Fedeltà è il sesto romanzo di Marco Missiroli, edito nei Supercoralli Einaudi nel 2019, tra i vincitori in pectore del premio Strega. La vittoria non stonerebbe se gareggiasse in una sezione dedicata ai “romanzetti”, cioè a quei libri dimenticabili che rimescolano senza originalità temi pungenti, forniscono un ritratto spiccio del nostro tempo, intrattengono ogni tanto con le giravolte della trama, si congedano con le parole giuste ma ritirandosi in un oblio da cui non avranno più molto da dire.

La storia è divisa in due parti, separate da un’ellissi di dieci anni. Carlo (raccomandato professore universitario a contratto part-time e impiegato da un editore di guide turistiche) e Margherita (agente immobiliare) stanno insieme, comprano casa, hanno un bambino, mentre parallelamente si concedono alcune scappatelle (prima parte) o ritornano col pensiero ad esse, provando un misto di inquietudine e alleggerimento (seconda parte). Intorno si distinguono due gruppi di personaggi: da una parte i genitori, che incarnano l’idillio familiare e che hanno ostinatamente optato per la longevità matrimoniale; dall’altra parte gli ex amanti dei due protagonisti, uno invischiato in due loschi giri di combattimenti clandestini, l’altra di ritorno nella propria città e decisa ad aiutare nella ferramenta il padre vedovo.

Il romanzo indaga con scarsa originalità i rapporti verticali (genitori-figli), orizzontali (coppia) e obliqui (amanti) dello spazio famigliare. I primi portano un sistema di riferimento in cui l’individuo trova il proprio posto e i valori secondo cui sarà giudicato; i secondi sono tirati da forze opposte, l’attrito tra doveri sociali e desideri individuali; gli ultimi rappresentano l’elemento di disturbo, il buco nero che rischia di risucchiare un progetto di stabilità. Lo schema dei rapporti non è innovativo e si adagia su una retorica da marciapiede. Nonostante il tema, il romanzo non apre prospettive originali, ma si avvita su un’elegia della vita matrimoniale. Non a caso il libro si chiude su una nevicata attorno alla quale tutti i personaggi si inteneriscono, e nell’ultima scena la protagonista svuotando l’armadio della madre ritrova il suo abito da sposa.

Anche le ambientazioni concorrono a una semplificazione secondo uno schema binario e allegorico privo di originalità. Da una parte Milano, dall’altra Rimini: una è il luogo delle tentazioni, l’altra un borgo languoroso, un meraviglioso idillio dove sicuramente le persone sono ispirate da buoni sentimenti. Ad appesantire la lettura è anche l’insistenza del narratore a geolocalizzare i personaggi in ogni momento, fornendo con precisione i loro tragitti, arricchiti da qualche nota pittoresca. Missiroli punta a scrivere il romanzo di Milano, ma cade nella pedanteria.

La lingua non aiuta a correggere il giudizio sul romanzo. Scorre monotona, articolata in ininterrotte sequenze di coordinate, priva di graffiature e di passaggi memorabili. Gli unici momenti in cui compare una certa inventiva risultano goffi (per esempio nella frase insensata: «Alla caffetteria lei amalgamava le lezioni di tecniche della narrazione alla sua indole pratica»; un tecnicismo che stona: «Il momento preciso in cui le zampette acquisivano una propulsione timida»; l’espressione tortuosa e inelegante: «I fianchi incoerenti al tratto longilineo»). Al di là di simili sbavature, la scrittura è meramente funzionale alla trama e la lingua non ha una propria autonomia.

Stupisce l’accoglienza entusiastica riservata al romanzo, anche se non sono mancate le critiche e le stroncature. Anche a Fedeltà si possono adattare le parole spese da Giacomo Raccis per il titolo precedente (Atti osceni in luogo privato, edito da Feltrinelli nel 2015), «esemplare di un rampantismo letterario che pretende di rinnovare il nostro immaginario, ma finisce per arenarsi nei topoi di una nuova, schiumevole retorica pop», e – aggiungo – trova nel romanzetto la propria forma.


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Marco Missiroli, Fedeltà, Einaudi, Torino 2019, pp. 232, € 19