Quest’anno cade la ricorrenza dei cinquant’anni dal riconoscimento del Premio Nobel per la letteratura a John Steinbeck (1902-1968). So bene che può non voler dire nulla, che molti Nobel sono ingiustamente osannati come altri giustamente dimenticati. Ma, a mio avviso, Steinbeck è della terza categoria: ingiustamente dimenticato.

Intendiamoci, non tutte le sue opere sono di qualità, ma ce ne sono alcune di valore assoluto che bastano abbondantemente per considerarlo non solo uno dei più importanti scrittori americani ma anche un autore fondamentale del Novecento mondiale. Pian della tortilla, esilarante racconto della vita di un gruppo di paisanos in continua ricerca di qualche soldo e qualche litro di vino, ma con importanti ed abrasivi elementi di critica sociale, sociopolitica e filosofica. Oppure Uomini e topi, testo tra i suoi più famosi, o, ancora, il capolavoro The grapes of wrath (con orrida abitudine variato in Furore) libro stupendo, struggente e allo stesso tempo impietoso affresco dell’epoca della Grande Depressione.

Si tratta di uno scrittore che ha sempre voluto conoscere nei dettagli ciò di cui scriveva: aveva fatto il bracciante agricolo, aveva sofferto la povertà, era stato in giro per il mondo in lungo e in largo, aveva visto l’Europa durante e dopo la Seconda Guerra mondiale. Un uomo che voleva vivere sulla propria pelle la vita prima di scriverne.

Di recente l’editore Bompiani ha proposto una collana dedicata all’opera omnia di Steinbeck, dove verranno ripubblicati tutti i suoi testi con una veste grafica uniformata e con la curatela del Professor Luigi Sampietro, studioso e professore di Letteratura anglo americana. Detta così sembra una grande idea, una novità eccellente, ma (come è facile aspettarsi a questo punto) non lo è. Bompiani, che possedeva gran parte dei diritti di Steinbeck in Italia, ne ha acquisito i rimanenti, pubblicandone tutta l’opera sotto il proprio marchio, ma senza provvedere a una nuova traduzione.

Ben poche sono le novità inserite in queste traduzioni, che oltre ad essere d’autore sono anche d’epoca, brevi testi introduttivi e correzione di macroscopici refusi. Si tratta, infatti, di versioni compiute da grandi intellettuali italiani, come Pavese, Vittorini, Montale, i cui nomi in copertina richiamano l’attenzione dei lettori.

Queste traduzioni, testimonianze storiche della nostra cultura, andrebbero certamente ristampate, magari in un volume dedicato, ma affiancandovi la pubblicazione di traduzioni aggiornate. Gli editori si devono ricordare che le traduzioni invecchiano inevitabilmente perché testi sottoposti ai condizionamenti e alle convenzioni del periodo in cui vengono composti.

Steinbeck fu scrittore sempre attento alla realtà, tanto che i suoi testi puntano, sotto molti punti di vista, a una mimesi, anche linguistica. Le traduzioni, che pure furono ottime, puntuali e di grande utilità sono oggi datate e non sembrano poter rappresentare degnamente il testo originale. La traduzione di Furore è di Coardi, ma uscì nel 1940, quella di Of mice and men di Pavese ma del 1939, la versione di Tortilla flat di Vittorini dell’anno successivo.

Erano precursori che operavano in un periodo in cui la traduzione non era sistematizzata, che a volte non seguivano rigide teorie di fedeltà, ma permettendosi rifacimenti; erano anni in cui la traduzione dei testi americani serviva soprattutto come grido di libertà e stimolo culturale.

Pensando per esempio a Pavese, sicuramente uno dei più accurati, puntigliosi e fedeli traduttori di quest’epoca, e al suo Uomini e topi, non possiamo oggi non notare notevoli infedeltà.

A influire notevolmente furono sia motivi contingenti che convenzioni letterarie; infatti le parolacce, le espressioni volgari, le bestemmie dovevano essere eliminate pena censura (il traduttore era appena tornato dal confino e il regime lo marcava stretto). Non solo ma la forma doveva essere innalzata a letteraria perché al tempo non sarebbe stata accettata una forma bassa e mimetica come quella originale.

Stiamo parlando di un pubblico di lettori italiani assolutamente estraneo alla cultura americana: come fareste voi a tradurre ok, oppure blue jeans, o ketchup? Eppure Pavese dovette tradurli, perché sarebbero risultate parole assolutamente nuove per il lettore italiano che invece capiva va bene, tela azzurrina, e salsa. Inoltre l’inglese scorretto dell’originale non aveva corrispondente in un italiano colloquiale, al cui posto venivano usati i vari dialetti.

La versione di Pavese, per quanto storicamente insostituibile rivela tutte le sue debolezze proprio sulla resa della lingua colloquiale. Traduce Jesus Christ e Goddamn con sangue del boia, son-of-a-bitch con mascalzone o carogna di uno scemo. Spesso crea risultati quasi ridicoli agli occhi del lettore contemporaneo, per esempio Curley, grezzo e prepotente proprietario del ranch, dopo aver scoperto il cadavere della moglie assassinata continua a dare del voi a tutti i lavoranti e definisce lazzarone l’omicida! Nello stesso modo due rudi rancheros litigando tra di loro continuano a darsi del voi, a parlare misurato insultandosi a suon di puzzone del boia. Il testo originale pieno di volgarità, espressioni grezze ma gustose viene smussato e amputato traducendo per esempio bitch con gatta o lousy tart con sporcacciona. Il testo perde molto del suo appeal e della sua esuberante espressività, che oggi potrebbe essere resa in ben altro modo.

Per riassumere: se Steinbeck in Italia è poco letto e mal apprezzato è anche perché le traduzioni ne fuorviano l’opera. Le ragioni editoriali sembrano impossibili da sconfiggere, in questo caso come in quello di molte altre traduzioni risalenti ad epoche preistoriche. Nel caso di Steinbeck le sue opere sono facilmente rintracciabili in inglese, e con un piccolo approfondimento sullo slang comprensibili anche a chi ha una conoscenza mediocre della lingua.

Questo è l’unico consiglio da dare al lettore visto che Bompiani ha perso una buona occasione per valorizzare Steinbeck ma anche per valorizzarsi come editore. Ha seguito ancora una volta il seminato e le scelte conservative, non la strada (oramai quasi coperta di erbacce) che potrebbe aiutare a crescere dei lettori consapevoli e coscienti.