Inauguriamo oggi una serie di articoli dedicati all’esperienza delle giornate poetiche padovane “Convergenze”, tenutesi lo scorso giugno e organizzate in collaborazione con il CEST (Centro per l’Eccellenza e gli Studi Transdisciplinari) di Padova. Al riassunto del programma – firmato da Gregorio Tenti – seguiranno gli interventi di alcuni partecipanti ai dibattiti.


 

Convergenze: Tendenze e stili della poesia contemporanea in dibattito” ha avuto luogo a Padova l’8 e il 9 giugno grazie all’impegno della Balena Bianca e del CEST (Centro per l’Eccellenza e gli Studi Transdisciplinari). Come preannunciato, è stata occasione di riflessione collettiva e di incontro tra autori, critici e amanti della poesia, un esempio di quello che, nell’ambiente poetico, è percepito sempre più come un dibattito necessario. Sia i temi scelti a cornice dei singoli interventi che i fili emersi nel corso delle due giornate sono quelli che riguardano maggiormente la concezione e l’esercizio della poesia contemporanea: la possibilità e la capacità di leggere il nostro tempo letterario, la ricerca di nuove categorie interpretative, l’ibridazione tra poetiche e tra concetti della critica.

La prima parte della prima giornata ha ospitato gli interventi di Massimo Bocchiola, Vincenzo Frungillo e Giovanna Frene sul tema dell’esperienza personale e della presenza della Storia; concetti di cui si tende spesso ad annunciare la “perdita” e la “fine”, ma che si ripropongono piuttosto come dati persistenti senza categoria. Il ruolo della soggettività, individuale o collettiva – e dunque dell’oggettività e di un oggettivismo possibile – sembra emergere sin dal primo dibattito come terreno di nuovi tentativi critici. La seconda parte della giornata, che ha visto Simona Menicocci, Giacomo Morbiato e Giulio Mozzi riflettere sulle nozioni di metrica e di stile, ha confermato il valore di sopravvivenza ambivalente di alcune intersezioni concettuali; si enfatizza il ruolo della architettura testuale concreta (dei ricorsi, dei ritmi e delle prosodie locali) da una parte, e della componente “timbrica” – del gesto letterario di per sé né “lirico” né “anti-lirico”– dall’altra.

Gli interventi del secondo giorno, dedicato ai temi del linguaggio poetico e dell’autorità dei maestri, hanno continuato ad arricchire il ritratto critico di una generazione di scrittori (nati negli anni ’70 e ’80) che rielabora in forme eterogenee un repertorio di mezzi letterari e ascendenze estremamente malleabile. Marco Scarpa, Matteo Marchesini e Giovanni Turra si sono interrogati sul problema del canone e della lingua, tra intuizioni da «anything goes» e metodi quantitativi. Simone Burratti, Giusi Montali e Francesco Terzago hanno riflettuto, nel secondo panel della serata, sulle attitudini degli autori di oggi verso i propri padri letterari, guardando a ricorsività esplicite o inconsce, persino biologiche («bio-estetiche») nel fare poetico attuale.

Convergenze è stato uno sforzo corale, un momento di conoscenza e un  contesto d’incontro. Sotto un certo aspetto, il Leitmotiv che ha riunito prospettive poetiche e critiche tanto differenti è stato la peculiare necessità storica di coniugare la prassi e la teoria letteraria: necessità del critico di diffidare costantemente delle etichette e collocarsi, in maniera fluida e spregiudicata, sempre accanto al testo; necessità del poeta di mettere a punto con sempre maggiore consapevolezza categorie di senso funzionanti rispetto al dato che oggi le richiede. Resta incerto se siano le pratiche poetiche a mancare – se quindi il nostro sia davvero tempo di epigoni – o piuttosto le categorie. La breve esperienza di Convergenze ha suggerito che nuove forme di presenza poetica si collocheranno sempre di più all’incrocio della pratica e della consapevolezza teorica, e avranno così la possibilità di procedere verso la reintegrazione dei termini di una vexata questio.