La musica di ottobre della ciurma è introspettiva, ipnotica, elettronica e acustica. Fa eco al funky pop degli anni Ottanta e propone ritorni in scena storici e inaspettati.

Leonard CohenYou want it darker [Columbia/2016] (Davide Saini)

82 anni e non sentirli? Neanche per sogno. Cohen i suoi anni li sente tutti e continua a produrre musica che cambia, si trasforma, invecchia. Una storia da leggenda della musica, poeta, scrittore, cantautore. Il più tradizionale dei cantautori potremmo dire, il che non vuol certo dire che non sia “impegnato” o che non si cali nella realtà. Insomma, uno che ha fatto un sacco di cose (compresa una breve storia d’amore con Janis Joplin) è stato un depresso cronico, un monaco buddista, un ebreo osservante, e che da ognuna di esse ha tratto degli insegnamenti che si sono riversati nella sua musica. In questo piovoso ottobre, dopo almeno 10 anni che si fanno concerti in suo onore e che si aspetta di vederlo sdraiato in una bara, Leonard se ne esce con un album tutto nuovo! E, diamine, ha ancora molto da dire, tanto sulla nostra vita quanto sulla morte. Non cercate allegria o svago in queste canzoni, è un capolavoro tetro, introspettivo e spirituale. Ad esempio basti l’omonimo singolo You want it darker con i suoi cori, il suo minaccioso giro di basso e la voce bassa e roca che non lascia alcuna via d’uscita.

 

Nicolas Jaar – Sirens [Other People/2016] (Massimo Cotugno)

Segnali radio persi nel vuoto, note di pianoforte che accendono il buio. La musica di Nicolas Jaar disegna un’architettura rarefatta, in bilico tra futuro cibernetico e mistica sudamericana. L’album del ragazzo terribile dell’elettronica – stavolta più vicino alle sonorità di James Blake – somiglia a un unico viaggio da vivere senza pause, ipnotico come una corsa in macchina nel deserto. Non badare alle strane figure mascherate illuminate dai fari, immobili ai bordi della strada. Ti augurano solo buon viaggio.

 

Bon Iver – 22, A Million [Jagjaguwar/2016] (Michele Turazzi)

Le aspettative per il nuovo album targato Bon Iver erano talmente alte che Justin Vernon non sarebbe mai riuscito ad accontentare tutti, nemmeno se avesse fatto uscire in contemporanea decine di dischi diversi. Bisogna ammettere che non era affatto semplice dare un seguito a quel capolavoro intimista che è Bon Iver, Bon Iver, e che i cinque anni trascorsi tra un lavoro e l’altro invece di abbassare le attese, le hanno portate al parossismo. La scelta effettuata da Vernon è stata semplice, ma non scontata: alzare l’asticella evitando in ogni modo un remake dell’album precedente. E allora via libera a voci (sovra)effettate, elettronica e un mix sensuale e malinconico di ambient e blues. È un album sofisticato e cerebrale che ha però il raro pregio di farsi ascoltare con immediatezza. L’unico dubbio che sorge a cd terminato è: sotto il misticismo, sotto l’abilità tecnica, sotto l’apparente perfezione che tutto ammanta, c’è anche un cuore?

 

Kaiser Chiefs – Stay together [Caroline records/2016] (Giacomo Raccis)

Premessa: non sono più i tempi dell’epica di Ruby o dei ritmi sovversivi Everyday I love you less and less, ma con Stay together i buoni vecchi Kaiser Chiefs ci offrono un album che è il concentrato della direzione che ha preso certo rock di marca inglese. Molta più pop music, una virata forte verso sonorità in stile The Killers, lustrini elettronici in quantità, come in Parachutes o nel singolo Hole in my soul. Eppure qualche spunto più urban lo si trova, come in Good clean fun, dove affiora anche un piacevole ritmo funky, o in Indoor firework, dove si notano richiamo alla pop anni Ottanta (stile Bronski beat). Aggrappiamoci a questi spunti, allora, e speriamo che i quattro tifosi del Leeds United trovino finalmente la loro definitiva dimensione.

 

 

Jack White – Acoustic Recordings 1998-2006 [Third Man, Columbia Records/2016] (Alessandra Scotto di Santolo)

Vi chiederete cosa c’è di nuovo in questa collezione di registrazioni acustiche di quasi tutte le canzoni scritte da Jack White dal 1998, ai tempi dei White Stripes e dei The Racounters così come quelli da solista, fino ad oggi. La novità sta in un White che si spoglia degli artifici socio-culturali che lo portarono a vestirsi sempre degli stessi colori e a fingere che la sua ex moglie – Meg White – fosse sua sorella, e nella proposta di un ascolto finalmente senza fronzoli. Le canzoni, eseguite in ordine cronologico di produzione e su due dischi, fanno pensare ad un Jack molto più umile dell’auto-mitizzato dio della chitarra che era con Meg e i tre amici di Detroit, senza togliere all’orecchio il ritratto vivido della sua evoluzione artistica nell’arco di 18 anni. Non vi aspettate la semplicità del cantautore seduto su uno sgabello, chitarra alla mano e microfono davanti, che vedete nella foto di copertina, ma dimenticatevi del tutto delle sue vecchie chitarre elettriche.

 

 

Pretenders – Alone [BMG Rights Management/2016] (Riccardo Fumagalli)

Dopo aver sentito il singolo Holy Commotion sono andato a cercare questi Pretenders su google. Certo non possono essere quelli di I’ll Stand By You – pensavo – e poi siamo sicuri che sia legale fare un gruppo che si chiama come un altro famoso di trent’anni fa? O forse è lo stesso gruppo ma gli originali musicisti sono stati rimpiazzati dai figli? Invece no sono proprio loro, lineup aggiornata ma sempre capitanati da quella panterona di Chrissie Hynde che, ormai sessantacinquenne, si conferma una delle migliori voci del rock: vellutata ed espressiva. La freschezza del suono è opera del suo compaesano Dan Auerbach, noto per il gruppo che ha portato il rock agli hipster e viceversa: The Black Keys. Un album non rivoluzionario, magari non all’altezza delle altre uscite di over-50 che abbiamo visto quest’anno, ma sicuramente musica di grande qualità che, grazie alla produzione di Auerbach, perde il suono polveroso da Buscadero che mi sarei aspettato in favore di qualcosa di più fresco e ascoltabile.

 

 

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