L’horror è sicuramente uno dei generi più bistrattati, troppo spesso colpevole di prestarsi a produzioni di basso livello o di dar vita a sottogeneri più o meno deplorevoli, come lo slasher o il torture porn. Nel vuoto pneumatico del periodo estivo pare dunque d’obbligo per i distributori italiani propinarci il solito disprezzabile horror adolescenziale, che sia l’ennesimo clone di Scream e la sua consueta carrellata di belle ragazze massacrate, o la variazione sulla casa maledetta con i soliti spaventi a basso costo a suon di apparizioni improvvise accompagnate da effetti sonori assordanti. A uno spettatore poco attento questo Babadook, relegato nelle sale semivuote di una delle estate più calde che l’Italia ricordi, potrebbe rientrare comodamente nel secondo filone, quello delle magioni  infestate e dei balzi sulla sedia accompagnati da risatine nervose. Non è così. Babadook è un horror atipico, sicuramente spaventoso ma raffinato nella regia, profondo nel messaggio e interpretato da attori straordinari (mai si è visto un bambino più inquietante, e la protagonista, Essie Davis, offre una prova di recitazione maiuscola).

 

Gli elementi del film sembrano i soliti del genere: la casa posseduta, le porte che scricchiolano, l’entità oscura che si aggira per i corridoi. Eppure, man mano che ci si addentra nel film, risulta chiaro che la direzione presa da Babadook è un’altra, inedita, legata ai sentimenti e ai rapporti umani più che ai balzi sulla sedia. Il film racconta infatti della difficile relazione tra una giovane madre, Amelia, e il turbolento figlioletto seienne, Samuel. Come ci viene spiegato nei primissimi minuti di film, Amelia ha perso il marito in un incidente stradale mentre la portava a partorire, un lutto che ha scavato un solco profondissimo tra madre e figlio. Il comportamento del piccolo Samuel, già ipercinetico e incontrollabile, non fa che peggiorare dopo che questi si convince della presenza per casa di un’entità inafferrabile e malvagia, uscita da un libro di fiabe misteriosamente comparso in casa. Pian piano, influenzata dalle crisi di nervi sempre più devastanti di Samuel, anche Amelia si convincerà che forse davvero un essere oscuro generato dal libro maledetto si aggira per casa.

 

Babadook elabora ed espande il cortometraggio in bianco e nero del 2005 diretto dalla stessa Jennifer Kent, in cui una madre e un figlio erano minacciati da una creatura nascosta nel ripostiglio. Rispetto al prototipo, che già conteneva in nuce il segreto del lungometraggio senza tuttavia esplicitarlo, Kent approfondisce il rapporto di amore e odio tra Amelia e Samuel, legati dall’affetto materno, ma separati dall’insopprimibile ricordo del proprio amato troppo presto perduto. Stressata dalla difficoltà della vita di una madre single e dalla crescente incontrollabilità del figlio, Amelia si lascia andare sempre di più alla peggiore delle tentazioni: l’oscura convinzione di una qualche responsabilità del figlio nell’incidente che le ha portato via il marito. Tutto ciò viene espresso non a parole, ma attraverso la raffinatissima regia di Kent, in grado di tradurre in immagini i sentimenti della protagonista. Come esempio per tutti, basti ricordare il folgorante incipit, in cui Amelia sogna di precipitare e di rivivere l’incidente, con in sottofondo la voce del figlio che la chiama. Dopo aver rassicurato uno spaventato Samuel sull’inesistenza dell’uomo nero, si corica con lui nel lettone: mentre Samuel si addormenta voltato verso di lei, Amelia gli dà le spalle, raggomitolata sul ciglio del materasso, il più lontano possibile dal figlio. Il finale, amaro e spiazzante, rende palese quel sapore di romanzo di formazione adombrato per tutta la durata del film, esplicitando finalmente quel sentimento difficile e importante che è il tema del film: l’accettazione.

 

Ma Babadook, non dimentichiamolo, è un film horror, e anche sotto questo punto di vista svolge un lavoro egregio: l’orrore emerge grazie alle atmosfere, al contrasto tra luce e oscurità, ai volti deformati dalla paura di madre e figlio, agli effetti sonori della casa che vive e scricchiola e della voce raggelante del mostro che bisbiglia il proprio nome alla terrorizzata Amelia. Come tutti gli horror che si rispettino quasi mai la regia si affida alle apparizioni improvvise e alle esplosioni sonore per spaventare lo spettatore, ma punta tantissimo sull’ignoto e il visto/non visto. Da questo punto di vista, se c’era un peccato capitale che Babadook poteva commettere, era quello di mostrare troppo la creatura, e purtroppo, soprattutto nella seconda parte – costituita dallo spettacolare inseguimento per la casa, trasformata in campo di battaglia –, la macchina da presa indulge forse troppo sull’essere, mostrandone eccessivamente le fattezze. Nulla di grave, ma come sempre il disvelamento sottrae mistero, e come dice H.P. Lovecraft, uno dei massimi cantori dell’orrore, non esiste paura più grande che quella per l’ignoto.

 

Babadook è un horror riuscito e originale, e assieme a It follows (altra piccola perla uscita in questi ultimi anni, che chissà quando potremo vedere nelle sale italiane) porta nuovo vigore a questo genere così bistrattato, in grado di ambire a un maggiore riconoscimento artistico soltanto tramite il rispetto dell’intelligenza del proprio pubblico.