2016: la multinazionale sudafricana Tetravaal ha sviluppato il primo poliziotto robot, in grado di pattugliare le strade in autonomia e ridurre il crimine ai minimi termini.  Deon, il giovane e brillante ingegnere  a cui si deve la rivoluzionaria invenzione, vuole però andare oltre: il suo scopo finale è creare un’intelligenza artificiale in grado di replicare quella di un essere umano (dotata quindi di senso estetico e morale), nonostante l’ostracismo dell’amministratore delegato della Tetravaal. Chappie, il primo robot “umano” creato da Deon all’insaputa dei suoi superiori, viene però trafugato da una banda di criminali da strapazzo che rapisce l’inventore  e lo costringe a riprogrammare il robot in vista di un colpo a un furgone portavalori.  A complicare le cose ci pensa poi il muscoloso inventore Vincent, invidioso dei droidi del collega Deon che hanno pensionato prematuramente il suo Moose, un gigantesco mech armato di tutto punto giudicato inadatto al mantenimento dell’ordine pubblico.

L’ex enfant prodige degli effetti speciali Neill Blomkamp deve decidere cosa fare da grande. Dopo l’esordio capolavoro District 9 (diretto a neanche trent’anni) era infatti atteso al varco da uno stuolo di appassionati che credevano di aver trovato il nuovo astro nascente della fantascienza, ma che si sono ritrovati con il mezzo passo falso di Elysium. Quel film riprendeva l’ambientazione nelle baraccopoli e il design “sporco” che aveva decretato il successo di District 9, ma era azzoppato da una trama piena di buchi e da personaggi mal caratterizzati. Ora è il turno di Chappie (fatico a usare il demenziale titolo stabilito dai distributori italiani, Humandroid), un film sicuramente gradevole e divertente, ma che non si prende alcun rischio e rimanda al futuro valutazioni definitive. Blomkamp è però avvisato;  a lui l’onore e l’onere di un progetto che farebbe tremare i polsi a chiunque: il nuovo seguito della saga di Alien, previsto per il 2016.

Chappie ripropone gli stessi pregi dei due film precedenti, ma, purtroppo anche alcuni dei difetti di Elysium. Uno su tutti, un plot sciaguratamente pieni di buchi, incongruenze e cialtronerie che non possono passare inosservate anche al più sprovveduto degli spettatori.  Senza timore di anticipare nulla, basti ricordare la crescita cognitiva di Chappie, ben poco coerente e strutturata nel suo evolversi: se al momento dell’attivazione il robot è dotato di un cervello pari a quello di un bambino, in pochi attimi riesce già a esprimersi correttamente, e pur stabilizzandosi nel corso del film a un’età che potremmo definire adolescenziale, riesce nel finale a giungere addirittura a un’invenzione epocale per l’intera razza umana. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta comunque di un film senza pretese di verosimiglianza, ma è bene ricordare che è proprio nella coerenza e nel realismo che la fantascienza riesce ad essere credibile.

Oltre alla crescita di Chappie, anche la scrittura di tutti gli altri personaggi tende a scricchiolare più volte: dalle reazioni dell’amministratore delegato della Tetravaal (interpretato da una sprecatissima Sigourney Weaver), incapace di cogliere i benefici di una AI “umana”, al comportamento di Vincent, che può permettersi di sventolare una pistola in ufficio e minacciare i colleghi senza timore di conseguenze, fino ad arrivare ai criminali che si impadroniscono di Chappie, i quali prima rapiscono l’inventore Deon e poi gli permettono di andare e venire dal loro rifugio segreto a suo piacimento.

Se una sceneggiatura di ferro non è dunque il punto forte del film, non si può fare a meno di riconoscere a Blomkamp una grande capacità di creare empatia con il pubblico. Il film, al contrario di quanto accade ad esempio con i popolarissimi giocattoloni Marvel, riesce a creare un grande senso di pathos: per dirla breve, il pubblico è coinvolto nello spettacolo magari non con il cervello, ma di certo con il cuore, oltre che con la pancia. Allo spettatore importa per davvero quello che sta succedendo sullo schermo, sa che ogni pallottola può essere letale per i personaggi verso i quali ha sviluppato un grande affetto, e la sua immedesimazione con le vicende è profonda. Blomkamp si prende tutto il tempo per costruire con il pubblico un rapporto di grande simpatia (nel senso più etimologico del termine) verso Chappie o Ninja e Yolandi  (i criminali che lo rapiscono, interpretati dai membri della band sudafricana Die Antwoord) e ne diventano una sorta di “famiglia”. Allo stesso modo di quanto accadeva con la gigantesca battaglia finale di District 9, lo spettatore non viene lasciato comodo in sala, ma è trascinato nel fango della sparatoria, tra calcinacci che saltano per aria e pallottole che fischiano, in pena per la sorte dei personaggi che ha imparato ad amare. Un notevolissimo punto a favore del regista sudafricano, che dimostra, proprio lui che nasce come “tecnico”, come gli effetti speciali debbano essere al servizio dei sentimenti prima che dello spettacolo fine a se stesso.

Effetti speciali, peraltro, raffinatissimi come sempre, così come le scene d’azione, estremamente ben coreografate: soprattutto, riescono a regalare allo spettatore una sensazione di grande fisicità, grazie all’efficacissimo comparto sonoro che restituisce alle esplosioni e ai colpi di arma da fuoco tutta la loro potenza, e al coraggio nel mostrare una quantità di violenza ben superiore a quanto siamo abituati a vedere nei film d’azione americani (anche se sotto questo punto di vista Blomkamp si è giustamente limitato rispetto ai film precedenti, essendo Chappie un action virato alla commedia). E anche l’uso del rallenti è ben dosato e sottolinea efficacemente i momenti più emotivi della battaglia senza risultare mai invadente, in controtendenza rispetto alla moda del bullet time esasperato inaugurata da 300. Particolarmente azzeccata, infine, la colonna sonora, che vanta il roboante Hans Zimmer accanto agli scatenati pezzi dei Die Antwoord.

Chappie è indubbiamente un film minore, con molti buchi di sceneggiatura e un cattivo davvero grossolano e poco riuscito, ma comunque divertente nel suo ben congegnato intreccio di azione, fantascienza e soprattutto commedia: memorabili ed esilaranti le sequenze in cui Ninja e Yolandi tentano di plasmare Chappie a loro somiglianza, insegnandogli a sparare, muoversi e parlare come un vero gangsta.

Blomkamp, che in questo caso si è limitato a timbrare il cartellino, è però avvisato: così come per il seguito di Blade Runner (affidato e Denis Villeneuve, e mai scelta fu più azzeccata) le aspettative per il prossimo Alien sono altissime; e al cospetto dello xenomorfo, si sa, non si può sbagliare.

Humandroid (Chappie) di Neill Blomkamp (USA 2015, Azione, 120′) con Sharlto Copley, Dev Patel, Ninja, Yolandi Visser, Hugh Jackman.