Prosegue la pubblicazione dei racconti che hanno vinto il concorso letterario #Laventicinquesimaora, indetto dalla Scuola di scrittura Belleville e nella cui giuria era presente anche la redazione della Balena Bianca. Il racconto di oggi, di Francesco Verro, è il secondo classificato (qua gli altri due). Impulso è un racconto fatto di silenzi e battute spiazzanti. Un individuo misterioso, figlio dei tanti Bartleby che popolano il nostro immaginario, è arrivato improvvisamente a raccogliere inquietudini e dissapori di due amanti; le sue risposte enigmatiche producono reazioni contrapposte, pronte a esplodere. Come pronta a esplodere potrebbe essere la pistola che porta nella sacca; che poi forse pistola non è. Una tensione palpabile soffoca l’atmosfera chiusa della macchina che ospita i tre personaggi, mentre sullo sfondo scorrono i grandi paesaggi americani. Il racconto è breve, le parole sono poche, ma Francesco Verro riesce ad evocare un mondo intero, fatto di sentimenti e ambizioni frustrate; un universo binario destinato a deragliare, improvvisamente.


 

Impulso

Non so per quale motivo decisi di far salire a bordo quell’autostoppista. Forse perché Carla non ne avrebbe capito il senso.
“Dove deve andare?” chiesi.
“Sto viaggiando in direzione delle montagne Adirondack” rispose l’uomo. “Vorrei avvicinarmi a Lake Placid.”
“Noi ci fermiamo molto prima” risposi. “Posso lasciarla all’altezza del nostro svincolo.”
“Certamente” disse ancora l’uomo.
Carla era innervosita dal mio atteggiamento e più lei si irritava nei confronti miei e dell’autostoppista, più io assumevo atteggiamenti confidenziali con quello sconosciuto viaggiatore. “Da dove viene?” gli chiesi.
“Dal Canada” disse lui. “Voi?”
“Oh noi siamo americani” rispose questa volta Carla forzandosi di apparire rilassata. “Come mai, se posso chiedere, deve andare a Lake Placid? Motivi di lavoro?”
“Oh, non proprio” rispose l’autostoppista. “Direi più che altro motivi di svago.”
“Sono zone veramente fantastiche” intervenni io.
“Assolutamente sì.”
“Posso farle una domanda personale?” disse Carla abbandonando completamente le sue inibizioni iniziali. “Ho visto che viaggia con un solo bagaglio a mano e non ho potuto fare a meno di notare la sua forma decisamente insolita. Di cosa si tratta?”
In effetti la borsa del nostro viaggiatore aveva una forma molto particolare, direi atipica per essere il suo unico bagaglio a mano. Descriverla è impossibile. L’autostoppista sembrò infastidito dall’invadenza di Carla, tanto che rimase in silenzio per qualche istante come se non sapesse bene cosa rispondere.
“Si tratta di una pistola” disse poi in maniera lapidaria. In macchina calò il gelo.
“Una pistola?” chiesi io.
“Proprio così” disse l’uomo.
“E come mai porta con se una pistola?” chiesi io fingendo indifferenza. “È un cacciatore?”
“Proprio così” rispose lui. “È per questo motivo che sto viaggiando verso le montagne Adirondack. Sto andando a caccia di leoni.”
Carla ebbe un sussulto. Anche un bambino sa che non vi sono leoni nel continente americano e solamente un folle potrebbe pensare di pronunciare una frase del genere.
“Ma non ci sono leoni sulle Adirondack!” esclamai.
“Ah no?” chiese l’autostoppista, non troppo stupito dalla mia affermazione. “Allora forse dentro la mia borsa non c’è una pistola.”
Guidavo senza ormai più tenere conto della strada. La mia attenzione era completamente assorbita dalla follia che stavamo vivendo all’interno dell’abitacolo.
“Vogliamo controllare insieme il contenuto del mio bagaglio?” chiese l’autostoppista senza dare nessun tono specifico alla sua frase.
Fu in quel momento che dentro di me accadde qualcosa di insolito. Ebbi la fortissima tentazione di chiedere a quell’uomo di aprire la sua borsa. Volevo incitarlo a controllare se dentro il suo bagaglio vi fosse veramente un’arma e volevo sfidarlo ad usarla. Il mio piede premette più forte sull’acceleratore. Avvertivo l’adrenalina di quel momento. Volevo incitarlo a sparare. Volevo chiedergli di aprire quella borsa, tirare fuori la sua stupida arma e farci, finalmente, battere il cuore di nuovo.
“Questa è la nostra uscita” dissi invece. “Vuole scendere qui?”
“Certamente” disse l’uomo. “Grazie per il passaggio.”
Accostai la macchina e l’autostoppista scese senza fare una piega, portando via con sé il suo misterioso bagaglio a mano. Restammo fermi a lato della strada per qualche istante, con i cuori che battevano forte e con tanti pensieri per la testa. Avevo sperato che quell’uomo estraesse un’arma dal suo bagaglio e ci sparasse. Era evidente che odiassi la mia vita.
Carla si voltò verso di me ed io la guardai negli occhi. “Credo di non amarti più” le dissi.


3° ex aequo – Sara Nissoli, Racconto

3° ex aequo Alessandro Mauri, Al muro