Gli oggetti incastrati nei fondali e che rimangono sommersi per anni sono infiniti, come quelle band degli anni passati che proponevano un sound originale e sembravano destinate a un duraturo successo, e che invece non hanno saputo seguire la corrente giusta e si sono inabissate.
Capita però che qualche risacca restituisca i relitti con i loro tesori, gemme nascoste. La nuova rubrica musicale vuole essere questo: un moto ondoso che scuota i fondali, riesumando album e artisti che meritano un posto d’onore nella nostra collezione di dischi.
Riccardo Fumagalli ci porta negli anni 90, decennio segnato dal grunge di Seattle e dal Brit Rock, rintracciando quei gruppi che avrebbero meritato più spazio e ossigeno.

Quando nel 2004 i Beta Band hanno annunciato a sorpresa il loro scioglimento ho avvertito un forte senso di colpa. La loro motivazione, così come era descritta sul giornale da cui ho appreso la notizia, era un mancato successo commerciale, e un invisibile dito d’accusa sembrava puntare proprio sui cd masterizzati che avevo ottenuto sottobanco.
In realtà la chiusura di questo capitolo musicale è stato molto più rocambolesco e affonda le sue radici nell’instabilità mentale ed emotiva del cantante che, preso in un turbine di psicofarmaci, ha trascinato con sé la band nell’oblio lasciando oltre un milione di debito con la casa discografica EMI.
Avevo conosciuto il gruppo grazie ad Alta Fedeltà, il famoso romanzo di Nick Hornby. Championship Vinyl, un immaginario e iconico negozio di dischi londinese, è un tempio e Rob Fleming – il suo proprietario, nerd musicale all’ennesima potenza – è il sacerdote che  amministra il Verbo ai suoi discepoli. In un momento di insolito affollamento scommette con un suo dipendente di riuscire a vendere cinque copie di The Three EP’s dei Beta Band, mette su Dry the Rain e osserva compiaciuto le reazioni. La scena è anche ripresa nel film tratto dal libro.
Rob quella volta ha fatto colpo anche su di me, incuriosito ho messo mano su quel disco e ne sono rimasto incantato.
Il gruppo sfuggiva ad ogni facile definizione. Britannici – scozzesi per la precisione – ma non avevano molto in comune con Blur e Oasis, il loro sound richiamava i cugini d’oltre oceano, sovrapponevano un’estetica indie-folk a suoni elettronici, campionamenti e strumenti a fiato, il tutto guidato da una ritmica funky con frequenti strizzate d’occhio al hip-hop.

The-Beta-Band-Champion-Versions

 

Un mix originale e inconfondibile, difficilmente adatto al suo tempo e che ha traghettato la formazione nel nuovo millennio lasciando a loro insaputa una forte impronta musicale.
Come il nome lascia intuire, The Three EP’s non è un vero e proprio album ma semplicemente i primi tre EP pubblicati in un solo disco. Il primo disco LP, chiamato semplicemente The Beta Band probabilmente per un esaurimento di creatività, presenta con maggiore coraggio e polso fermo un’attitudine per la sperimentazione, il collage di suoni e l’appassionata ricerca di strutture di canzone anomale e sorprendenti.
A questo punto arriva la breve ma incisiva comparsa nel film di Alta Fedeltà e la conseguente notorietà internazionale. Dopo aver registrato il secondo disco, l’orecchiabile Hot Shots II, partono per un lungo tour dove fanno anche da spalla ai Radiohead, con cui condividevano il gusto per un suono atipico e l’allergia ad una univoca definizione, di certo non la fama.
Da questo contatto con la band di Oxford hanno però guadagnato un elemento prezioso: Nigel Godrich, il produttore dal tocco di Re Mida, colui che sta ai Radiohead come George Martin sta ai Beatles. Andate a vedere la sua discografia per farvi un’idea.
Da questa collaborazione nasce Heroes to Zeroes, il capitolo conclusivo, nonché capolavoro, dei Beta Band. Le sperimentazioni si solidificano e si fanno più spontanee, pur senza mai scadere nel ritornello facile, i suoni rendono l’opera senza tempo, il testamento definitivo di una band mai abbastanza apprezzata.
Ci lasciano con questo pezzo, trainato da una chitarra insistente e impreziosito da un minuzioso lavoro di voci, che prende fiato sul ritornello per poi riservarci una sorpresa.
Se i loro quattro album non vi bastano e ne volete di più potete esplorare le carriere soliste dei vari membri.
Il cantante Steve Mason, ritornato a far musica dopo aver a lungo e ripetutamente flirtato col suicidio, ha appena pubblicato il suo terzo album solista (o il quarto, se si considera anche quello pubblicato con lo strano nome di King Biscuit Time).
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Gordon Anderson, costretto a lasciare la band ai suoi albori per ragioni di salute, si è ritirato nella natia Scozia a fare folk sotto il nome di Lone Pigeon. Insieme ad altri due membri della band ha formato la band The Aliens, che ha all’attivo due album non troppo sorprendenti.