Quest’anno la presenza di supereroi al cinema raggiungerà livelli insostenibili, ricordando da vicino un’autentica invasione. Nel 2016 vedremo team-up (X-Men: Apocalypse e Suicide Squad) e scontri fratricidi (Captain America: Civil War), in un tripudio di tute, mondi al collasso e CG a buon mercato.
Gli sfortunati registi assoldati per dirigere queste macchine da guerra finiscono spesso per essere ridotti a dei project manager, impegnati nell’infame compito di tenere tutto insieme: l’attesa dei fan, la trama, un minutaggio decente per ciascun eroe e, se si è proprio bravi, anche un livello accettabile di qualità del prodotto finale.

Ad aprire i giochi ci ha pensato l’ultimo film di Zack Snyder, Batman V Superman, di certo il più ambizioso tra quelli in programmazione.  Il regista di Watchmen e Man of Steel sembra ormai legato indissolubilmente al tema dei supereroi. Del resto la sua è un’estetica che ben si adatta al fumetto, contraddistinta dall’immancabile assortimento di monumentali bullet time e da una fotografia innaturale. Snyder è forse l’unico regista rimasto il cui apporto non scompare del tutto dietro l’ingombrante franchising supereroico. Di recente, prima di lui solo Burton, Raimi e Nolan sono riusciti in quest’impresa, conferendo a prodotti da blockbuster una certa impronta stilistica. Il paragone con registi di questo calibro, sebbene azzardato alla luce dei risultati, è da ricercare nel senso del progetto. Diversamente da quanto accade negli ultimi film della Marvel, in cui il contributo registico è volutamente ininfluente – tranne forse nel caso di Josh Whedon in The Avengers – nei lavori di Snyder persiste una parvenza di volontà autoriale, quasi una poetica, sebbene confusa e non del tutto originale. I suoi supereroi tentano di affrancarsi da una bidimensionalità da fumetto, seguendo la lezione di Christopher Nolan, che non a caso è produttore di uno dei suoi ultimi film e che forse ha intuito le buone intenzioni del collega. Anche in quest’ultimo lavoro ritmi ed estetica sono presi in prestito dai videogiochi di ultima generazione – con quanto di buono o cattivo possa portare questa scelta – e l’immagine subisce una progressiva saturazione, a sottolineare una ricercata teatralità dell’azione, al limite del videoclip. Tutto questo ovviamente non può bastare a definire Snyder un artista, ma aiuta a comprendere la scelta della DC di affidare a un regista “con una visione” il suo rilancio cinematografico, che trova in Batman V Superman, solo l’inizio di un – ahinoi – lungo filone di film sulla mitica Justice League.

La storia recupera alcuni temi sviluppati del genio dei fumetti Frank Miller, in particolare la caratterizzazione di Batman come oscuro vigilante. Il difensore di Gotham, dopo essere stato testimone delle devastazioni di Metropolis per mano di Superman e del suo nemico, il general Zod, ritiene l’alieno di Krypton più una minaccia che una salvezza per il pianeta. Tra sogni premonitori e fatti di cronaca, questa convinzione si fa sempre più radicata nell’Uomo Pipistrello, tanto da condurlo al furto di un enorme quantitativo di kryptonite, sostanza notoriamente letale per l’Uomo d’Acciaio. Nel frattempo Superman deve affrontare un processo pubblico per i danni causati dalle sue stesse imprese e comincia a riflettere su quale sia il suo vero ruolo sulla Terra. Ad accelerare il conflitto e a condurlo al suo drammatico epilogo ci penserà il giovane Lex Luthor, desideroso di vedere un dio inginocchiarsi al suo cospetto.

Di Dio e degli Uomini

La DC non è nuova alla riflessione sui pericoli dei superpoteri. L’esempio più interessante è rappresentato dalla serie The Boys scritta dall’imprevedibile Garth Ennis, già padre del leggendario Preacher. In questo fumetto i supereroi vengono ritratti come rozzi e prepotenti, incapaci di gestire il loro poteri e per questo potenzialmente più pericolosi di qualunque arma. A capo di essi vi è il Patriota, somigliante in tutto e per tutto a Superman.
Nella pellicola di Snyder, il kryptoniano non è di certo descritto come un mostro squilibrato, ma viene sottolineato il suo essere altro dall’umano, in una parola alieno. Per quanto si sforzi di comprendere i sentimenti e i bisogni dei terrestri, l’Uomo d’Acciaio sembra non riuscire a colmare la distanza tra lui e il mondo, come gli eroi della tragedia greca. Alcune trovate sceniche che sottolineano l’aura sovrannaturale e quasi messianica di Superman in veri e propri tableaux vivants non riescono però a sviluppare quella che poteva essere la vera chiave del film, ridotta invece a mero pretesto per scatenare il conflitto.

Il vigilante fuori controllo vs il “ragazzone”

Batman è forse il cavaliere più oscuro che si sia mai visto. Vecchio e taurino, l’eroe di Gotham City si è visto riflesso nel ghigno folle del Jocker e da tempo adotta le maniere forti per portare avanti la sua personale visione della giustizia. Dimenticate il Batman hi-tech di Nolan, quello di Snyder imbraccia il fucile e sferra pugni da pugile. Per quanto impalpabile, l’interpretazione “in levare” di Ben Affleck ben si adatta a un giustiziere della notte volutamente sbozzato, spigoloso, quasi più vicino al Batman dei videogame che a quello dei fumetti. Se l’uomo pipistrello è la nota più originale del film, Superman si conferma personaggio impossibile da sviluppare. Nemmeno questa volta riesce a ottenere una tridimensionalità, al di là di un’accennata quanto improbabile aura malvagia – mostrata tra l’altro in una parentesi onirica della storia. Lo stesso Snyder parla di Superman nelle interviste come del “ragazzone”: personaggio positivo quanto scontato.

Assenza di un mondo

Batman V Superman, per molti aspetti, era un’impresa destinata all’insuccesso. Troppo facile accanirsi sui numerosi difetti di questa pellicola: dalla trama discontinua a un montaggio nevrotico, che conduce lo spettatore a una perenne distrazione dai fatti. È il problema che affligge del resto molti film con il gravoso compito di aprire la strada a una saga. Gli elementi vengono compressi nel formato standard cinematografico, restituendo la fastidiosa impressione di trovarsi di fronte al venditore con il suo infinito campionario. Il problema principale non è  quindi una storia imposta dal marketing, ma il non aver saputo creare un mondo. Lo spazio in cui avviene la vicenda risulta falso e stilizzato, non permettendo alcun tipo di coinvolgimento nell’azione. Eppure il materiale a disposizione è di prim’ordine: teatro del conflitto sono le due città più famose della carta, Metropolis e Gotham. Ma ironia vuole che siano due spot della Turkish Airlines (sponsor del film) a raccontarci le due città nel mondo più autentico.

Forse Snyder avrebbe dovuto puntare su quanto di buono ha saputo mostrare nelle opere precedenti, a partire dall’invenzione di quel lirismo pop ammirato nei prologhi di film come Watchmen e Sucker Punch, spiazzanti overture che fungevano da cornici narrative per introdurre lo spettatore in un mondo grigio fatto di pugni, rock e fumetti.