[Prosegue la pubblicazione dei racconti che hanno vinto la terza edizione del concorso letterario #Laventicinquesimaora, indetto dalla Scuola di scrittura Belleville e nella cui giuria era presente anche la redazione della Balena Bianca. La traccia di quest’anno era: “Cosa succederebbe se un intero racconto – con i suoi personaggi, gli eventi e le azioni, l’incipit e la conclusione – ruotasse intorno a una parola che non si può nominare?”
Come al solito, i partecipanti hanno avuto a disposizione solo un giorno e un’ora per stendere il loro racconto. Dopo il terzo classificato, tocca oggi al secondo,
 I cani randagi di Istanbul di Acelya Yonac]


 

Il pesce ha le esche. A sei anni guardo le esche scomparire verso la cucina di casa. Il pollo è un petto, di pollo. A sei anni non ho mai visto un pollo, una volta, ho visto una gallina. Mi chiedo se le zampe di pollo, sono uguali a quelle della gallina. Di notte scivolo in cucina e cerco nella spazzatura tracce. Se il pollo ha le zampe, dov’è la testa? Mi stendo sulle mattonelle fredde, alzo le gambe, osservo le mie ossa. La gente scompare. Sono troppo piccola per cronometrare il tempo, e rendermi conto che è passato del tempo, dall’ultima volta. Mia madre, mio padre, mio nonno, e mia nonna, parlano sottovoce. Quando sarò grande, cercherò dei veri polli, e parlerò ad alta voce. Pronuncerò con esattezza, le parole per dire, sottovoce, cose che non devo sapere. Cosa è successo alla bisnonna?

Ogni mese andavamo a trovare la bisnonna. Poi, non siamo più andati a trovare la bisnonna. Non so dove sia andata. Come lei, anche il suo nome è scomparso. Mi manca il tragitto verso la casa della bisnonna. Guarda, dice la mamma, lassù, sopra la casa della bisnonna, è l’ospedale dove sei nata. Un edificio bianco ospedale, in mezzo a edifici grigio Istanbul. Quando sei nata, pioveva.

Mia madre sdraiata nel letto d’ospedale, bianco, fuori le case grigie, e la pioggia. Cosa devo avere pensato, appena nata? Mi immagino sola, vicino alla finestra, dentro una vaschetta di plastica.

La mattina imparo l’alfabeto sul giornale democratico Cumhuriyet. È l’unico giornale in Turchia senza colori e fotografie. Solo il titolo del giornale è rosso. Il sabato compriamo i giornali colorati, e leggiamo la cronaca.

«Moglie uccide marito con 27 coltellate e butta il corpo dal balcone sopra la tenda del fruttivendolo – Il fruttivendolo commenta “non ne sono contento”».

Mamma, dimmi poi, cosa succede al marito? Chissà se dopo essere scivolato dalla tenda si è rifatto una vita? Posso leggere solo il titolo delle notizie, sono lettere grandi, le lettere piccole, dice mia madre, fanno male agli occhi. La mia bisnonna stava sempre seduta vicino alla stufetta, magari è ancora lì, che mi aspetta.

Non sai mai quando può caderti un marito accoltellato in testa.

Dice mia madre.

E così, salto sempre la ricreazione. Ho paura di farmi spiaccicare a terra mentre corrono tutti fuori da quell’unica porta, tanto stretta.

“Correte, correte, venite a vedere!”, grida Mustafa.

Quel giorno. Titubante guardo la maestra. Allora mi alzo, sistemo il grembiule nero, e seguo Mustafa dietro il cortile. Il bianco delle ossa trovate sepolte.

Ne siamo sicuri è stato il bidello.

Ci stringiamo in cerchio, prendo la mano della bambina bionda, accecata dal sole. Non avevo mai visto delle ossa prima. Non così tonde, grosse, bianche e con rotule uguali alle mie.

Il bidello deve avere portato qui il corpo della moglie dopo averla uccisa. Ho visto solo petti di pollo uccisi. Da qualche parte, la loro testa cammina con le zampe. I bambini corrono via dispersi, annoiati dalla scoperta.

Mi ritrovo con la mano sudata della bambina bionda nella mia mano, forse siamo amiche, ora. Le stringo il polso, come a sentire sotto il grasso infantile della sua pelle, il corpo solido dello scheletro, la immagino senza le sue ossa, morbida come il petto di pollo, le ossa della mia bisnonna, che si sono staccate dalla sua pelle, e ora sono da qualche parte un cumulo bianco senza i suoi occhi. Sono solo ossa penso, non so che nome dare allo svanire della carne. Sono solo le ossa di uno dei cani randagi di Istanbul.