È uscito in sala il 29 Settembre il film Indivisibili, regia di Edoardo De Angelis, presentato fuori concorso alla 73° Mostra del Cinema di Venezia. Tre giorni prima l’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali) aveva dichiarato che sarebbe stato Fuocoammare di Gianfranco Rosi a rappresentare l’Italia agli Oscar e Paolo Sorrentino, pur membro della stessa commissione esaminatrice, aveva espresso tutte le sue perplessità a proposito della scelta. Fuocoammare, che racconta una Lampedusa divisa fra nativi e migranti, è infatti un documentario e avrebbe potuto concorrere agli Oscar nella specifica categoria, lasciando spazio anche a un’opera di finzione: l’Italia avrebbe così avuto la possibilità di farsi notare con ben due pellicole agli Academy Awards. E Sorrentino, ultimo autore ad averci regalato l’ambita statuetta nel 2014, avrebbe scelto proprio l’ultimo film di Edoardo De Angelis.
Come La Grande Bellezza dipinge una Roma malata, sordida, stanca eppure magnifica nella sua imperiale maestosità, così Indivisibili, seppur ambientato in un periferico Castel Volturno, ci rimanda subito al folklore, al bigottismo e alla corruzione tipicamente partenopea: tratti stereotipati di un’Italia da Sopranos che la giuria americana tende ad apprezzare.

Il film narra di due gemelle siamesi disumanamente trasformate dai genitori in una macchina da soldi: come fenomeni da baraccone cantano alle feste dei ricchi, dei poveri e pure a quelle dei santi. Convinte fino alla maggiore età da famiglia e medici del loro essere “indivisibili”, le due ragazze entrano in crisi non appena scoprono, grazie a un chirurgo svizzero, che potrebbero separarsi senza rischi e condurre un’esistenza normale. Il film racconta delle battaglie che le protagoniste combattono per ottenere un’autonomia fisica e psicologica cui prima non avevano neppure pensato, ma che diviene improvvisamente – in particolare per una delle due – una prospettiva irrinunciabile.
Di certo, entrando in sala intrigati dalle dichiarazioni di Sorrentino e da una trama piuttosto originale, le aspettative sono molto alte ed è per questo che i difetti dell’operazione del giovane regista napoletano Edoardo De Angelis – giunto con questo film alla sua terza prova, dopo un audace Mozzarella Stories ed un sorprendente Perez – si fanno più evidenti. Ma andiamo con ordine.
Ottima l’idea e interessante la scelta di caratterizzazione agli antipodi delle due protagoniste, che assume – e non deve passare inosservato – significati metaforici di una certa pregnanza: non solo due anime imprigionate in un unico corpo in perenne e obbligata comunicazione, ma anche due emisferi dello stesso cervello (Dasy istintiva e passionale, Viola riservata e razionale), due voci dal timbro simile eppure portatrici di verità completamente differenti, diametralmente opposte, come a confermarci che oltre alla genetica e ai condizionamenti esterni, identici per entrambe per forza di cose, ci deve anche essere una qualche spinta soprannaturale che spinge gli individui a diventare quello che sono, (in)divisibili e irripetibili. Un punto di partenza folgorante quindi, ma uno svolgimento del tema un po’ fiacco, ripetitivo e confuso, senza una direzione chiara né nella scrittura né nella regia, come reso evidente dalla presenza di tre finali in sequenza che ci portano progressivamente verso una chiusa buonista che non può che impoverire l’opera. Il film, già troppo carico di dialoghi e spiegazioni inutili, si perde in superflue citazioni cinematografiche, come quelle tratte da Freaks di Tod Browning, a cui si devono i nomi delle protagoniste e la scena meno risolta del film, sorrentiniana e felliniana insieme: l’orgia sulla barca del presunto agente Marco Ferreri, nome che è ulteriore citazione del regista de La Donna Scimmia.

Tanti spunti insomma, ma poca comunicazione; i personaggi rimangono bidimensionali, non hanno un’evoluzione, e anche quando si offrono dei percorsi narrativi interessanti, questi vengono lasciati cadere ingenuamente senza approfondimento alcuno. Per esempio la ludopatia del padre, interpretato da Massimiliano Rossi. Quest’ultimo ci regala un’ottima prova interpretativa, oltreché un primo piano già di suo evocativo di sofferenza; al suo fianco Antonia Truppo, la madre, reduce della vittoria ai David di Donatello, si riconferma un’interprete eccezionale. Le due ragazze, le sorelle Fontana, considerata la difficoltà del ruolo d’esordio, sono sicuramente da tenere d’occhio e le poche incertezze vanno loro perdonate.
Forse la scelta giusta sarebbe stata far concorrere Fuocoammare nella sezione dei documentari, ma di certo Indivisibili non era la pellicola adatta a rappresentare l’Italia agli Oscar. Che fosse invece Suburra di Stefano Sollima, tra le sette proposte dell’ANICA, il film più risolto e adatto ad una competizione internazionale?