In una canzone del 1959 intitolata 16 Reasons, Connie Stevens elenca sedici ragioni per cui ama il suo ragazzo. Nel 2017 la liceale Hannah Baker, protagonista della serie Netflix Tredici (13 Reasons Why), registra tredici cassette in cui spiega le ragioni del suo suicidio. Destinatari di questi tape sono tredici persone, tredici “colpevoli” designati da Hannah, che dovranno ascoltare i nastri e passarli al protagonista della cassetta. Quando i nastri giungono nelle mani di Clay Jensen, il classico ragazzo della porta accanto innamorato della ragazza defunta, il giro delle cassette ha una battuta d’arresto. Ascolto dopo ascolto cresce in Clay la volontà di intraprendere una personale indagine sulle motivazioni profonde della ragazza, nel tentativo di risvegliare le coscienze non solo dei suoi coetanei, ma di un’intera comunità.

Da sempre l’America è ossessionata dal microcosmo liceale, laboratorio socio-politico in cui si pre-selezionano i membri della nazione che verrà. Gerarchie, rapporti di forza, differenze economiche si manifestano con maggior enfasi in un contesto in cui la prevaricazione viene spacciata per sana competizione. Il bullismo diventa così una prassi, una forca caudina da cui tutti devono passare e che in fondo tutti assecondano per non essere estromessi da un gioco che premia più i campioni di basket che gli studenti preparati.
Si rivedono così le consuete categorie antropologiche già viste nei vari Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek, Veronica Mars: abbiamo il bello, la cheerleader, la maledetta, il primo della classe, il bullo, l’emarginato, e tutta la ben nota carrellata di figure che popolano il piccolo inferno scolastico. La differenza tra 13 e i modelli a cui si ispira sta nel modo in cui questi personaggi vengono trattati. La loro caratterizzazione si limita a una serie di tratti essenziali, quanto basta allo spettatore per immedesimarsi senza prendere nettamente le posizioni di qualcuno, se non dell’immacolato Clay Jensen. Del resto non si tratta, come nel caso di Veronica Mars, di una detective story travestita da teen drama. Qui non c’è un caso di omicidio irrisolto, ma di un suicidio per cui tutti i personaggi condividono una parte di colpa.

La serie uscita per Netflix a fine marzo ha ottenuto fin da subito un’enorme popolarità, tanto da essere diventata la serie più twittata del 2017. Il fenomeno non può essere spiegabile dal semplice fatto che a produrre lo show ci sia la regina di Instagram Selena Gomez, ma che il programma ha da subito sviluppato attorno a sé uno sciame di conversazioni sui protagonisti, esattamente come accade nella trama dello show.

Reputazione

Nell’epoca dei social e della ricerca spasmodica del like, 13 racconta il lato oscuro di questo meccanismo, in un ambiente iper-ricettivo come quello di un liceo americano, dove i ragazzi sperimentano la crudeltà del gioco – che non li abbandonerà più – della reputazione e della popolarità. La protagonista Hannah sarà ben presto preda di una rete di false notizie – fake news? – che si diffondono per i corridoi alla velocità del retweet, trascinando la giovane in un incubo privato dove recuperare la propria identità diventa un’impresa impossibile. La serie rappresenta in modo efficace questo effetto domino, in un continuo ottovolante di emozioni provate dai protagonisti, e lo fa senza concentrarsi troppo sull’aspetto dei social media e della loro rapidità, bensì sull’impossibilità di un fact checking delle informazioni in circolazione.

Tredici cassette

Parte del fascino della serie risiede nella scelta anacronistica della protagonista di affidare la sua versione dei fatti a 13 cassette da ascoltare in un mangianastri. Questo espediente è uno degli elementi ripresi fedelmente dall’omonimo romanzo di Jay Asher da cui è tratta la serie televisiva. I capitoli, esattamente come le puntate, riprendono il numero e il lato del nastro, in una sequenzialità fredda e seducente, che trascina lo spettatore all’interno della vicenda, in un’atmosfera intima, quasi fosse uno dei destinatari delle confessioni di Hannah. Il segreto della ragazza si dipana lento con lo scorrere del nastro, in un continuo alternarsi di flashback: la fotografia riveste qui una funzione semantica, sottolineando con una luce calda e accogliente il racconto di Hannah e virando su tinte più fredde quando si torna al presente, mostrando impietosa i volti scavati dalla tensione e pieni di ombre.

La tragica morte di Hannah getta la comunità in uno stato confusionale, innescando un processo di erosione di valori dati per scontati. Ogni istituzione è messa in crisi, dalla scuola alla famiglia, come se l’improvvisa scomparsa di Hannah avesse illuminato le deformità di tutto un sistema. Tornano alla mente le atmosfere di Twin Peaks e di una certa ragazza fatale, che trascina nella sua dannazione tutto un paese con le sue colpe. Vintage come le cassette è anche la colonna sonora, piena di rimandi agli anni 80 dark dei Joy Division e del cantante Ian Curtis – morto anche lui suicida – con alcuni echi degli irrisolti anni 90, tra musicisti dai capelli ossigenati e Mustang che corrono coi finestrini abbassati come in un video degli Smashing Pumpkins.

Questo episodio contiene scene di violenza

Tredici sarà anche un teen drama, ma per crudezza di immagini non è secondo a nessun Game of Thrones, The Walking Dead o Black Mirror. Nel prosieguo degli episodi la serie intraprende un’oscura via crucis dove a ogni tappa corrisponde un’accusa più grave da parte di Hannah e di conseguenza sequenze sempre più forti nei contenuti. Cominciano così a comparire avvisi per lo spettatore – “The following episode contains scenes that some viewers may find disturbing”, – e alcune scelte di copione, come quella di rappresentare integralmente Il suicidio di Hannah, hanno destato non poche polemiche tra il pubblico americano. Di certo questa scelta ridefinisce Tredici come serie non solo volta all’intrattenimento, ma anche a veicolare un messaggio di tipo politico, attraverso un linguaggio visivo non edulcorato. Le premesse di un consolante seppur malinconico show per teenager sono ben presto disattese, presentando un racconto sull’adolescenza che non fa sconti allo spettatore.