Ai margini degli orribili attacchi avvenuti a Parigi, raggelata in un urlo sordo c’è la musica e la sua capacità di aggregare e unire persone in un venerdì sera qualunque di una città europea. Sullo sfondo un gruppo americano, gli Eagles of Death Metal, la cui verve festaiola e dissacrante è molto lontana dalle curiose descrizioni e storpiature del nome che la stampa italiana ha riservato loro facendoli così apparire alla stregua di un gruppo satanico. È sicuramente solo un dettaglio in un quadro molto più tragico e articolato, ma leggerezze di questo tipo non rendono onore alla normalità di chi era al Bataclan.
Per ovvie ragioni, questo mese sarebbe stato difficile parlare di musica e di Top 5 senza ricordare le vittime di Parigi o di Bucarest, persone che hanno trovato la propria fine – per ragioni diverse e sicuramente non paragonabili – in luoghi in cui la morte dovrebbe essere bandita.

Aucan – Stelle Fisse

Fin dagli esordi i bresciani Aucan si sono ritagliati uno spazio importante nel panorama nazionale per la qualità della loro elettronica e per l’impatto dei loro concerti energici e coinvolgenti. Divenuti una delle band più esportabili del nostro Paese per il loro piglio internazionale, molto apprezzati in Francia e Inghilterra, la band è passata dal math rock degli inizi all’elettronica oscura ma meno cervellotica di Black Rainbow, disco che forse ha sintetizzato al meglio la loro estetica. Dopo una parentesi poco riuscita da produttori, gli Aucan mettono le cose a posto con questo Stelle Fisse, pubblicato dalla neonata Kowloon Records di Londra: dieci brani che testimoniano la loro capacità di creare paesaggi sonori elaborati in cui è facile perdere se stessi. Tra questi, Errors e Friends rivelano il lato più pop e raffinato del trio, mentre Outer Space riporta l’ascoltatore in un sentiero buio e sinistro. Ma per apprezzarli davvero c’è solo una cosa da fare: andare a vederli dal vivo.

Grimes – Art Angels

Dietro il nome Grimes si cela una giovane ragazza canadese, Claire Boucher, che ha passato gli ultimi tre anni a comporre musica nel tentativo di bissare il successo di Visions, disco che aveva raccolto un consenso unanime tanto dalla stampa specializzata quanto dalle riviste di cosmesi. In effetti la musica di Grimes travalica i confini del pop adolescenziale (molto più stratificato e intelligente) e sembra piacere quasi a tutti. Forte del successo raccolto, in Art Angels la Boucher presenta quattordici nuove canzoni, che prese singolarmente appaiono tutte molto valide (in particolare l’iniziale Laughing and Not Being Normal e Belly of the Beat) ma risultano un po’ schizofreniche nel complesso. Oltre alla divertente California, in cui sembra recitare una parte comica, due pezzi come REALiTI e World Princess, Pt. II sembrano un tantino esagerati anche per una ragazza prodigio come lei. Chissà se la sua eccentrica personalità riuscirà ancora a oscurare la vasta pletora di reginette plastificate…

EL VY – Return to the Moon

Matt Berninger approfitta della pausa dei suoi The National, il cui nuovo disco dovrebbe uscire il prossimo anno, per lanciarsi in una nuova avventura chiamata EL VY accompagnato niente meno che dal fidato amico Brent Knopf, mente e polistrumentista di Ramona Falls e Menomena. Nelle undici canzoni di questo Return to the Moon troverete da una parte i testi arguti e ricercati di Berninger (Paul is Alive) e la sua inconfondibile voce che è ormai molto conosciuta anche in Italia, dall’altra sonorità più rilassate e sintetiche alla Beck, che rendono solare e leggera l’atmosfera del disco (I’m the Man to Be). Al di là degli episodi riusciti, a volte si ha l’impressione che queste due anime facciano a botte per trovare un giusto equilibrio mentre lo spettatore non sa bene per chi fare il tifo. A voi l’ardua sentenza.

Shye Ben Tzur/ Jonny Greenwood/ The Rajasthan Express – Junun

Il sodalizio tra il chitarrista e compositore Jonny Greenwood e il regista Thomas Paul Anderson risale al film Il petroliere (There will be blood), la cui la colonna sonora, sperimentale e angosciante, aveva fatto scoccare la scintilla tra i due. Da allora, il polistrumentista dei Radiohead ha curato le musiche di The Master e dell’ultimo Vizio di forma (Inherent Vice) dimostrando di meritare la fiducia di Anderson. Quest’anno il regista americano ha ricambiato il favore producendo  un documentario sulle sessioni musicali degli artisti che si sono riuniti nel Mehrangarh Fort nel Rajasthan (India) per incidere questo Junun. Guidati dal compositore israeliano Shye Ben Tzur, appassionato di musica sacra indiana, e aiutati dall’estro di Greenwood, la composita schiera di strumentisti produce un disco carico di riferimenti culturali – diverse le lingue usate (ebraico, urdu, hindi) e gli strumenti utilizzati – ma poco cerebrale, che risulta così un ottimo mezzo per approcciarsi alla complessa tradizione indiana. Da ascoltare, in particolare, Allah Elohim per apprezzare la chitarra e le onde martenot di Greenwood in un contesto completamente diverso rispetto a quello cui siamo abituati.

Arca – Mutant

Gli organizzatori del ClubToClub avevano invano provato a portarlo a Torino in quest’ultima edizione, ben sapendo che i suoi campionamenti e le sue manipolazioni sono particolarmente apprezzati da un pubblico vasto, destinato ad allargarsi sempre di più. Alejandro Ghersi, conosciuto al mondo come Arca, è un produttore venezuelano che, malgrado la sua giovanissima età – classe 1990 –, vanta in curriculum collaborazioni importanti con gente come Bjork, FKA twigs, Kanye West. Ad appena un anno dall’uscita dall’ultimo Xen, dopo una proficua parentesi che l’ha visto collaborare con Bjork anche sui palchi per il tour di Vulnicura, Arca spiattella venti nuove canzoni che impressionano per la loro versatilità e originalità. Come in flusso continuo, le sue composizioni labirintiche uniscono con naturalezza estremi lontani: dai bassi di Mutant alle atmosfere classicheggianti di Extent alla drammaticità di Vanity. Nella musica di Arca tutto segue un canovaccio preciso in un’odissea spaziale in cui il freno a mano non è mai tirato.