Da pochi giorni si è concluso il summit voluto da Jorge Mario Bergoglio, pontefice di una chiesa cattolica che ha dovuto, dopo anni di silenzio, aprire pubblicamente gli occhi sugli scandali di pedofilia che riguardano la curia da decenni. In parallelo, esce in Francia in questi giorni l’ultimo film di François Ozon intitolato Grâce à dieu [Grazie a dio], che descrive la storia di un gruppo di oramai adulti che hanno subito, tra gli anni 1970 e 1990, le molestie sessuali perpetrate dal prete Bernard Preynat (Bernard Verley).

La storia che ci viene raccontata inizialmente è quella di Alexandre Guérin (Melvil Paupaud), un padre di famiglia quarantenne, cattolico, sposato, che svolge una brillante carriera da impiegato bancario. L’uomo racconta, attraverso degli scambi epistolari udibili fuori campo, le violenze subite da bambino, violenze fisiche e morali, perpetrate dal carismatico Preynat.

Ozon ci mostra una parte della borghesia transalpina, serbatoio sociale da cui attinge buona parte delle sue opere, questa volta collocata in provincia: il film è girato in buona parte a Lione e nei territori che circondano il suo centro urbano. L’autore, di cui è facile riconoscere lo stile visivo – predominanza di colori caldi, e più precisamente del rosso, in alcune scene cruciali, scale di rossiniana memoria, fotografia estremamente curata – sottolinea come la fede cattolica sia, in Francia, affare delle classi dirigenti. Dimenticate i cortei religiosi popolari e le feste patronali visibili ancora in Italia o in Spagna; nell’Esagono, la fede cattolica è privatamente professata da cittadini appartenenti alla borghesia medio-alta: medici, avvocati, imprenditori e dirigenti politici che di solito si piazzano a destra del bilanciere politico.

Guérin, cattolico moderato, non riesce più a sopportare in silenzio un’infanzia violenta divenuta troppo pesante, e decide, in un primo tempo, di affidarsi ai dirigenti della sua diocesi per denunciare un prete che, malgrado le sue numerose segnalazioni, non è stato ancora sollevato dal suo incarico.

Ciò che ci colpisce, prima di tutto, è la solitudine di un uomo che si scontra con un’istituzione secolare più grande di lui che rimane sorda davanti alle sue proteste. Gli eventi subiti da quest’uomo mite ed educato sono già prescritti dalla legge: il cardinale Barbarin (François Marthouret) è a conoscenza dei fatti, e sapendo che le accuse dell’uomo non hanno peso giuridico, si limita ad arginare le accuse che potrebbero infangare i prelati, proteggendoli da ogni tipo di scandalo. Alexandre si batte contro dei mulini a vento, e la sua crociata personale non trova risposte; l’uomo non riceverà mai scuse ufficiali.

Quando la sua fede comincia a vacillare, perché deluso dai rappresentanti di una religione che continua malgrado tutto a rispettare, decide di far valere penalmente i suoi diritti. La forza delle parole contenute nel suo atto di denuncia provoca un vero e proprio maremoto. Le forze dell’ordine lionesi agiscono con estrema rapidità, e cominciano a unire i pezzi di un puzzle di cui possedevano già alcuni elementi.

La denuncia di Alexandre si aggiunge così a una serie di analoghe accuse, fino a quel momento inascoltate. Da questo momento, altre vittime cominciano a rifarsi vive, rassicurate dal fatto di non essere più sole. La parola, oramai liberata, diventa un catalizzatore che unisce uomini che fino a quel momento non condividevano nulla, se non un’esperienza infantile traumatica. Di comune accordo decidono di denunciare pubblicamente l’omertà di un’istituzione millenaria che non può e non deve più far finta di nulla. Il film diventa allora corale e Ozon ci trasporta da un quotidiano all’altro, attraverso un montaggio che rispetta e ritraduce la dinamicità di questi uomini pronti a tutto pur di far luce su degli eventi che offuscano, con la loro infamia, una parola evangelica che loro ancora rispettano.

Tutto ciò accade sotto gli occhi di familiari inorriditi da storie di cui a volte non erano a conoscenza, storie che mettono a dura prova anche dei legami fraterni, storie che a volte lasciano senza fiato. Ma la parola, grazie al sostegno di poliziotti, avvocati, giudici e anche di un’associazione fondata dalle vittime, non è più effimera o chiusa nei ricordi più bui di adulti traumatizzati: essa si fa carne, diventa concreta e non teme più lo scorrere del tempo che cancella vite e drammi. Le analogie con le vittime dei campi di concentramento sono evidenti e, a metà film, chiaramente citate dai personaggi.

Ciò che c’è di positivamente umano in ognuno di noi, ritrovabile nella società civile e nelle istituzioni statali francesi – istituzioni gestite da funzionari pronti ad appoggiare senza indugio le vittime innocenti di crimini a dir poco obbrobriosi – è assente negli atti, nelle parole e negli sguardi dei rappresentanti religiosi. Il cardinale di Lione, così come la psicologa che si occupa di raccogliere le testimonianze dei fedeli in difficoltà, lotta affinché la sua istituzione non venga offuscata da tutte queste accuse. I processi che si concatenano portano a galla dei segreti, che in realtà segreti non sono mai stati: tutti sapevano di Preynat, ma nessuno lo ha mai allontanato. Perché l’uomo, conscio delle sue pulsioni, ammette da sempre la sua colpevolezza, e domanda sostegno psicologico da decenni. Ma a causa del suo carisma, che attira fedeli e laute donazioni, le sue richieste saranno ignorate, come saranno ignorate le sue devianze: i suoi crimini sono accettati come dei semplici danni collaterali, e sminuiti di fronte a progetti più grandi di lui. L’omertà è dunque al servizio di un sistema corrotto, dove il potere secolare ha sacrificato sull’altare degli interessi economici e politici quello spirituale.

Tutti i fatti messi in evidenza da Ozon sfociano in una semplice domanda posta da una delle vittime: “da quanto tempo sapevate?”. Le vittime di questa macchina infernale, in effetti, cercano unicamente delle risposte e non una vendetta: l’intenzione dell’autore non è quella di accusare, ma di capire.

Quest’opera non si scaglia contro i rappresentanti di una religione che è capace, come altre, anche di atti misericordiosi, ma cerca di denunciare coloro che la strumentalizzano a dei fini illeciti.

Questo film engagé esce qui in Francia, e non a caso, poco prima del processo che giudicherà, entro marzo, i responsabili diretti e indiretti di questi crimini. I primi processi hanno permesso di ottenere un’estensione dei limiti di prescrizione (da 20 si è passato a 30 anni). I prossimi processi decideranno, come accadde in Irlanda un decennio fa, se punire degli uomini incapaci di rispettare i principi di un’istituzione fondata originariamente sulla fratellanza.