L’Italia a Cannes si presentava con tre campioni e con tutte le carte in regole per giocarsi la Palma d’oro.
C’era il beniamino dei francesi Moretti, il vincitore del premio oscar Sorrentino e l’autore del film Gomorra, Garrone. In molti salutavano questa sovrabbondanza di titoli nostrani alla Croisette, come l’espressione di un’industria tornata in salute, nuovamente al centro dell’attenzione internazionale, grazie all’esportazione forte di film e serie tv.

Ma stiamo parlando davvero di rappresentanti del cinema italiano?
Moretti è da sempre un cane sciolto, un autore-feticcio che ha spesso flirtato con la politica; refrattario a correnti, mode o etichette, il regista romano è una monade, a livello artistico, che ha dimostrato le sue maggiori capacità nel secolo scorso, mentre nel nuovo millennio è appiattito su un modello di cinema più convenzionale. Se si vuole quindi parlare di nouvelle vague italiana forse si dovrebbe guardare a Sorrentino e Garrone, loro sì registi affermatisi dopo il duemila, con un percorso a tratti simile, per temi e soggetti. Entrambi sono affascinati da un modo eccentrico di fare cinema, quasi osservassero il mondo in uno specchio convesso, deformante , con un gusto che ricorda da vicino quello barocco. Le loro ultime opere, Il Racconto dei Racconti di Garrone e Youth di Sorrentino, mettono in evidenza scelte ben precise di forma e contenuti, che ribadiscono la comunanza con una cultura tardo cinquecentesca forse mai morta del tutto. I due registi ne hanno semplicemente  riportato alla luce i dettami e i principali temi.

Alchimia

Dalla Praga del vicolo d’oro, alla Parma del Parmigianino. L’alchimia è il sistema filosofico che ha affascinato principi, imperatori e artisti tra 500 e 600. Attraverso lo studio della materia, si è cercato il modo di trasformare il ferro in oro o di trovare il rimedio per tutte le malattie e ottenere quindi la vita eterna. Alla base di questa sorta di scienza occulta c’era la fede nella trasformazione. Nei film di Sorrentino e Garrone assistiamo a diverse mutazioni. Ne La Grande bellezza Sorrentino rappresenta una seduta di iniezione di botulino, in un’atmosfera a metà tra il negozio di alimentari e il rito massonico, in cui frotte di ricchi tentano i rimedi alchemici del chirurgo-santone per riottenere la giovinezza. In  Primo amore Garrone ci mostra Sonia, che, per amore di Vittorio (orafo), trasforma il suo corpo, perdendo peso secondo i desideri del compagno. Per il suo ultimo film, Il Racconto dei racconti, Garrone riprende, tra le favole di Giambattista Basile, Le due vecchie, storia in cui di nuovo si racconta di una metamorfosi di corpi, dettata sempre da bellezza e desiderio. Anche Sean Penn subisce, per certi aspetti, una mutazione, nel film di Sorrentino This must be the place: da irriconoscibile rockstar anni ottanta, torna a vestire i panni di un uomo qualunque, al termine di un viaggio attraverso l’America e le sue paure.

Trompe l’oeil

L’inganno dell’occhio, nelle opere dei due cineasti, è sempre in agguato. Entrambi prediligono una presenza registica tutt’altro che invisibile, quasi onnipresente. Lo sguardo dello spettatore è guidato esattamente nel punto in cui l’effetto è creato, nulla sfugge al controllo dell’autore. L’immagine è sempre costruita, prodotto di una strategia di attrazione dello sguardo, di seduzione. Il cinema è per entrambi spettacolo puramente cerebrale, in cui vi è spazio solo per l’occhio. Basti pensare alla sequenza di Le Conseguenze dell’amore e alla sequenza dell’iniezione di eroina: con una lunga rotazione della cinepresa, seguiamo lo sprofondare del protagonista in uno stato di incoscienza. Ne il racconto dei racconti, Garrone costringe lo spettatore a osservare la lotta tra il re e il serpente marino, dal vetro appannato di uno scafandro.

Artificio

La natura è controllata, manipolata. In Youth di Sorrentino, persino le mucche al pascolo vengono coordinate e orchestrate dal compositore Fred (Michael Caine) quasi fossero una surreale orchestra. Ogni cosa è un prodotto della mente; così Garrone sceglie i luoghi naturali in cui ambientare le scene de Il Racconto dei racconti in base al loro grado di inverosimiglianza: La natura deve risultare quindi più falsa dei mostri impossibili rappresentati sullo schermo. Il teatro impera.

Grottesco

I film di entrambi i registi sono popolati da personaggi la cui bruttezza o deformità esteriore non è mai un elemento accessorio, ma veicolo di senso. L’aspetto repellente di Geremia, protagonista de L’amico di famiglia di Sorrentino, è lo specchio della sua avarizia e carcere che preclude il mondo di bellezza rappresentato dalle forme perfette di miss Agropontino e delle pallavoliste osservate dal suo balcone. Tra i personaggi di Garrone, troviamo Peppino, nano omosessuale che di mestiere fa l’imbalsamatore. Anch’egli personaggio negativo,  perde il controllo sulla sua vita quando incontra Valerio, un giovane e aitante collaboratore. Il male è dunque come un marchio, un fenomeno tangibile, che esercita il suo potere sull’aspetto dei personaggi, conferendo loro una netta caratterizzazione.

Tempus fugit

Forse il più famoso dei temi barocchi è quello sul  tempo che fugge. Le chiese dell’epoca sono piene di scheletri alati che mostrano clessidre, a ricordare la brevità della vita e la vanità che contraddistingue i mortali. Anche Sorrentino e Garrone riflettono su questo argomento, in particolare nelle loro ultime opere. La differenza consiste qui nel modo in cui la materia viene trattata: se il regista romano sceglie di parlarne in modo tradizionale, recuperando la visione di un uomo profondamente barocco come Basile, Sorrentino ne amplia lo spettro, identificando la giovinezza in un modo di essere, più che in un punto del tempo.

Sorrentino e Garrone sono esponenti di un cinema colto e articolato, che si esprime attraverso un codice visivo ricco, ma anche molto personale e, per questo, inimitabile. Improbabile dunque pensare che da autori simili possano nascere correnti o scuole di un nuovo cinema italiano: il barocco è l’arte del capriccio, per definizione bello, quanto sterile. Vincere questa Palma d’oro non avrebbe portato alcun segnale positivo all’industria del cinema italiano.