Ennio Flaiano non era quello che sembrava. Nato a Pescara il 5 marzo 1910 e morto a Roma il 20 novembre 1972; vincitore, nel 1947, della prima edizione del Premio Strega con Tempo di uccidere, il suo unico romanzo, racconto disincantato delle conseguenze dell’occupazione coloniale italiana in Etiopia nel primo Novecento (qui il nostro articolo in occasione della nuova edizione); giornalista, produttore di elzeviri e calembour, sceneggiatore di punta di Federico Fellini e penna dietro ad alcuni dei maggiori film della storia del cinema, da Roma città libera (Marcello Pagliero, 1946) a Luci del varietà(Alberto Lattuada e Federico Fellini, 1950), da Guardie e ladri (Mario Monicelli, 1950) allo Sceicco bianco (Fellini, 1952), e poi I vitelloni (Fellini, 1953), Vacanze romane (William Wyler, 1953), La strada (Fellini, 1954), Le notti di Cabiria (Fellini, 1957), La dolce vita (Fellini, 1960), La notte (Michelangelo Antonioni, 1961), 8 ½ (Fellini, 1963), Giulietta degli spiriti (Fellini, 1965). Nella leggenda entra anche la commedia degli equivoci di un cronista anglosassone, che gli assegnò natali antico-romani e tradusse il suo nome come Ennius Flaianus, sembra per il ritmo epigrammatico delle sue composizioni brevi. Paziente-zero, secondo l’amico Giovanni Russo, delle Flaianite, la smania di attribuire qualsiasi verso sagace di incerta derivazione a Flaiano, dopo Flaiano.

Ennio Flaiano, però, era più di tutto questo. E, per quanto si riconoscesse per primo una certa aria da uomo d’archeologia, le sue osservazioni sulla società di metà Novecento hanno diagnosticato ante litteram tante pustole contemporanee (tipo: “l’Italia è un Paese dove sono accampati gli italiani”; “oggi il cretino è pieno di idee”). A cinquanta (più quasi-uno) anni dalla scomparsa di Flaiano, è ora un documentario a metterlo dalla parte in cui non voleva stare, per famosa ritrosia verso le apparizioni sulle emittenti televisive: la scena del soggetto. È co-diretto da Fabrizio Corallo e Valeria Parisi, prodotto dalla 3D Produzioni di Didi Gnocchi, e ha appena ricevuto il Nastro d’Argento per Cinema, Spettacolo, Cultura. S’intitola Ennio Flaiano, straniero in patria, e, in occasione del Sudestival – festival del cinema italiano che, per quasi due mesi, anima Monopoli, Polignano a mare, Fasano e Bari –, dove il film figura nella sezione documentaria Sudestival Doc, abbiamo avuto il piacere di intervistare i due registi. Per piantare le giuste trappole a uno che proprio non voleva essere incasellato, cioè Flaiano. E scavare negli anfratti giusti di una personalità mutaforma, sempre rigorosamente “altra” e lontana dal suo mondo. Perché anche Flaiano era, in fondo, solo un alieno capitato per sbaglio sul Pianeta Terra.

Così Fabrizio Corallo: «Lo si vede benissimo anche da uno dei lavori meno famosi, perché all’epoca troppo avveniristico, di Flaiano [vedasi anche il recente lavoro di Tommaso Pincio, Diario di un’estate marziana, in merito, ndr]. Un marziano a Roma, spettacolo teatrale portato originariamente in scena da Vittorio Gassman nel 1960. La trama si svolgeva attorno alla novità dell’arrivo di questo marziano a Villa Borghese, che però diventa subito un pettegolezzo della società, fino ad arrivare al punto che nessuno lo tiene più in considerazione e lui non può fare altro che osservare gli umani con malinconia, con il distacco dell’essere diverso. Questa naturalmente era una storia di fantasia, ma dentro c’è tanto di Flaiano».

Perché Flaiano, un marziano, lo era a tutti gli effetti. Nato in Abruzzo, rimbalzato fin dai primi anni di vita tra varie famiglie ospiti a causa di vari problemi interni a quella di nascita, Flaiano scrive dal punto di vista dell’amore mancato, e di chi sa che le cose più terribili si veicolano con una risata. Valeria Parisi mi racconta che «Purtroppo, per questioni di minutaggio, abbiamo dovuto tagliare. Ma, tra i partecipanti al documentario, abbiamo voluto la psicanalista Rossana Doleda, perché ci siamo accorti che Flaiano meritava più di quello che la superficie avrebbe potuto raccontare. Dagli scritti e dalle interviste emerge la figura di un uomo che non riusciva a vivere pienamente, che era affossato da un profondissimo senso di colpa. E questo per varie ragioni».

La prima è legata a un’esperienza collettiva che segnerà per sempre il privato di Flaiano: la partecipazione alla Campagna d’Etiopia della dittatura Mussolini (1935 – 1936), da cui scaturirà Tempo di uccidere. La seconda sarà la malattia della figlia Luisa, nata nel 1942 e colpita a otto mesi da una grave forma di encefalopatia infantile, che, di fatto, la renderà disabile per tutta la vita. Continua Parisi: «L’amore di Flaiano per la figlia era profondissimo. Così tanto che, quando era lontano da Roma, le telefonava ogni giorno. Non parlavano quasi mai, perché per Luisa era quasi impossibile. Ma lui, anche dopo minuti passati in silenzio al telefono, era contentissimo, e commosso. Per me, scoprire Flaiano come persona e non solo come autore è stato come innamorarmi. Aveva una sensibilità profondissima, e un animo mite. Non per nulla descriveva il suo rapporto con Fellini come una bevuta da una lattina di Coca Cola: lui era la lattina, Fellini la cannuccia».

Per Fabrizio Corallo, invece, Flaiano è come un amico d’infanzia. «Ho scoperto da molto giovane le opere di Flaiano. Come lui ero uno trapiantato, sono pugliese e mi ero trasferito a Roma, quindi il suo sguardo da alieno sulla città mi era molto affine. Inoltre lavoro anche come giornalista di cinema e cultura, e questo era un’ulteriore, diciamo, connessione che mi ha portato in contatto con la sua opera. Poi, quando si stava avvicinando il cinquantesimo della scomparsa, con Didi Gnocchi abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa su Flaiano. Volevamo raccontarlo con un linguaggio nuovo. In questo senso, sono molto felice di aver lavorato con Valeria e con 3D, perché i loro lavori non sono mai il classico “documentario che ti aspetti”. Per esempio, qui abbiamo deciso di inserire una narratrice diegetica. La nostra talent è stata Cecilia Dazzi, bravissima, e che, per puro caso, è anche la nipote del librario da cui, nella Roma dei ’50 e ’60, si riunivano tutti gli scrittori e gli addetti della cultura».

Intento confermato anche da Parisi: «Volevamo fare una cosa libera, fuori dagli schemi, perché Flaiano era a tutti gli effetti libero e fuori dagli schemi. Dentro le etichette non ci sapeva stare. La sua figura è così affascinante che spero di poter lavorare, in futuro, su un altro documentario legato a Flaiano, anche se questa volta lo vorrei incentrare interamente su Tempo di uccidere. Perché gli eventi che vi sono raccontati hanno avuto un peso incredibile nella vita di Flaiano. Ma anche perché sono una parte importantissima della storia della nostra nazione. Spiacevole, certo, e che siamo stati bravissimi a dimenticare. Invece, bisogna scavare. Ecco perché sono stata molto felice di avere nel documentario Gabriella Ghermandi, autrice e artista italo-etiope. Le sue parole sono state bellissime. Ha detto: quando ho letto Flaiano mi sono sentita vista per la prima volta».

A completare la rosa di testimonianze contenute in Ennio Flaiano, straniero in patria, tra riprese dirette e di repertorio, Federico Fellini, Suso Cecchi D’Amico, Masolino D’Amico, Vittorio Gassman, Alessandro Gassman, Francesco Piccolo, Rosetta Rota (moglie di Flaiano), Goffredo Fofi, il regista Andrea Andermann (con cui Flaiano lavorò per il suo ultimo film, Oceano Canada), Anna Longoni (curatrice dell’opera completa di Flaiano), Annalena Benini, Francesco Filippi (storico e autore), Gianfranco Angelucci (regista), Ugo Gregoretti (regista). Amici, colleghi, e professionisti, ognuno con una nuova sfaccettatura da aggiungere al diamante irriducibile di Flaiano. D’altronde, se è vero quello che Flaiano scrive nel suo Taccuino del Marziano, e cioè che “chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà”, non abbiamo motivo, in questa sede, di indagare il mistero ulteriormente. E vi incoraggiamo, invece, a toccarlo con mano, questo sogno cosmico di marziano. Godendovi il documentario, disponibile per lo streaming su RaiPlay. E rispolverando alcuni dei vecchi libri che, magari, vi hanno propinato a scuola. Se portano sulla costa la dicitura autore “Flaiano”, contate di farci un secondo giro. Ne varrà la pena.