievo del famoso direttore d’orchestra russo Valery Gergiev, che, tra l’altro, proprio in questi giorni è impegnato nelle prove del Machbet, che andrà in scena il 28 marzo sempre alla Scala. Il direttore italiano rende onore alla sinfonia, per anni considerata un “lavoretto giovanile”, dirigendola in maniera trascinante e coinvolgendo in primis l’orchestra, impeccabile nei passi impegnativi di archi fiati e percussioni, ad esempio, e poi il fedele pubblico della Filarmonica, numeroso come sempre. Noseda dirige assecondando la scrittura di Rachmaninov, che alterna efficaci legati a ritenuti all’avvicinarsi dei climax in fortissimo, sottolineando questo continuo accumulo e scarico di aggregazioni sonore.

Complimenti anche ai maestri d’orchestra per quegli assoli puliti di violino e clarinetto che si disgiungono, per qualche secondo, dall’organizzazione principale per poi tornare al loro posto lasciando nella memoria dello spettatore entusiasmo e soddisfazione.

All’ormai consolidata complicità tra il direttore italiano e l’orchestra della Filarmonica della Scala bisogna aggiungere anche quella tra il direttore e la pianista, Kathia Buniatishvili.

Tra i due c’è intesa, cosicché la riuscita del Concerto n. 2 in do min op. 18 è, quasi, inappuntabile. Tutto il concerto, infatti, “gioca” sul contrasto tra il pianoforte, nel ruolo di protagonista, e l’orchestra, contrapposta allo strumento e interprete, principalmente, di un ruolo di accompagnamento. È dunque necessario che le due parti siano ben controllate e coordinate – per non cadere in un eccessivo sbilanciamento – da entrambe le guide, il direttore e la pianista.

Pianista che non delude ed anzi, viene acclamata alla fine del primo atto dal pubblico plaudente. Georgiana, classe ’87, la Buniatishvili è considerata dalla critica mondiale come una delle grandi promesse del futuro sulla scena internazionale; anche in questa occasione ha mostrato un’abile capacità tecnica ed un carattere degno di tale fama. Morbida nei movimenti e nel suono, ma decisa e grintosa quando necessario, nella conclusione della sua performance ha regalato al pubblico due bis, che hanno contribuito, insieme alla conclusione travolgente del concerto voluta da Noseda, al generale successo della serata.

Non sappiamo ancora quali saranno i prossimi incontri tra Kathia Buniatishvili e il Teatro alla Scala, mentre invece molteplici saranno gli appuntamenti con Noseda, tra i quali ricordiamo la direzione dell’Aida, opera che rientra nel programma verdiano e wagneriano di questa stagione (tutta pensata in onore del bicentenario dalla nascita dei due grandi compositori), dal 25 ottobre al 19 novembre 2013, e il concerto per festeggiare il quarantesimo anniversario degli Amici del Loggione tenutosi lo scorso lunedì 25 marzo.