Variando un celebre monologo di Gaber si potrebbe dire: «Qualcuno credeva di essere marxista e forse era qualcos’altro…». E mi domando se a essere qualcos’altro non fosse lo stesso Marx.

Infatti, l’intelligente libro di Claudio Belloni, Per la critica dell’ideologia. Filosofia e storia in Marx (Mimesis, 2013) affronta di petto il Marx più ovvio e scontato, talmente ovvio da essere assai sottovalutato. Esiste il Marx economista, il sociologo, l’ideologo, il politico, il maestro del sospetto e il maestro dei tempi che verranno, i nostri; ma questa gigantesca e ingombrante personalità multipla (ulteriormente moltiplicata dai mille marxismi e derivati che sono seguiti) si può raccogliere in un’unica figura: Marx filosofo. E il lavoro compiuto da Belloni è proprio quello di indagare l’inattuale attualità filosofica dell’autore del Capitale. L’azzardo di tale operazione è evidente: il pensiero di Marx soffre di una Wirkungsgeschichte talmente profonda, radicata e capillare da schiacciare la figura complessa di un filosofo sotto il peso dei gravosi rivestimenti interpretativi dei suoi epigoni e della storia politico-economica del Novecento. Inoltre, negli ultimissimi anni di crisi, Marx è spesso invocato – anche con studi di successo – come grande risolutore del nostro futuro o, più modestamente, come precoce analista degli effetti disastrosi del capitalismo finanziario: posizioni che hanno contribuito a caricaturizzare e imbalsamare un pensatore che, volenti o nolenti, è parte integrante della nostra eredità culturale.
Belloni si sottrae alle facili apologie del senno del poi e ai cori da tifoseria, cimentandosi invece in un arduo e indispensabile lavoro di ecologia della mente, indagando «l’attualità, la fecondità, le contraddizioni, le problematiche irrisolte, le tensioni interne e le prospettive di sviluppo» (p. 18) della filosofia di Marx.

Il libro prospetta una messa a fuoco del pensiero e dei problemi sollevati dal filosofo; con uno stile espositivo piano e rigoroso, Belloni accompagna il lettore attraverso l’ampia opera marxiana, fornendo un esame chiaro di tre problematiche principali (corrispondenti alle parti I, II e IV): cosa intende Marx per filosofia, cosa significa ideologia (forse il baricentro dell’intero saggio) e, infine, come intendere la storia. Inoltre, Belloni fornisce gli strumenti concettuali e i contesti storici essenziali per comprendere le tematiche nei modi e nei limiti con cui Marx le ha elaborate. Per questo motivo l’autore non manca di segnalare le criticità, le variazioni individuabili nelle diverse opere, l’estensione e spesso l’ambiguità di alcuni concetti chiave della riflessione marxiana: ci viene riconsegnata così la trama di un pensiero complesso, stratificato, a volte ondivago, e non un altro inutile totem infallibile e preveggente.

A rafforzare l’impianto del lavoro interviene il fitto confronto con altri filosofi del Novecento che in modi diversi si sono misurati o hanno sviluppato il pensiero del maestro. Fra questi spiccano le figure di Adorno e di Benjamin, cui sono dedicate ampie parti, ma non sono da sottovalutare i contributi di altri filosofi, meno ovvi in tale contesto, della statura di Ricoeur o Henry. Pur rimanendo sullo sfondo, la figura di Hegel domina in larga parte del saggio.
Il confronto con Adorno avviene principalmente sul tema del soggetto e sulla questione se sia possibile un sistema filosofico (III capitolo). In genere, leggere Adorno è di per se stesso un piacere per l’intelletto grazie alla potenza critica espressa del suo pensiero. In questo studio, il filosofo francofortese risulta particolarmente stringente e cupo per come sviluppa il rapporto fra teoria e prassi – tanto da arrivare a dichiarare che Marx con la nota “XI tesi” abbia sottoscritto il programma della borghesia (p. 54) – oppure quando interpreta il pensiero di Marx come un «sistema negativo, critico» e quindi per sua natura necessariamente «ironico e incompleto» (p. 173).

Per quanto riguarda il tema della filosofia, pur elaborando alterne modulazioni, Marx lavora sulla possibilità di un superamento della filosofia speculativa, che ha nell’astratta razionalità di Hegel il suo apice: questa infatti è giudicata incapace di raggiungere e comprendere le condizioni reali della vita umana perché non si immerge nello scorrere reale e turbolento della storia. Al contrario, il materialismo storico di Marx (la cui formulazione risale però a Engels) grazie alla «costituzione materialistica della storia costituisce la critica della storia idealistica, così come la concezione storica del materialismo costituisce la critica del materialismo metafisico sottratto alla dimensione temporale» (p. 73). Senza cadere nel paradosso di considerare senza presupposti tale posizione critica, è lo stesso Marx a precisare che la concezione materialistica del mondo osserva i propri presupposti materiali così come si sono storicamente dati e perciò solo essa è una concezione realmente critica (p. 75) capace di comprendere la genesi della realtà e il suo senso.

Da questa altezza si può intendere quanto sia importante il problema dell’ideologia, che richiama, tra l’altro, anche la nota metafora di struttura e sovrastruttura, ampiamente analizzata nel corso dello studio. L’ideologia è sviscerata dall’autore nei suoi elementi caratterizzanti di rovesciamento, illusione, autonomia, astoricità, razionalizzazione e falsa coscienza; essa è un concetto cruciale che però conduce Marx in continui circoli viziosi e paradossi, nonostante non abbandoni mai il problema. Infine, nota Belloni: «con il concetto di ideologia, Marx nega teoricamente ciò che fa praticamente, ovvero la critica stessa dell’ideologia» (p. 129). Ancora una volta, oltre ai tentativi di comprensione e di superamento dell’ideologia proposti da Mannheim, Ricoeur, Henry, è l’interpretazione che Adorno propone nella Dialettica negativa a portarla nel cuore della filosofia: «l’identità è la forma originaria dell’ideologia» (p. 154). La critica dell’ideologia diventa «critica della stessa coscienza costituente» (ibidem). La filosofia dialettica deve poter pensare contro se stessa, raggiungendo il proprio inganno e, per non trasformarsi essa stessa in ideologia, pensare oltre se stessa, verso l’aperto (p. 155).

Insomma, una volta riconosciuta come tale, indipendentemente dallo status che ad essa viene assegnato, una strutturale dimensione sovrastrutturale, ideologica, dominante, identitaria del pensiero appare insuperabile. Ma, aggiungendo difficoltà a difficoltà, Belloni definisce addirittura «inconcepibile» (p. 81) una versione forte del concetto di ideologia: se inteso nella sua radicalità totalizzante e inestirpabile, infatti, è impossibile divenire consapevoli di un elemento ideologico «strutturalmente inconsapevole» (ibidem) del pensiero. In altre parole: se non lo conoscessimo già, non potremmo mai conoscerlo. Il ragionamento richiama il movimento originario narrato dal mito platonico della caverna: senza un prigioniero svincolato dalle catene, nessuno avrebbe saputo di essere incatenato.
Questo paradosso insolubile, che può apparire quasi un gioco del pensiero, decide invece una questione fondamentale: esso appare come la condizione formale e inaggirabile della libera (in quale senso libera?) autocostituzione della coscienza, il giungere della coscienza a se stessa, l’emersione della consapevolezza da un presupposto abissale e non indagabile. Un processo originario e trascendentale, ma che si ripresenta costantemente nelle diverse forme dei contesti storici.

Con Benjamin invece il confronto avviene sul terreno del senso della storia. In Marx la storia assume tante connotazioni e di essa il filosofo non fornisce una dottrina sistematica e coerente e, tantomeno, provvede a elaborare una filosofia della storia. Innanzitutto per comprenderla filosoficamente si deve presupporre che l’essere umano possa vivere e che quindi possa creare le condizioni materiali per la propria sopravvivenza, ma, a seconda di come tale condizione basilare viene realizzata, la storia si svolge a fasi alterne: è progressiva, frena, avanza, ripiega, imbocca strade chiuse. Benjamin riprende questi temi ma al contrario di Marx, ad esempio, vede nelle rivoluzioni un freno della storia, invece che un motore. Benjamin ha lo sguardo rivolto al passato al fine di riattualizzarlo nel presente, redimendo così i vinti nello Jetztzeit, mentre Marx si rivolge ai tempi futuri.

Per_la_critica_d_528c9d386a7cdConcludo questa rapida traversata di alcuni fra i molti spunti possibili del saggio con il tema dell’utopia e del suo radicamento nella storia. Nonostante quest’ultima sia una dimensione insuperabile, anche il «socialismo “scientifico” di Marx è utopico» (p. 324), afferma Belloni: infatti, la critica dell’esistente rinvia necessariamente al mondo che potrebbe essere, ad un innovativo seppur storico non-luogo di emancipazione e libertà per gli individui. Un’utopia fuori dalla storia diverrebbe un altro potere ideologico, uno strumento di dominio sulle coscienze (come il volto pietrificante di Medusa, sapientemente posto in copertina), invece, «pensare utopicamente – pensare un luogo altro, ma non oltre, nella storia – significa non arrendersi al potere» (p. 333), significa fare filosofia.
Per questo motivo, nel pensiero di Marx perdura un «residuo messianico» (ibidem), seppur senza messianismo (pp. 312-315). Per questo il libro di Belloni è un libro filosofico, quindi, politico.