Il gruppo di lettura torinese Sul ponte diVersi propone per «La Balena Bianca» una serie di interviste a critici letterari di poesia contemporanea italiana. L’occasione offerta dall’intervista permette di articolare meglio un dialogo che non dimentica di coinvolgere e interrogare i critici selezionati e parte delle loro opere e produzione, in modo da circoscrivere di volta in volta gli argomenti enucleati e proiettarli verso ambiti problematici più ampi e generali. Apparirà evidente, così facendo, quanto nessuna ricerca critica sia inizialmente concepibile se non, volendo chiosare un’affermazione di Gianfranco Contini, «come esercizio sui contemporanei».

Nella prima intervista, Federico Masci e Jacopo Mecca del gruppo Sul Ponte diVersi dialogano con Sabrina Stroppa, docente di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia, tra i promotori del gruppo di ricerca dedicato alla poesia contemporanea dell’Università degli Studi di Torino e curatrice dei tre volumi La poesia italiana degli anni Ottanta. Esordi e conferme.


Come è nata e quali sono stati i primi passi del progetto di ricerca sulla poesia degli anni Ottanta che ha portato, fino ad oggi, alla pubblicazione di tre volumi di La poesia italiana degli anni Ottanta. Esordi e conferme; per un totale di ventinove raccolte presentate di ventisette autori esordienti negli anni Ottanta, secondo una prospettiva che si concentra sull’analisi del singolo libro d’esordio (o quasi) e su una struttura comune delle singole presentazioni (collocazione editoriale, metrica e stile, linguaggio, ricezione), così come si legge nelle premesse ai volumi?

Sabrina Stroppa: Molti anni fa, credo fosse il 2011, si costituì, per impulso istintivo, un gruppo di lettura di poesia contemporanea che coinvolgeva alcuni allora ricercatori del Dipartimento di Scienze Letterarie (poi di Studi Umanistici), oltre a una serie di amici, addottorati e insegnanti di scuola superiore, con i quali stavamo condividendo dei tratti di vita comune. Ci si trovava, grossomodo a cadenza quindicinale, in orario pomeridiano o preserale, nelle aule di seminario del Dipartimento o a casa dell’uno o dell’altro, con l’intento di colmare quella che tutti ravvisavano come una lacuna, ovvero la lettura e una conoscenza minima della poesia contemporanea. Una lettura condivisa e fatta ad alta voce, tengo a precisarlo, per togliersi dalle secche del ‘piacere’ individuale – che pure è fatto importantissimo – e tentare di studiare i meccanismi di formazione della nuova poesia, il suo lessico e i suoi temi, e sfidarne insieme le evidenti oscurità. Decidevamo insieme quali autori via via leggere, raccoglievamo un po’ di bibliografia essenziale, e poi portavamo le nostre impressioni e deduzioni al gruppo. Dal confronto emergevano considerazioni importanti, ma del resto è un fatto, ben noto a chi insegna, che si impara spiegando. Il confronto era fruttuoso soprattutto perché si mettevano sul tavolo le diverse e incrociate competenze: io avevo fatto esperienza di commento di testi contemporanei per l’Antologia Segre-Ossola, ma ricordo un bellissimo intervento di Raffaella Scarpa, che poi ha diradato le sue presenze essendo impegnata su altri fronti, sulla sintassi di Milo De Angelis. Ho capito tante cose da quella lezione.

A un certo punto, dopo aver letto Ora serrata retinae di Valerio Magrelli, ho capito che mi sarebbe piaciuto fare un lavoro più sistematico: è la piaga di essere un lettore ‘professionale’ di poesia, per noi leggere vuol dire studiare e quindi scrivere. Ma quel commento, che ho composto insieme a Lula Gatti – sempre nell’ottica del lavoro condiviso –, è stato abbastanza fortunato, e pur con tutte le sue carenze sono felice di averlo portato a termine. Ci ha dato modo, ad esempio, di parlarne con gli insegnanti, proponendo percorsi di lettura della poesia contemporanea che sono sempre molto apprezzati (soprattutto quando si danno degli strumenti, come la poesia commentata).

Il primo volume della Poesia italiana degli anni Ottanta discende da un’altra esperienza ancora, a quella strettamente collegata, ovvero la proposta di un panel sulla poesia degli anni Ottanta al Congresso dell’ADI nel 2014. Da lì ho iniziato a raccogliere contatti, collaborazioni e contributi con altri giovani ricercatori italiani. L’esperienza si sta coronando con il quarto volume della serie, ricco di contributi bellissimi, di cui sto correggendo le seconde bozze.

Nella premessa al primo volume della serie, La poesia italiana degli anni Ottanta. Esordi e conferme, vengono esposte le ragioni che giustificherebbero l’attenzione dedicata alla poesia degli anni Ottanta, e vengono descritte le caratteristiche di un ipotetico turning point da situare proprio alla fine degli anni Settanta per la storia delle forme poetiche italiane. Da un altro punto di vista però, è la tipologia dell’operazione critica a risaltare per contrasto rispetto ad altri possibili tentativi e a definirsi «come una serie di illustrazioni non delle poetiche ma dei libri d’esordio (o quasi) di un certo numero di poeti che si affacciano sulla scena italiana degli anni Ottanta»[1]. Quali sono le ragioni di questa presa di posizione? Contro quali approcci si muove? Cosa permette di guadagnare e di perdere questo vostro approccio che nelle premesse viene più volte definito ‘radiografico’?                           

SS: Preciso innanzitutto che la responsabilità dell’organizzazione di questa serie di volumi – e di tutte le introduzioni –, nel bene e nel male, è mia. Non ho solo scelto i collaboratori (dopo quelli del primo volume, che in buona parte corrispondono a coloro che avevano risposto alla call per la sessione destinata al Congresso ADI), ma anche autori e periodo.

A posteriori, posso dire che è stata forse una delle classiche scelte che ti scelgono. La decisione di circoscrivere il terreno d’intervento a una certa generazione di poeti veniva da motivi per così dire operativi: volendo studiare ad ampio raggio la poesia ‘nuova’, era evidente che non si poteva puntare né ai grandi vecchi, dalla poetica ormai storicamente acclarata (Sanguineti, Zanzotto, Giudici, Luzi), né i troppo giovani, perché avere all’attivo uno o due libri di poesia non è sufficiente a delineare un percorso e a identificare una voce. Come già era accaduto durante le serie di letture amicali, mi sono quindi rivolta ai poeti che hanno oggi tra i sessanta e i settant’anni, con una serie sufficiente di libri per rendere chiaro che, loro, quella voce l’avevano cercata e trovata: e dunque il già citato De Angelis, e poi Viviani, Magrelli, Pusterla, Fiori, a cui si sono poi aggiunte Valduga, Frabotta, Sica, e poi Damiani, Baudino, Annino, e gli scomparsi Beppe Salvia, Nadia Campana, Marta Fabiani. Molti di loro sono o erano nati a metà degli anni Cinquanta, e moltissimi hanno esordito in quel particolare torno d’anni, tra gli ultimi dei Settanta e i primi degli Ottanta, in cui effettivamente in Italia qualcosa cambia. Cambia dal punto di vista dell’organizzazione culturale dell’editoria poetica, come attestano molti dei protagonisti; ed emergono i giovani come categoria sociale e intellettuale. Interrogarsi su quella generazione, che ricostruisce dopo gli anni della contestazione, vuol dire e ha voluto dire, per me, interrogarmi implicitamente su quell’epoca. Invece che seguire la poetica del singolo autore, che troppo spesso dà luogo, soprattutto in certa giovane critica, a esercizi di stile a volte un po’ fini a se stessi, mi è sembrato più produttivo tessere dei fili in senso sincronico, che legassero insieme geografia e storia, case editrici e riviste, mentori e prefatori, sistemi stilistici e linguistici – come le tessere di un mosaico che si va pian piano componendo. C’era bisogno di un lavoro di scavo ampio, per mettere a disposizione materiali organizzati in senso oggettivo, sui quali innestare poi un ragionamento di secondo livello, di tipo storico.

L’operazione antologica di per sé, come si afferma anche nel saggio introduttivo al secondo volume dedicato alla poesia degli anni Ottanta, può spesso avere un intento canonizzante, senza che questo riesca a garantirne effettivamente una utilità in termini storiografici. Guardando poi alle antologie pubblicate in quel decennio, sembra che poche riescano a sottrarsi «alla tentazione dell’accumulo privo di selezione, o alla selezione basata su inclinazioni del tutto personali o ideologiche del curatore»[2]. Una delle prospettive più interessanti che emergono quando si osservano antologie tese alla registrazione di esperienze che vengono rese nella loro pluralità, riguarda il loro coincidere con una pratica poetica allora diffusa e oggi incrementata perché «accompagnata e sostenuta dalla nascita, e spesso rapida morte, di riviste sperimentali; dalla vita e attività di case editrici spesso di nicchia; da iniziative culturali in equilibrio tra le arti; da letture pubbliche, seminari e convegni incontri e incroci del più vario tipo; da plaquettes di poesia, infine, moltiplicate a ritmi vertiginosi, e oggi regolarmente introvabili»[3]. Interrogare quindi una parte del funzionamento del campo poetico degli anni Ottanta, da questa specola, quanto ci permette di capire di quello in cui viviamo immersi oggi?

Ecco: ciò che emerge dal lavoro di scavo è appunto questa modalità di ‘fare poesia’ che a volte risulta preponderante rispetto al ‘leggere poesia’. Guardando a certe antologie ipertrofiche – alle quali reagisce la mia proposta proprio limitando la proliferazione, restringendo il campo d’indagine a voci connotate in senso abbastanza lineare – viene un senso di vertigine: quando mai avremo il tempo di leggere tutta questa poesia? Ed è poi sufficiente leggerla, la poesia? Non è forse sua caratteristica precipua quella di richiamare alla rilettura, alla meditazione e rimeditazione? a quello che i medievali chiamavano ruminatio, che consiste nel lasciarsi attraversare dal verso ritornandoci sopra più e più volte, anche a distanza di tempo. La rilettura è un’operazione che forzatamente delinea un orizzonte: si potrebbe dire che entra in un canone solo l’autore che siamo disposti a rileggere. Ho fatto fatica ad arrivare alla fine del Conoscente di Umberto Fiori, perché ogni sua pagina mi sembrava così esatta e memorabile, da impedirmi di andare avanti se non la rileggevo dieci volte. E potrei dire la stessa cosa per tanti libri di Fabio Pusterla, cui ho dedicato diversi saggi, o di De Angelis (il suo ultimo Linea intera linea spezzata è da rileggere all’infinito).

Per tornare alla domanda, non credo però che si debba guardare solo in termini sprezzanti al ‘fare poesia’. Forse il lamento sull’assenza di pubblico della poesia ha fatto il suo tempo, e dovremmo iniziare a pensare che no, la poesia ha un suo pubblico, ma è quello dei poeti in proprio, non dei lettori. Senza dimenticare che non si può essere poeti senza leggere poesia, certo: ma comprendendo nel novero anche la poesia antica, tutta la poesia della tradizione italiana.

Nella premessa al terzo volume, viene ricordato il convegno torinese nel 2015 (Poesia ’70-’80: le nuove generazioni. Geografia e storia, opere e percorsi, letture e commento, organizzato insieme a Beatrice Manetti, Stefano Giovannuzzi e Davide Dalmas). Negli atti di quel convegno – usciti per San Marco dei Giustiniani l’anno successivo, in linea di continuità con un altro volume dedicato alla poesia contemporanea uscito nel 2003[4] – veniva ripresa la posizione di Rodolfo Zucco che lamentava «l’assenza di un progetto complessivo di commento ai testi contemporanei, la mancanza di […] una o più collane di raccolte poetiche commentate»[5]. L’avvio di tale operazione «risulterebbe utilissima, tra l’altro, anche per quel destinatario privilegiato delle nostre ricerche che è il mondo della scuola, nel quali i poeti contemporanei entrano a fatica anche per via dell’assenza di strumenti»[6]. I tre (quasi quattro) volumi pubblicati fin qui rispondono in qualche modo a tali esigenze? Quale è o quale potrebbe essere il gesto di mediazione rivolto a ‘quel destinatario privilegiato che è la scuola’?

SS: Diciamo che i volumi fin qui pubblicati, nella serie Poesia degli anni Ottanta, rispondono in parte a quella esigenza, perché fondamentalmente offrono un lavoro di scavo storico, retorico e letterario riguardante singoli libri, che è utilissimo per dare un orizzonte di riferimento a chi voglia intraprendere la lettura di quei poeti, ma dovrà essere accompagnato da una serie di edizioni commentate – come Ora serrata retinae, che se me lo permettete potrebbe essere considerato come un apripista in tal senso – che permetterebbero una lettura più sicura, orientata, dei testi. Gli insegnanti sono molto disponibili a proporre la poesia contemporanea, ma mancano gli strumenti. Che poi quegli strumenti debbano essere di un tipo particolare, perché non si può commentare Magrelli come si commenta Dante, è un’altra questione. Ma in Italia c’è ancora una qualche resistenza. Quando si pensa alla poesia, si pensa in genere a testi poetici ‘puri’, pubblicati senza commento, o commentati solo quando si tratta di ingressi ufficiali nel canone (vedi i Meridiani). Qualcosa sta cambiando, esistono tanti commenti in rete e anche imprese come quella di Claudio Damiani, che ha pubblicato una propria auto-antologia già provvista di commento (dell’amico e sodale Arnaldo Colasanti, però: “non vale”, mi verrebbe da dire, perché il critico deve stare alla giusta distanza dall’autore).

I volumi usciti fino ad ora permettono sicuramente di comprendere la fisionomia parziale del progetto. Ma quali provvisori bilanci può fare il gruppo di ricerca? Volendo proiettarsi nel futuro verrebbe da chiedersi quali saranno i passi successivi di questa mappatura. Si ha intenzione di proseguire il lavoro o di passare a forme diverse di interrogazione critica?                                                                                    

SS:Per rispondere a questa domanda devo fare una considerazione dolorosa, ovvero che il gruppo di ricerca per ora sembra aver esaurito la sua spinta iniziale. Anche per situazioni contingenti: la pandemia ci ha obbligati a sospendere quei bellissimi Incontri con i poeti che dal 2013 al 2019 ci avevano consentito di portare a Torino, davanti a schiere nutrite di studenti, tanti dei poeti studiati (Magrelli, Pusterla, Testa, Valduga, De Angelis, Fiori, Insana, Frabotta, Lamarque); io ho preso servizio a Perugia da un paio di mesi, dopo che già Stefano Giovannuzzi ci si era trasferito qualche anno fa, e Massimiliano Tortora se ne torna a Roma tra poco. Era un lavoro fatto, come dicevo, in gruppo, in vicinanza fisica e amicale. Non so che ne sarà in futuro. Resta però la consolazione di aver seminato qualcosa: come dimostra questa stessa intervista, come dimostrano le tante bellissime tesi seguite in questi anni, nonché le belle iniziative che i nostri giovani allievi stanno conducendo in modo autonomo, la passione per la poesia e la dimestichezza con la poesia contemporanea hanno gettato radici salde nei cuori dei nostri studenti torinesi, e fruttificheranno. Qualunque cosa faremo delle nostre ricerche, questo resta come lascito incancellabile.


Profili bio-bibliografici

Sabrina Stroppa insegna attualmente Letteratura Italiana all’Università per Stranieri di Perugia. Ha scritto saggi e studi Petrarca, sulla letteratura mistica del Seicento, e sulla letteratura del secondo Novecento. È stata redattrice della «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», diretta da Carlo Ossola, Giorgio Cracco e Mario Rosa, pubblicata dall’editore Leo S. Olschki di Firenze dal 1996 al 2008, e condirettrice insieme a Luca Marcozzi, della Rivista Internazionale «Petrarchesca», diretta da Enrico Fenzi. Suoi testi sono apparsi su «Bollettino d’Italianistica»; «Testo»; «Poetiche». Ha pubblicato presso Einaudi un commento al Canzoniere di Petrarca. Ha curato per le edizioni Ananke, insieme a Laura Gatti, il commento a Ora serrata retinae di Valerio Magrelli. Ha recentemente curato l’edizione del libro Cuore di Beppe Salvia per Interno Poesia Editore. È promotrice e responsabile di un ciclo di volumi critici, con la partecipazione di numerosi studiosi, dedicato alla poesia degli anni Ottanta, dal titolo La poesia degli anni Ottanta. Esordi e conferme, che al momento consta di tre esemplari più uno in corso di stampa

Sul Ponte diVersi è un gruppo di lettura di poesia e critica, costituito da Riccardo Deiana, Federico Masci, Jacopo Mecca e Francesco Perardi, nato a Torino nel gennaio del 2018 allo scopo di organizzare degli incontri con i poeti italiani contemporanei nel contesto della libreria indipendente Il Ponte sulla Dora. Tra gli ospiti: Umberto Fiori, Riccardo Olivieri, Franco Buffoni, Francesco Iannone, Mario Baudino, Giulia Rusconi, Matteo Marchesini, Giuliano Ladolfi, Marco Corsi, Fabio Pusterla, Guido Mazzoni, Franca Mancinelli, Giampiero Neri, Milo De Angelis, Giorgio Luzzi, alcuni dei poeti raccolti nel Quattordicesimo Quaderno italiano di Marcos y Marcos (Pietro Cardelli, Carmen Gallo e Raimondo Iemma). Sul Ponte diVersi collabora con «L’Indice del libri del mese», «Avamposto» e più recentemente con «La Balena Bianca». Da questo link (https://www.facebook.com/pontediversi) si può accedere alla pagina Facebook del gruppo.



[1] S. Stroppa, Premessa. Radiografie di raccolte, in La poesia italiana degli anni Ottanta. Esordi e conferme I, a cura di S. Stroppa, Pensa MultiMedia Editore, Lecce, 2016, p. 18.

[2] S. Stroppa, Introduzione. L’«aria che abbiamo attorno»: appunti sulle antologie degli anni Ottanta, in La poesia italiana degli anni Ottanta. Esordi e conferme II, a cura di S. Stroppa, Pensa MultiMedia Editore, Lecce, 2017, p. 9.

[3] Ivi, p. 16.

[4] Gli anni ’70 e ’80 in Italia: due decenni di ricerca poetica, a cura di Stefano Giovannuzzi.

[5] S. Stroppa, Introduzione. Come cambia la pratica del commento di fronte al testo poetico tardonovecentesco, in Poesia ’70 – ’80: le nuove generazioni. Geografia e storia, opere e percorsi, letture e commento, a cura di B. Manetti, S. Stroppa, D. Dalmas, S. Giovannuzzi, San Marco dei Giustiniani, Genova, 2016, pp. 169-187: 173.

[6] Ivi, p. 174.