«Verso le nove di una giornata di fine novembre il treno della ferrovia Pietroburgo-Varsavia si avvicinava a Pietroburgo. La giornata era talmente umida e nebbiosa che i passeggeri con grande difficoltà riuscivano a distinguere qualche cosa dai finestrini».

Così comincia L’idiota di Dostojevski, libro che Pasolini trova sulle tipiche bancarelle parigine, fatte attrezzare da Arnaldo Nanni sotto il portico della morte a Bologna, dove era tornato nel 1937 per frequentare la quinta ginnasio del liceo Galvani. Il portico della morte è il ricordo più bello di Pasolini, non solo perché si ricorda del libro di Dostojevski e del Macbeth di Shakespeare, ma più in generale dei libri letti a quindici anni, nella consapevolezza che non avrebbe più letto con la gioia con cui leggeva a quella età.

Il romanzo di Dostojevski comincia con un treno che a tutto vapore sta arrivando nella stazione della città russa. Questo incipit non poteva non colpire il giovane Pasolini, che fin da piccolo aveva una irrefrenabile passione per i treni. Treni che diventeranno i protagonisti inconsapevoli dei momenti più importanti della sua vita.

Sarà proprio un treno avvolto nella nebbia che porterà Pasolini e la madre via da Sacile verso Roma, nel gennaio del 1950. Quel treno chiude per sempre la stagione più bella di Pier Paolo, quella della giovinezza nelle terre edeniche friulane. Il passaggio dal Friuli alla Capitale cambierà anche la sua poesia che dal surrealismo idilliaco delle Poesie a Casarsa passerà alla poesia civile delle Ceneri di Gramsci. Quel treno di sola andata lo fa completamente immergere nella storia, fino a quel momento tenuta a distanza dal mito panico di un Friuli incontaminato. Da un’idea di totale assenza della storia, per un tempo fondato sull’eternità del presente, si passa ad una concezione diacronica del tempo storico che lo catapulta all’interno del flusso delle vicende storiche. Quella partenza era stata imposta con prepotenza da un fatto avvenuto nel 1949, quando Pasolini era stato trovato con due giovani in atteggiamenti equivoci su un prato a Ramuscello.

Ma c’è un altro treno, forse ancora più importante, che ha segnato la vita di Pier Paolo: quello preso dall’amato fratello Guido, nato tre anni dopo il poeta. In un giorno estivo Pasolini vede partire il fratello per la Carnia, dove si sarebbe unito alla Brigata Osoppo comandata da Francesco De Gregori. Prima di partire Pier Paolo gli aveva messo in mano una copia delle Occasioni di Eugenio Montale, uno dei poeti più amati insieme a Giuseppe Ungaretti, nascondendoci dentro una pistola. Mentre il treno si allontanava lentamente dalla stazione, Pasolini viveva in sé lo struggimento psichico e fisico per non aver avuto il coraggio di prendere parte alla Resistenza, rimanendone estraneo, un suo figlio illegittimo. In una poesia per l’anniversario dei dieci anni della morte del fratello, Pasolini come Orfeo tenta di invertire il tempo e far voltare Guido, per riportarlo ai suoi doveri di figlio e studente, ma del tutto vanamente:

 

Porzûs, lacrima dai crinali,
scuoti i rari rami,
oscura il bagliore della neve.
Un anno fa eri uguale,
ora noi ti calpestiamo
e tu non senti che il cielo?
Nell’anniversario non sei
che neve e silenzio?
Don Candido mormora pregando,
duemila uomini tacciono
nel mortale candore dei monti.
(Ecco sulla porta Enea,
Bolla, i mitra appoggiati…
Ecco la china
per dove quel giorno
egli saliva…)
No, Guido, non salire!…
Non ricordi più il tuo nome?
Ermes, ritorna indietro,
davanti c’è Porzûs contro il cielo,
ma voltati, e alle tue spalle
vedrai la pianura tiepida di luci,
tua madre lieta, i tuoi libri…
Ah, Ermes, non salire,
spezza i passi che ti portano in alto,
a Musi è la via del ritorno,
a Porzûs non c’è che azzurro.

 

Questo senso di alterità accompagnerà Pasolini per tutta la sua vita. Questa colpa si farà ancora più concreta dopo la morte del fratello a Porzüs e poi a Roma, prima nel modesto appartamento a Ponte Mamolo poi in quello più borghese all’Eur, quando sorprenderà più di una volta la madre in lacrime con gli occhi persi nel vuoto, oltre la finestra, verso il cielo. La morte del fratello segnerà tutta la vita e l’opera di Pasolini, come dimostra una lettera dai toni struggenti scritta dal poeta all’amico Franco Farolfi, dove gli parla della forza opprimente del fantasma del fratello che lo rende quasi impotente. Guido tornerà come mito sotto le molteplici fattezze romanzesche dei giovanetti morti, penso a Genesio in Ragazzi di vita e Eligio in Sogno di una cosa. Dalla morte del fratello l’opera di Pasolini sarà caratterizzata dalla fusione allegorica e dalla variante di due racconti primari: la cacciata dall’Eden (Genesi 3, 6-19) e il sacrificio di Isacco (Genesi 22).

Il fantasma del fratello Guido aleggia in tutte le pagine del Diario segreto di Pasolini, graphic novel scritta da Elettra Stamboulis con le illustrazioni di Gianluca Costantini per BeccoGiallo. In questo romanzo di formazione la morte è la vera protagonista: fin dalle prime pagine Pasolini scrive che morirà come tutti gli uomini, anzi, come poi capirà meglio con la lettura di Freud trovato sempre sulle bancarelle parigine della libreria Nanni al portico della morte, nascere è già un po’ come morire. Se all’inizio la sua nascita è accompagnata dalla morte, nelle ultime pagine si sofferma sul fratello Guido, scrivendo che la morte del fratello è l’ultimo capitolo di quel pulviscolo d’oro che è stata la sua giovinezza. Del resto il nome di battaglia di Guido era Ermes, in memoria dell’amico dei Pasolini Ermes Parini, Paria per Pier Paolo, morto nella campagna di russa. Fin nel nome di battaglia scelto dal fratello viene evocata la morte.

Con la sua morte Guido porta con sé un’intera stagione, caratterizzata dall’amicizia intellettuale e spirituale tra Pier Paolo, Luciano Serra, Franco Farolfi, Agostino Bignardi, Sergio Telmon e Carlo Manzoni. Con quest’ultimo, insieme a Paria, Pasolini recitava commedie e tragedie in casa. Con la morte di Paria e poi di Guido il sipario si chiude definitivamente, venendo a mancare quella pura luce che avrebbe dovuto guidare l’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Quella luce che Pasolini, uomo dell’ombra, canta antiteticamente parlando del fratello

 

Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce…
quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile…
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.

 

Il fatto di Ramuscello fu solo una causa occasionale, quel treno partito da Sacile era già da anni nel destino di Pasolini, mentre si allontanava Pier Paolo sapeva che avrebbe lasciato dietro di sé un intero periodo, quello più bello della sua vita, flagellato dalla guerra.

Ma con un ribaltamento ossimorico, degno del miglior Pasolini, in queste pagine è presente anche la vita, in tutta la pienezza. In particolar modo nel racconto dei pomeriggi spesi a giocare a calcio sui suoi amati prati. Sarà proprio durante una di queste partitelle che la vista dell’incavo delle ginocchia degli altri ragazzi sconvolgerà il giovane Pier Paolo, che nelle pagine della Stamboulis e di Costantini si perde e si interroga sui propri desideri e soprattutto sulle proprie paure.

Oppure nei libri del suo amato Salgari, che lo porta in mondi esotici pieni di avventura, ma soprattutto descrive il mar dei Caraibi che diventa simbolo del liquido amniotico in cui tornare. Anche nella scoperta del dialetto friulano grazie alla misteriosa e fantastica parola ROSADA, a cui offre il segno grafico dopo essere stato ipnotizzato dal suo suono.

Federico Fellini in un sogno ha riassunto questa dicotomia tra vita e morte nella personalità di Pasolini. Eccolo che in uno scenario onirico il poeta gentile, simpatico e pieno di volontà canta su di un bel motivo tratto dal Trovatore: «è la vita anche la morte».

Con un formato da quaderno a righe e una scrittura in corsivo da bambino di terza elementare, la Stamboulis realizza una registrazione sentimentale di Pier Paolo Pasolini prima di diventare Pasolini. Ne viene fuori un lungo viaggio attraverso i sentimenti e l’anima del piccolo Pier Paolo, bambino molto timido e ipersensibile che cerca di capire cosa significa crescere. Vera e propria geografia dei sentimenti, in cui il lettore potrà viaggiare liberamente a vele spiegate.


diario segretoE. Stamboulis, G. Costantini, Diario segreto di Pasolini, BeccoGiallo 2015, pp. 205, ill., 17,50€