È stato il nemico nazista, a dare alle Streghe della notte il soprannome che le avrebbe accompagnate nel lungo viaggio della Storia. Primo reggimento sovietico completamente femminile, le Streghe agivano protette dal buio della notte russa, arrivavano su aerei ultraleggeri e bombardavano gli accampamenti dell’invasore tedesco dopo la rottura, da parte di Hitler, del patto Molotov-Ribbentrop. I soldati della Wehrmacht si accorgevano della loro presenza troppo tardi, quando l’accampamento era ormai diventato un inferno di esplosioni e, nonostante i fari puntati nel cielo, era impossibile localizzare le coraggiose aviatrici.
La storia delle Streghe della notte non è però soltanto un’esperienza di guerra, ma è prima di tutto una storia di emancipazione femminile: così la racconta in Una donna può tutto (Ponte alle Grazie, 2018) la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni.

Armeni ha avuto la fortuna di approfondire nel dettaglio la vicenda delle Streghe attraverso i ricordi di una testimone d’eccezione, Irina Rakobolskaja, vicecomandante di reggimento e ultima Strega ancora in vita (morirà poco dopo l’intervista di Armeni, a novantasei anni). Nelle pagine di Una donna può tutto, Armeni unisce la materia storica alla memoria individuale di Rakobolskaja, la impreziosisce con i suoi ricordi senza farsi ingannare dalle fallacie che possono nascondere: il risultato è un documento storico prezioso su una vicenda poco conosciuta ma molto coinvolgente, fluido come un memoir personale.
Ho incontrato Ritanna Armeni per parlare con lei di femminismo, di Russia, e, ovviamente, delle Streghe della notte.


Come mai le Streghe della notte? Perché, tra tante storie di coraggio femminile, ha scelto proprio questa?

Non direi di averla scelta, mi è capitata. Ero in Russia per lavoro e stavo intervistando un veterano della Seconda guerra mondiale, quella che i russi chiamano Seconda guerra patriottica, e lui ha nominato le Streghe della notte e mi ha spiegato che erano delle aviatrici sovietiche che avevano formato un reggimento. La cosa mi ha colpito molto e ho deciso che volevo conoscere una di loro.
E ci sono riuscita: ho incontrato Irina Rakobolskaja nel 2015, in novembre, e sono tornata da lei nuovamente nel febbraio del 2016. Irina è stata molto contenta di raccontarmi la storia delle sue compagne; era un’illustre accademica con centinaia di pubblicazioni, ma aveva l’obiettivo di far conoscere il più possibile la storia di queste donne. Durante il primo incontro che abbiamo avuto mi ha detto che doveva essere chiara una cosa: il loro era un reggimento solo femminile. Me lo ha specificato perché capita che in molti cerchino di dire che c’erano anche degli uomini, ma non è vero, sono state tutte donne dall’inizio alla fine della guerra.
Irina era la vicecomandante del reggimento quindi aveva vissuto la vicenda non solo in prima persona ma anche con uno sguardo più complessivo rispetto alle sue compagne. Io, nel libro ho cercato di fare un discorso corale, anche se naturalmente non sono riuscita a parlare di tutte le donne del reggimento, ma soltanto di alcune. E così è nato Una donna può tutto.

Perché ha scelto come titolo Una donna può tutto?

È lo slogan del reggimento. Le Streghe hanno combattuto due guerre allo stesso tempo, una molto cruenta con i nazisti, e una, parallela, con gli uomini dell’Armata Rossa. Questo perché le Streghe sono state un’eccezione assoluta nella storia degli eserciti fino alla Seconda guerra mondiale: certo magari capitava che le donne volassero, ma soltanto per portare gli aerei dalla base agli altri piloti che dovevano usarli, non c’è mai stato un reggimento di pilote bombardiere solo femminile. Hanno trovato un ostacolo negli uomini dell’Armata Rossa sia perché erano gli anni Quaranta, quindi c’erano i limiti imposti dalla mentalità del tempo, sia perché come tutti gli eserciti aveva un’impronta maschile nelle gerarchie e nella cultura. Dunque questo esercito di uomini si è trovato di fronte a donne che non erano ancora le eroine di cui parliamo oggi, ma delle ragazze dai diciotto ai ventidue anni che prima della guerra facevano i mestieri più vari: c’erano studentesse di facoltà scientifiche, ma anche venditrici di uova, contadine, operaie, maestre, che a un certo punto hanno deciso di combattere volontariamente per la patria. Gli uomini lo vedevano come un sovvertimento dell’ordine naturale delle cose. 

Può approfondire il discorso sul rapporto tra le Streghe e i loro compagni maschi?

All’inizio gli uomini non pensano che queste donne possano farcela. Non a caso lo slogan delle Streghe è “Una donna può tutto”: devono dimostrare di poter tutto, perché gli uomini non ci credono, anche perché è un’impresa molto difficile, per una ragazza di vent’anni che non lo ha mai fatto, imparare a volare e a combattere. Le Streghe erano ragazze animate solo da due cose: erano convinte, come detto, che “Una donna può tutto”, e avevano un grande patriottismo.
Hitler aveva appena invaso la Russia, era arrivato a trenta chilometri da Mosca e stava cominciando a scendere verso il Sud, verso il Caucaso. Lungo questo fronte sconfinato, l’Armata Rossa stava arretrando, stava scappando, anche perché aveva subito l’effetto sorpresa di un’invasione da parte di un alleato. Il fronte russo rischiava quindi di essere completamente sconfitto, e questo aveva provocato una spinta patriottica collettiva, sia degli uomini sia delle donne. Ma con una differenza: gli uomini venivano arruolati, le donne no. Ed è a questo che si ribellano Irina e le sue compagne, riuscendo a ottenere la formazione di tre reggimenti.
I primi due reggimenti però dopo poco diventano misti, perché pilotano aerei ad altissima tecnologia, quindi se muore una persona va subito sostituita, e non si discute se si tratta di un maschio o di una femmina. Invece al terzo reggimento, quello delle Streghe, vengono affidati dei Polikarpov, che sono aerei fragili e leggeri, molto pericolosi ma anche particolarmente duttili. Sono facili da guidare, e quindi le Streghe si auto-addestrano e più o meno tutte riescono a fare da navigatrici, se non addirittura a pilotarli, anche le armiere. E così riescono a rimanere un reggimento di sole donne fino alla fine: non per un caso, ma con una vera consapevolezza: è un esempio di separatismo ante-litteram. Infatti quando parlavo con Irina avevo una sensazione strana, non capivo se stavo parlando con una donna vissuta nel 1940 o con una femminista degli anni Settanta.

Secondo lei una simile esperienza, nella prima metà del Novecento, poteva avvenire solo in uno stato comunista, in cui le donne erano già chiamate in causa quotidianamente e considerate una forza per la crescita della Russia?

Sì, quello era un terreno sicuramente abbastanza favorevole. Era il 1940 e queste donne, che avevano appena vent’anni, appartenevano alla prima generazione che aveva vissuto tutta la fase post-rivoluzionaria. La Russia aveva sconfitto l’analfabetismo, aveva avuto uno slancio produttivo straordinario, e c’era un clima di uguaglianza e parità. Le donne per la prima volta partorivano negli ospedali, potevano dare il loro cognome ai figli, frequentavano le facoltà scientifiche, avevano anche il diritto di voto. Insomma, erano donne di una generazione abituata quantomeno all’immagine della parità. In più, vivendo in un paese che temeva di essere aggredito da un momento all’altro dagli occidentali, si aspettavano la guerra e quindi avevano imparato a fare una serie di cose. Quando sono state escluse da un evento terribile e straordinario qual era l’invasione del loro paese, non lo hanno accettato e hanno chiesto di poter combattere.

Nel libro, ovviamente, si parla di guerra, ma l’argomento viene trattato con molta delicatezza. Com’è stato accostarsi a una vicenda che, pur essendo una storia di coraggio ed emancipazione, era anche per larga parte una storia di morte?

Le streghe uccidono sganciando bombe dal cielo: è molto diverso che combattere in una fanteria. Hanno comunque avuto le loro morti e i loro feriti, però non hanno sperimentato la visione del sangue e i combattimenti.
Nello scrivere il libro mi si è comunque posto un problema, perché c’erano tutti gli elementi per farne un testo molto cruento, però io ho deciso di delimitare volontariamente il mio campo e nel farlo sono stata aiutata moltissimo dai racconti di Irina.
Volevo parlare della specificità delle Streghe, non di un qualunque episodio di guerra: la morte in guerra c’è per tutti, per chi combatte, per chi viene bombardato, per chi perde i propri cari, ma la specificità delle streghe era il fatto di essere un reggimento di donne che si auto-organizzava ed è rimasto solo femminile fino alla fine. Questa mi pareva la prospettiva più interessante da raccontare.
Ci sono molti romanzi sull’argomento, tutti bellissimi, ma io volevo raccontare una storia che non era ancora stata raccontata. Per questo ho preferito privilegiare il rapporto che le Streghe avevano fra di loro e quello che avevano con i loro compagni e con la loro patria.


 

armeni ritanna - streghe della notteRitanna Armeni, Una donna può tutto. 1941: volano le Streghe della notte, Ponte alle Grazie, 2018, pp.230, €16.