Alta Fedeltà ritorna con la musica che ha aperto il 2018, dal classico, immancabile, Rock italiano dei Negrita al Folk svedese delle First Aid Kit.

Ancora una volta, noi della ciurma vi proponiamo un ascolto multistile delle canzoni che ci hanno accompagnati negli ultimi tre mesi.

Buon ascolto!


 

Negrita, Desert Yacht Club [Mercury Records/2018] (Davide Saini)

La domanda su chi è il nuovo alfiere del rock italiano è una grande costante e i nomi che si fanno tutti gli anni sono diversi, cambiano, passano, tutti tranne pochissimi, forse solo uno con costanza: i Negrita tengono aperto il negozio del Rock italiano since 1991 senza mai viaggiare per inerzia ma cercando sempre di seguire un percorso. Questo nuovo album è proprio questo, il riconoscimento di aver fatto un percorso musicale ma anche umano. L’album nasce durante un viaggio nel deserto degli USA, uno di quei viaggi da sogno, uno di quei viaggi che mettono fine a un periodo di crisi arrivando a una nuova consapevolezza. La band (o forse farei meglio a dire gli amici) ha scritto l’album on the road con un originale processo creativo nominato “Kitchen groove” che prevede la composizione a una postazione intorno al tavolo di cucina composta solo di pochi strumenti a noleggio e un computer. I Negrita vanno avanti, fanno entrare nuove consapevolezze e nuove contaminazioni (elettronica prima di tutto) nella loro anima e nonostante tutto continuano a portare la bandiera del Rock Italiano.

Calexico, The Thread that Keeps Us [Epitaph Records] (Giacomo Raccis)

Se si cercano i Calexico su Wikipedia si trova questa interessante definizione: «Sono i principali esponenti di un genere, l’alternative country, caratterizzato dalla fusione di sonorità Tex-Mex con il jazz e la psichedelia». Niente di più disparato, e quindi niente di più bizzarro, apparentemente. Eppure, i Calexico riescono nell’impresa di caratterizzarsi come band folk-rock dalle contaminazioni ispaniche – che mai scadono nel temibile country da rodeo. Il duo di Tucson, Arizona, ne dà prova in quest’ultimo album, il nono registrato in studio. Come qualcuno ha già notato, in apparenza niente di nuovo, per chi in questi venti anni di carriera abbia avuto modo di allenare l’orecchio a ballate come Fortune teller o ai fiati orchestrali di Crystal frontier. Ma proprio per questa fedeltà a se stessi, per questa capacità di adattare un suono apparentemente datato (si senta l’apertura un po’ Nineties di End of the World with you) al trascorrere degli anni, The Thread that Keeps Us si rivela un album notevole per la sua ampiezza. I Calexico ci danno così un servizio completo, che va dalle suonate strumentali (Shortboard), perfette per le colonne sonore del nuovo cinema western, al funky sintetico di Another space e alle chitarrone di Dead in the Water. Toni, questi che trovano perfetta sintesi nei bassi e nei colori di Under the Wheels.

Jack White, Boarding House Reach [Third Man Records] (Massimo Cotugno)

Immaginatevi un musicista produttore che fa la storia della musica dei primi anni duemila con una formazione essenziale come quella dei White Stripes, tra riff sporchissimi e sonorità garage. Immaginatevelo molti anni dopo, dopo svariati album, centinaia di collaborazioni, in un mondo musicale profondamente cambiato, fatto di star di YouTube e musica mutante. Cosa potrebbe fare per cambiare le sorti del rock? Semplice: accendere la chitarra, avviare Pro Tools, contattare un numero infinito di musicisti mai conosciuti prima e produrre un’opera assurda quanto ambiziosa. Jack White smette definitivamente i panni del collezionista di chitarre d’epoca e confeziona un album privo di controllo, ma pieno di potenti spunti da cui ripartire per ricomporre un mondo musicale in frantumi. In questo Boarding House Reach si ascoltano sonorità tribali, chitarre iper-elettrificate, spoken words in una messa sonica a metà tra i Beatles di Sergent Pepper e l’ultima hit di Pharrell. Comunque la pensiate, è qualcosa di notevole.

First Aid Kit, Ruins [Columbia Records] (Alessandra Scotto di Santolo)

Le sorelle Söderberg sono arrivate alla ribalta un decennio fa quando le riprese autoprodotte di loro che cantavano una canzone di Fleet Foxes in una foresta lunatica vicino alla loro casa svedese sono diventate virali. Dieci anni dopo e sono fondamentalmente diventate un affare più grande della band che hanno coperto in quelle riprese amatoriali. Klara e Johanna sono al loro quarto album, dopo aver seguito il film d’oro The Lion’s Roar (2012) e Stay Gold (2014). Ruins è una versione rigogliosa ed espansiva che sfrutta al massimo l’armonia delle due sorelle, elevando le loro canzoni folk low-key in qualcosa di maestoso. Come i The Staves, gli Haim e i rocker classici Heart prima di loro, accade qualcosa di speciale quando queste due sorelle cantano insieme, sfidando i confini di un semplice pop radio-friendly. È il tipo di suono bruciante che ti fa balzare il cuore dal petto, che con i video di It’s A Shame e di Fireworks sembra più potente che mai. Le First Aid Kit hanno sempre avuto una serie fatalista, che aggiunge gravità alla maggior parte delle canzoni: a loro piace far notare l’altra parte della moneta di un risvolto positivo. Ciò rende Nothing has to Be True un finale magnificamente aperto, ma rende anche la coda della prima canzone Rebel Heart un po’ pesante. “Nothing matters”, cantano con la bocca amara, “all is futile”.

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