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di Davide Zanini

Non è raro né inconsueto poter vedere in concerto Franco Battiato o trovarlo in tour in giro per l’Italia: basti dire a titolo di esempio (mi si perdoneranno i riferimenti “autobiografici”) che io stesso ho avuto modo, dal 2005 al 2012, di assistere a ben sei suoi live, senza dover fare trasferte improbabili né allontanarmi di molto da casa.

Ci si potrebbe quindi, legittimamente, chiedere perché “insistere” e volerlo seguire una volta di più, in occasione del suo concerto al Teatro Grande di Brescia (ma già la scelta di tale sede sarebbe un buon motivo per non perderselo!). Mi sento di fornire queste principali motivazioni:

1)      Banalmente, non sono mai uscito insoddisfatto o deluso dagli spettacoli del Maestro.

2)      Potendo contare su una carriera ormai quarantennale e su un repertorio immenso, Battiato offre show sempre diversi tra loro, sia per le canzoni proposte che per l’impostazione musicale (tra concerti prettamente rock, altri in cui lo accompagnano solo archi e pianoforte, altri ancora in cui le due suddette componenti coesistono).

3)      La data in questione fa parte del nuovo tour del cantautore, legato alla promozione del suo ultimo disco, Apriti sesamo, uscito a ben cinque anni di distanza dall’ultimo album di inediti (Il vuoto). Apriti sesamo che, inoltre, è risultato essere un disco riuscitissimo e importante, da collocare senz’altro ai piani alti della discografia di Battiato. (Per un approfondimento, qui si può leggere la mia recensione al disco)

In un Teatro Grande sold out già da mesi, aprono la serata le Lilies on Mars, duo sardo-londinese costituito da ex componenti delle MAB (band con cui Battiato già aveva collaborato per Il vuoto e il relativo tour, nonché nel film Niente è come sembra). Le due ragazze (due chitarre, due voci, due Mac) si esibiscono in un breve set all’insegna di un dream pop con suggestioni shoegaze ed elettroniche, teoricamente onirico ed etereo, praticamente lezioso, già sentito e, francamente, piuttosto noioso.

Archiviato l’opening act, arriva il momento di Franco Battiato, che si presenta sul palco accompagnato dal Nuovo Quartetto Italiano agli archi, Carlo Guaitoli al pianoforte e alle tastiere, Angelo Privitera alle tastiere e alla programmazione, Andrea Torresani al basso, Giordano Colombo alla batteria, e alle chitarre Davide Ferrario e l’ex Verve Simon Tong (che, per inciso, nel corso di tutto il concerto mostrerà un “entusiasmo” pari a quello di un condannato prossimo ad andare al patibolo!).

La prima parte del live è riservata all’esecuzione integrale (unica eccezione, la title track finale) dell’ultimo album del Nostro, Apriti sesamo; in rapida successione e senza pause di sorta si susseguono dunque “Un irresistibile richiamo”, “Testamento”, “Quand’ero giovane”, “Eri con me”, “Passacaglia”, “La polvere del branco”, “Caliti junku”, “Aurora” e “Il serpente”.

Queste canzoni sono suonate in maniera assolutamente impeccabile e anche la resa vocale di Battiato è più che soddisfacente; l’unico appunto che gli si può muovere, per questa parte del concerto, è di apparire leggermente svogliato, dando quasi l’impressione che l’esecuzione dei brani dell’ultimo lavoro sia un “compitino” da svolgere obbligatoriamente e in fretta, per togliersi il pensiero e passare poi ad altro.

 Il “secondo tempo” dello spettacolo, riservato a pezzi storici (più o meno celebri) del repertorio battiatiano, si apre con “L’ombra della luce” (da Come un cammello in una grondaia, 1991): canzone di suo già bellissima, viene eseguita con il solo accompagnamento di archi e tastiere, regalando attimi di rara emozione e intensità. Segue un brano tratto da Telesio (opera lirica “oleografica” del 2011), probabilmente il momento più debole del concerto, in cui, unico caso in tutta la serata, anche la voce stenta (questo pezzo è stato scritto per essere eseguito da un soprano, non certo da Battiato stesso). Si torna comunque subito a livelli di assoluta eccellenza con “Lode all’inviolato” (Caffè de la paix, 1993) e “Mesopotamia” (Giubbe rosse, 1989). Evocativa e maestosa come non mai è la successiva “Il mantello e la spiga” (Gommalacca, 1998), probabilmente il migliore tra i pezzi più rock del repertorio del Maestro.

Da questo momento in poi inizia la fase destinata ai “grandi classici”, proposti in una carrellata in continuo crescendo che assume il valore di un vero e proprio “best of”. In scaletta si susseguono infatti brani come “Nomadi” (Fisiognomica, 1988), cantata dal Nostro con grande partecipazione e trasporto, “La stagione dell’amore” (Orizzonti perduti, 1983), l’immancabile e sempre toccante “La cura” (L’imboscata, 1996), “Prospettiva Nevski” (Patriots, 1980) e la magnifica “E ti vengo a cercare” (Fisiognomica, 1988). Battiato è partecipe e coinvolto, dialoga e scherza con un pubblico che decisamente apprezza e, con il proseguire del concerto, crea un’atmosfera che di algidamente teatrale ha ben poco; in questo senso il climax è raggiunto dal medley “Bandiera bianca” (La voce del padrone, 1981) – “Up patriots to arms” (Patriots, 1980) (impagabile l’espressione di Battiato, neo assessore al Turismo e allo Spettacolo della Regione Sicilia, quando canta i versi “mandiamoli in pensione i direttori artistici/ gli addetti alla cultura”), e prosegue poi con “L’era del cinghiale bianco” (album omonimo, 1979) e “Voglio vederti danzare” (L’arca di Noè, 1982), presenze costanti e irrinunciabili, sempre assai gradite dal pubblico, di ogni concerto del cantautore.

La fase dei “bis” si apre con una vera e propria chicca, ossia l’esecuzione di tre brani (assemblati in un unico medley) risalenti alla prima fase sperimentale di Battiato (1972 – 1978), raramente riproposta dal vivo e poco conosciuta rispetto al resto del suo repertorio (chi apprezza Battiato e non conosce questi suoi primi lavori deve assolutamente rimediare, almeno procurandosi il bellissimo Sulle corde di Aries, 1973). I pezzi suonati sono “Da oriente a occidente”, “Aria di rivoluzione” (entrambi tratti proprio dall’album testé citato del 1973) e “Propiedad prohibida”(Clic, 1974); rispetto ai primi due, proposti in una veste non particolarmente brillante o coraggiosa, convince di più quest’ultimo, con le sue cascate di synth a profusione e una coda rock dal tiro non indifferente. Chiudono il concerto, nel tripudio di un pubblico che si affolla sotto il palco (e in un teatro sette-ottocentesco con palchi e galleria fa un certo effetto), la recente “Inneres auge” (disco omonimo, 2009) dedicata “alla classe politica italiana”, e  “Cuccurucucù” (La voce del padrone, 1981), “classico dei classici” e ideale chiusura del concerto.

Concerto che è stato assolutamente riuscito, coinvolgente, generoso (due ore circa), ben suonato e che ha confermato, una volta di più e qualora ve ne fosse ancora bisogno, il valore di Franco Battiato e il suo ruolo fondamentale nel panorama della musica italiana.

Soddisfatto anche questa volta, non mi resta che attendere il momento del mio ottavo concerto del Maestro…

Teatro Grande di Brescia, 25 gennaio 2013

SETLIST

Un irresistibile richiamo

Testamento

Quand’ero giovane

Eri con me

Passacaglia

La polvere del branco

Caliti junku

Aurora

Il serpente

L’ombra della luce

Telesio

Lode all’inviolato

Mesopotamia

Il mantello e la spiga

Nomadi

La stagione dell’amore

La cura

Prospettiva Nevski

E ti vengo a cercare

Bandiera bianca – Up patriots to arms

L’era del cinghiale bianco

Voglio vederti danzare

Da oriente a occidente – Aria di rivoluzione – Propiedad Prohibida

Inneres auge

Cuccurucucù